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Addio iconografia della sofferenza, gli sportivi in ospedale sempre immortalati col pollice in su

Sono una moda social, ormai. L’analisi della Faz: “Pollice su, cuoricini di risposta. Servono ad accettare la propria vulnerabilità”

Addio iconografia della sofferenza, gli sportivi in ospedale sempre immortalati col pollice in su

Pollice su. Reazione a scatto: cuoricino. La foto dell’atleta rotto, operato di fresco, con espressione tranquilla, è ormai un must di Instagram. Fa categoria a sé. Se ne è accorta la Faz, che al fenomeno dedica una lunga analisi messamediatica. Si tratta di “un altro modello di immagine: foto di star dello sport che possono avere alle spalle una disgrazia personale, ma che non sono né infelici né si presentano pubblicamente in modi diversi. Che si tratti di uno sciatore, di un portiere di calcio o di una star del tennis, tutti pubblicano un autoritratto di se stessi a letto dopo un infortunio e la successiva operazione. Guardano direttamente nella telecamera e quindi improvvisamente verso i loro follower, in particolare gli atleti maschi amano alzare il pollice”. Gli esempi sono tanti: da Neuer a Mahrez a Zverev, tranne Özil la cui foto dal letto di ospedale non è stata indovinata: la sua trasmette sofferenza.

Secondo la Faz “ciò che vogliono esprimere con immagini e gesti è chiaro a tutti gli spettatori, in particolare a quelli della generazione di Facebook e Instagram: pollice in su, le circostanze potrebbero non essere delle migliori, ma finora per me va tutto bene. I volenterosi follower, invece, reagiscono sollevati dopo una rapida occhiata, o con il simbolo del pollice, che sta per “Mi piace” su Facebook, o con il segno del cuore”.

Walker foto

Secondo lo storico dell’arte Wolfgang Ullrich “i ritratti degli atleti nel letto d’ospedale puntano alla massima calma. Il loro effetto non è creato da una dimostrazione di affetto, ma dal rifiuto enfatico di esso”. Irradiano calma e, nel migliore dei casi, sicurezza che risulta naturale. Rifiutano così quella che l’autrice americana Susan Sontag ha definito “l’iconografia della sofferenza”.

Per iconografia della sofferenza si intende la carrellata di “foto di saltatori con gli sci caduti o sciatori che si contorcono per il dolore nella neve alle Olimpiadi invernali; di pugili rannicchiati in un angolo del ring, coperti di sangue, alla fine dei loro combattimenti per il titolo; di calciatori che si mettono il dorso delle mani sulla fronte per il dolore mentre vengono portati fuori dal campo in barella”.

“In queste immagini ospedaliere, invece, il peggio – l’infortunio, il salvataggio, l’operazione – è alle spalle degli atleti. Il dolore – se c’è ancora – non viene mostrato, ma soppresso. Quindi è una specie di iconografia della non sofferenza. Le stelle dello sport decidono sui loro account Instagram e Facebook cosa far vedere e quale messaggio inviare. Non si preoccupano dello shock o dell’amor proprio, come spesso accade con le immagini nei social media, ma della massima serenità e accettazione della propria vulnerabilità. Il messaggio è: le battute d’arresto fanno parte dello sport”.

Ozil

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