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«Preso di mira dai media, mi hanno dipinto come un supercattivo». Djokovic ora vuole le scuse, ma fece tutto lui

Ora che è in Australia sta provando a riabilitare la sua immagine: “Volevo solo andare a casa”. Ma fu lui, da non vaccinato contro il Covid, a farne una battaglia ideologica

«Preso di mira dai media, mi hanno dipinto come un supercattivo». Djokovic ora vuole le scuse, ma fece tutto lui
Djokovic aveva cominciato appena sbarcato in Australia da uomo libero, a rigirare la frittata. Ora che ha vinto ad Adelaide e si appresta a mordere di nuovo gli Australian Open, continua l’operazione di vendetta mediatica. Una auto-riabilitazione postuma, ad un anno dalla deportazione da no-vax, che fa a pugni con la realtà.
Djokovic adesso se la prende con i media. Parlando con Channel Nine dice che l’hanno scorso l’hanno fatto passare per il “cattivo del mondo”. Lamenta di essere stato trattato ingiustamente, che i giornali hanno raccontato il suo caso “in un modo completamente sbagliato”.

«E’ sfuggito tutto di mano e sono stato etichettato come questo o quello. La storia si è gonfiata così tanto che non potevo proprio combatterla, non volevo nemmeno entrarci. Ovviamente volevo restare qui e giocare a tennis, ma a un certo punto con la quantità di follia che c’era in giro, volevo solo andare a casa».

Voleva tornare a casa, ma chissà perché si infilò in un tunnel di corsi e ricorsi giudiziari contro l’espulsione. Restò lì a pietire il posto agli Australian Open, fino all’ultima arringa dei suoi avvocati. Affrontò quello che il suo collega tennista-novax Sandgren ha definito “un rituale d’umiliazione” con spirito collaborazionista. I giornalisti di tutto il mondo fecero le nottate in streaming per seguire le udienze australiane. Voleva andar via ma evidentemente l’ostinazione dell’uomo che non vuole perdere mai, nemmeno a scopetta, prevalse. Solo che adesso quasi pretende le scuse.

«Sono rimasto diverse settimane a casa, non sono andato molto in giro. Speravo solo che la situazione si calmasse, cosa che accadde, ma le tracce sono rimaste per diversi mesi, e non sapevo se avrebbe influenzato il mio gioco e il modo in cui gioco. Non è stato facile per me riorganizzarmi mentalmente e ricominciare da capo. In ogni conferenza stampa mi chiedevano dell’Australia. Anche se volevo andare avanti, la gente me lo ricordava. Mi fa male che la maggior parte delle persone abbia un’idea sbagliata di quello che è successo. I media mi hanno preso di mira alla grande per diversi mesi, questo ha creato molto disturbo al mio brand e a me personalmente, e alle persone intorno a me».

Il tennis non c’entra niente. Dov’è finita la grande battaglia ideologica del no-vax? L’orgoglio del “prezzo che sono disposto a pagare” dettato in una intervista alla Bbc?

Né santo né santone, ma manco martire però. Djokovic adesso cerca di riqualificare la sua immagine. Sul campo non ha mai smesso di vincere, ma la sua reputazione dopo la vicenda dell’anno scorso era crollata. Fu lui ad impuntarsi – è bene ricordarlo – sperando di imporsi oltre le leggi d’un Paese straniero, ma ancora peggio contro gli interessi della politica in anno elettorale. Un mostro finale che nessuno sano di mente ambirebbe a combattere. Il risultato è che Djokovic, in preda ad un crisi quasi psicotica di masochismo, si rovinò deliberatamente da solo.
Ora dice che l’hanno dipinto come “il cattivo del mondo”. Ma quella vicenda fece emergere il suo lato deteriore, pregresso: l’ultranazionalismo folkloristico della sua famiglia, il polpettone mistico delle sue fissazioni, l’anti-scientismo con cui ha affrontato due anni di pandemia. Ne andava orgoglioso, mica nascondeva alcunché. Ora “piange”. Rinfaccia all’opinione pubblica una sorta di accanimento. Come se lui – una superstar internazionale da più di un decennio – non sapesse come funziona il meccanismo della narrazione.
Mentre gli stessi media che adesso “cazzea” riportano il contrattacco, è bene ricordare che all’epoca qualcuno, con sprezzo del pericolo, aveva paragonato la sua battaglia a quella di Cassius Clay (all’epoca ancora si chiamava così, Muhammad Ali) che mise in gioco reputazione e carriera per opporsi alla guerra del Vietnam. Djokovic andò alla guerra (mediatica) per opporsi ad un vaccino che ha salvato la vita a milioni di persone. Coerente il finale: a uno la gloria, all’altro l’onta. Il suo clan ne parò come di un “Gesù Cristo crocifisso”, “Spartaco”, cose così.

Il sole 24 Ore scrisse che da sportivo di successo, per gli sponsor, s’era trasformato in Pippo Franco. Riassumendo meravigliosamente lo stacco di credibilità che adesso con una certa fatica prova a ricomporre. Ci sta riuscendo, peraltro. Bastava aspettare un po’. Magari vincerà il torneo, e ricomincerà a depurasse l’acqua con le preghiere. Dovremo persino chiedergli scusa.

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