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Carlo Conti: «Mio padre è morto che avevo 18 mesi, devo tutto a mia mamma»

A Sette: «È impossibile litigare con me. Cerco sempre il punto di incontro. Non vuol dire essere bischeri, ma avere equilibrio»

Carlo Conti: «Mio padre è morto che avevo 18 mesi, devo tutto a mia mamma»

Carlo Conti: «Mio padre è morto che avevo 18 mesi, devo tutto a mia mamma»

Sette, settimanale del Corriere della Sera, intervista Carlo Conti. Racconta come è nata la sua passione per il mondo dello spettacolo.

«A 16 anni con la radio. Ho iniziato per scherzo al pomeriggio con il mio amico Andrea, con un giradischi e un
registratore imitavamo Arbore e facevamo Basso Sgradimento: chiacchieravamo, prendevamo in giro i professori e poi facevamo girare le cassette in classe».

Poi si rivolse alle radio.

«Suonai il campanello a una delle prime radio fiorentine e chiesi se avevano bisogno di dj: sì, la domenica pomeriggio ma non paghiamo. Accettai subito. Non c’era nemmeno il regista, facevo tutto io. Allora erano davvero radio private, nel senso che erano private di tutto. Fu un periodo fantastico, mi ha insegnato ogni cosa: a parlare senza avere appigli, la velocità, il ritmo, l’improvvisazione; viaggi a braccio, inventi le telefonate e le dediche. È stata la mia gavetta, l’investimento su me stesso, come oggi i ragazzi che pubblicano a tempo perso video su YouTube o TikTok».

Conti ha avuto anche il periodo delle discoteche. Gli chiedono quanto sia stato trasgressivo.

«Per niente. Bevevo solo acqua, nemmeno una Coca Cola. Il dj però era al centro dell’attenzione e aveva sempre un bel riscontro femminile, dunque pur non essendo un adone è stato un periodo di notevole allegria e divertimento.
Per tanto tempo, fino a prima del matrimonio, ho sofferto di dongiovannite. La mia è una grande forma di amore per le donne, credo nasca dalla figura fortissima di mia mamma per cui nutro grandissima stima e ammirazione, per i suoi sacrifici, per le sue difficoltà. Mio babbo è morto che avevo 18 mesi e lei mi ha fatto da babbo e da mamma, ha dedicato la sua vita a tirarmi su al meglio, il suo sogno era il posto fisso».

Conti è un must del Capodanno. Gli chiedono cosa evochi la parola.

«Il lavoro… Adesso ho appeso il conto alla rovescia al chiodo da qualche anno, ma ho quasi sempre lavorato il 31.
Quando facevo il dj era una data importante, pagavano il triplo. Poi c’è stato il periodo degli spettacoli con Panariello 
e Pieraccioni, andavamo in due o tre locali nella stessa serata: nel primo festeggiavamo la mezzanotte, nel secondo entravamo alle due e dall’ultimo uscivamo all’alba».

Lei non litiga mai con nessuno. Possibile?

«Con me è impossibile litigare. Non capisco perché bisogna litigare. Se fossero tutti come me non ci sarebbe mai
stata una guerra nel mondo, cerco sempre il punto di incontro che non vuol dire essere bischeri, ma avere un equilibrio. Quando la gente litiga la verità sta sempre nel mezzo e io cerco sempre quel mezzo».

È anche impossibile che Conti non dia un giudizio negativo su qualcuno…

«Mi sembra di sentire mia moglie… Nel mio ruolo devo avere un grande rispetto per tutti, specialmente per i colleghi e le colleghe. Non porto rancore nemmeno se qualcuno si è comportato in maniera scorretta nei miei confronti. Il tempo lenisce le asperità».

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