A La Stampa: «Il giudizio sul sottoscritto è l’ultima cosa che conta. I miei errori mi definiscono come persona. Ora mi riconosce anche il macellaio sotto casa».
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La Stampa intervista Gianmarco Pozzecco, ct della nazionale italiana di basket.
«Con la Federazione abbiamo creato il senso di appartenenza e le premesse per essere una famiglia. Passione, professionalità, empatia e altruismo. Mi piace ogni aspetto che impone il mio ruolo: anche la semplice presenza a supporto dei miei colleghi delle Nazionali giovanili. A me non piace comandare, ma suggerire. Anche quando alleno: l’allenatore non è quello che impone il suo credo, ma quello che dà ai giocatori la passione e la voglia di giocare insieme. Viva la gestione familiare, che non significa poco professionale».
Pozzecco continua parlando dell’esempio della sua famiglia.
«L’esempio che mi viene in mente sono le partite a sette e mezzo da piccolo: mio nonno gestiva tutto e teneva il banco, noi bambini impazzivamo per dei piatti da 50,100 o 200 lire che ci sembravano ricchissimi e gli altri ci venivano dietro. Familiarità, agonismo e divertimento sono requisiti fondamentali per fare bene il proprio lavoro nel basket e nello sport. Anche se il vero obiettivo è regalare emozioni alla gente che ci guarda».
La nazionale è una famiglia, dice Pozzecco.
«Abbiamo creato l’atmosfera e i presupposti per remare tutti dalla stessa parte. Il carisma e la vicinanza del presidente Petrucci, l’aiuto del dg Trainotti, il supporto della Federazione e la complicità dello staff. Mi gratifica più mettere in pratica le idee giuste dei miei assistenti Casalone, Fucà, Fois, Poeta e Recalcati che le mie. Mi sento ricompensato dal vedere che tutti aiutano Simone, il nostro autista, a caricare e scaricare il pullman.Così comesono stato segnato dalla sofferenza sul volto del team manager, Massimo Valle, durante Italia-Francia. Sofferenza che deriva dal coinvolgimento: più uno ci tiene, più uno soffre».
Parole da capofamiglia. Eppure molti la considerano un “ct mediatico”: a lei suona come un’offesa?
«Non mi disturba. Semplicemente, che sia un’osservazione vera o no, non ci perdo tempo. Sono focalizzato su altro: giocatori, staff, presidente e federazione. Il giudizio sul sottoscritto è l’ultima cosa che conta. Quella più importante è che i ragazzi possano giocare».
Pozzecco racconta cosa gli è piaciuto di più della sua esperienza da ct finora.
«Come sono stato accolto dal pubblico di Sassari quando sono tornato con l’Olimpia. Ma anche come i tifosi di Milano, pur sapendo che sotto il vestito ho ancora il tatuaggio di Varese, mi hanno apprezzato e rispettato. Significa che sto vivendo bene la pallacanestro: gli errori che ho riconosciuto di aver commesso in passato sono quelli che mi definiscono come persona».
La Nazionale è ancora sola, come dichiarò prima di qualificarsi ai Mondiali?
«Ora mi sento un po’ meno solo, vedo una considerazione diversa. La visione collettiva dovrebbe essere che qualsiasi sacrificio in favore della Nazionale torna sempre indietro all’intero movimento. Devo dare ragione a Petrucci quando mi disse che non c’è nulla come allenare la Nazionale e ringraziarlo per avermi cambiato la vita. Adesso mi riconosce e mi chiede di Banchero, Fontecchio, Melli o Datome anche il macellaio sotto casa».