A El Pais: «È vero che i gesti dei calciatori hanno un forte impatto e che potremmo prendere posizione sulle cose, ma sono i club e le Nazionali che devono decidere».
Su El Pais una lunga intervista al centrocampista del Barcellona e capitano della Nazionale spagnola, Sergio Busquets. E’ in Qatar con la Spagna.
«Mi preoccupa solo che stiamo bene, dentro e fuori dal campo. Non c’è nulla che mi preoccupi molto di più, al di là dell’avversario che ho di fronte e di come gioca. Ci stiamo adattando bene. Il caldo? In estate fa molto anche in Spagna, come nei tour che facciamo. Sono preoccupato solo per il calcio».
Luis Enrique dice che con il contesto di gioco ideale, sei il miglior centrocampista del mondo. Significa che la squadra deve adattarsi più a Busquets che viceversa?
«No, è un’idea dell’allenatore da quando è qui. Siamo una squadra compatta in tutte le linee, stretta e corta. Nessuno deve adattarsi a me, ma alle mie qualità come a quelle degli altri colleghi perché siamo tutti diversi».
In una nazionale con un’età media di 25 anni e 312 giorni, giocatori come te sono richiesti, ma dall’esterno sembra che tu non sia uno di quelli che sono protagonisti tutto il tempo. Busquets dichiara:
«Nessuno mi conosce dall’esterno. Sono loquace il giusto e necessario, in linea con la mia personalità. Sono totalmente diverso da quello che posso mostrare perché non mostro nulla. Non sui social network e, nelle interviste, quasi mai. Ora perché qui la stampa della federazione mi obbliga un po’ (ride)».
Hai dovuto cambiare il tuo modo di essere all’interno dello spogliatoio dopo essere stato capitano?
«No, mi sono adattato alla mia carriera. Quando sei più giovane sei più tranquillo e impari dai veterani, poi ti evolvi».
A chi assomigli di più? Guardiola non stava in silenzio e nemmeno Xavi…
«Siamo tutti molto diversi. Alla fine ognuno fa il capitano ed esercita la leadership a modo suo. Non esiste un modello esatto o unico, ognuno ha il proprio modo di essere e di guidare la squadra».
È molto difficile per il calciatore spagnolo posizionarsi di fronte a polemiche come quelle che circondano questo Mondiale. Non indosseranno la fascia arcobaleno e non si inginocchiano contro il razzismo all’inizio delle partite. Pensi che un qualche tipo di gesto dovrebbe essere fatto?
«Come persona sono a favore di tutto ciò che è buono, non ho problemi a dirlo, detto questo non abbiamo voce in capitolo su dove si gioca una Coppa del Mondo, se dobbiamo andare con un colore o un altro o fare una pausa in una partita. Dipende dai club. Noi rappresentiamo la federazione, che è quella che deve decidere. Non mi dispiace fare quello che stai dicendo e lo stesso al club. Siamo qui per rappresentare la Nazionale spagnola nel calcio ed è un onore e un privilegio giocare una Coppa del Mondo. Potremmo prendere una posizione? Sì, ma siamo in una società in cui qualsiasi cosa tu faccia genererà un sacco di critiche, con persone contro e a favore. Perciò ognuno è libero di fare quello che vuole».
Il gesto di un calciatore, però, ha sempre più impatto.
«Abbiamo questo impatto, ma non si può dimenticare che rappresentiamo un club o una Nazionale e sono loro che devono prendere le decisioni».