ilNapolista

«Il grande gioco», serie tv di Sky sul calciomercato, è talmente brutta da non poter spegnere

È un’imperdibile burinata che scimmiotta Romanzo criminale. Le battute fanno involontariamente scompisciare dalle risate. Giannini sembra il Viperetta

«Il grande gioco», serie tv di Sky sul calciomercato, è talmente brutta da non poter spegnere

Premessa anti-spoiler: chi non si è fatto già rapire dai primi due episodi de “Il grande gioco” può tornare quando sarà più preparato. O continuare a leggere, e questo pezzo allora avrà avuto una sua utilità sociale.

«Togliti dalla testa l’idea che questo lavoro possa curare i mali del mondo», dice il procuratore-intermediario al suo giovane allievo. E aggiunge: «Il calcio non è una cura, al massimo un antidolorifico». Che Francesco Montanari sia un bravo attore lo capisci dal fatto che non ride a crepapelle mentre recita queste battute. E anche che i cachet di Èliseo entertainment (di Luca Barbareschi) devono bastare a saldare parecchie rate del mutuo. Nemmeno Stanis La Rochelle avrebbe reso quella scena tanto ridicola da rivelarsi magnetica. Come potrebbe mai un procuratore curare i mali del mondo? Spacciando calcio-ossicodone?

Ecco, “Il Grande Gioco”, la serie sul calciomercato ma-che-non-è-sul-calciomercato di Sky Original, è tutta così. Una burinata al confine tra “Vivere” e “1992”, quello “da un’idea di Stefano Accorsi”. Imperdibile. E Stefano Accorsi stavolta non c’entra.

Il procuratore di cui sopra, tornando all’ineffabile trama, ha la faccia del Libanese di Romanzo Criminale. Lo stesso grugno incazzato. Solo che si chiama Corso Manni – siamo dalle parti di Herbert Ballerina, capirete – e fa l’agente arrembante (ma nei guai) per la più importante società di procuratori in Italia, la ISG. Quando alla prima scena Libano alias Corso pesta a sangue un suo calciatore dedito alla coca e alla violenza sulle femmine a scopo di svago, non puoi non aver paura che da quella porta dell’Hotel Gallia spunterà Fierolocchio e finirà malissimo.

Ma sono solo i primi cinque minuti del primo episodio e già siamo preda dei preconcetti? Ancora col cliché dell’attore rimasto incastrato nel primo personaggio di successo? Essù… Però poi, ad un certo punto del secondo episodio, Corso Manni dà fuoco alla macchina di un dirigente del Torino che ha sgarrato. Con la tanica di benzina, la sigaretta gustata lentamente prima di innescare la vampa, e tutto l’armamentario di mille attentati già visti in 30 anni di cinema. E, insomma… è il Libanese, dai. C’è poco da fare. Alziamo le mani.

In attesa delle prossime puntate, le prime sono due ore di perle accessorie. C’è un supercattivo procuratore russo (“sti cazz ‘e russ, stann’ chin’ ‘e sord e cattiveria” diceva don Salvatore Conte) di nome Sasha Kirillov, certamente Putiniano, che vive barricato in un attico distribuendo sguardi all’infinito perché la sa più lunga di tutti. C’è il bomber sudamericano viziato e incazzato che ha una moglie tratteggiata con la cazzuola: un mix perfetto di Belen e Wanda Nara. E c’è Giancarlo Giannini (ribadiamo: quanti zeri ci stanno su quegli assegni?) che è il padre-padrone della Isg, irreparabilmente simile al Viperetta Ferrero. Bravo, eh. Ma il plot famigliare mutuato a vanvera da “Succession”, col figlio fragile umiliato che non riesce a scalzare tanto padre dalla poltrona di Ceo, devia sul prevedibile suicidio ancor prima di poter dire “lo sapevo io”. In Succession i figli del tycoon sono troppi fighi per farla finita calandosi a mare, e si abbandonano ad una sana disfunzione. Non per niente Succession è una delle serie più premiate degli ultimi anni e “Il grande gioco” è un pasticcio trash. Va da sé che Giannini il giorno dopo il tragico gesto del figlio non prova rimorso alcuno. Perché – pare di vederli gli sceneggiatori all’opera – “è un infame e quindi se ne fotte”. Il riferimento è sempre Boris: “F4, basito”.

I nomi sono tutti inventati, per questioni di copyright. Quindi ad un certo punto la Roma vende Alessio Mozzi, e Gianluca Di Marzio (quello vero, visto che la produzione è di Sky) racconta i retroscena della trattativa. E l’ambientazione è sì milanese, ma poiché l’ambizione è raccontare una storia universale (e figurarsi), accade che il padre corrotto del ̶L̶i̶b̶a̶n̶e̶s̶e̶ di Corso Manni possegga un bar di motociclisti sperduto in un periferico Texas brianzolo. L’avete visto mille volte nei film americani: fuori c’è il sole, ma dentro il locale è buio, pieno di gentaglia alcolizzata che gioca a biliardo, ognun per sé. Lui penetra con passo marziale, squadrando tutti, sgabelli compresi. Perché si sappia, che è entrato Corso Manni e niente sarà più come prima. È lo stesso western che si ripete da decenni, solo che questa sarebbe la Milano da bere o giù di lì.

Il calcio giocato è sullo sfondo. Anche perché è giocato malissimo. Lo stesso bomber sudamericano è un palestrato tronista di “Uomini e donne” che mentre si allena non centra mai la porta. Mai. Sono dettagli, è chiaro. In fondo “Il grande gioco” è una caricatura di un sacco di cose, talmente mescolate alla rinfusa che è impossibile farne a meno. Il calciomercato è solo un modo per attrarre il pubblico di Sky. Un affare fatto.

ilnapolista © riproduzione riservata