Può essere messo in difficoltà, ma è molto difficile. Ha troppe risorse e sa fare troppe cose grazie alla continua esplorazione tattica di Spalletti
La Salernitana in trincea, per scelta e per diktat
In un’intervista pubblicata a settembre da L’Ultimo Uomo, Davide Nicola spiegava come la Salernitana di quest’anno fosse stata «progettata a tavolino per avere una certa identità di gioco». Contro il Napoli, ieri, la squadra granata non ha espresso l’identità di cui aveva parlato Nicola in quell’intervista. Non ha espresso quell’identità che la Salernitana aveva manifestato nei primi mesi della sua stagione. Ha fatto un’altra scelta, ha deciso di trasformare sé stessa. Ora chi scrive non vuole dare giudizi, anche perché non può dire se si tratta di una decisione giusta o sbagliata. Ma sta di fatto che le parole – pre e post-partita – di Nicola e dei dirigenti, insieme a ciò che si è visto ieri allo stadio Arechi, aprono uno scenario nuovo per la Salernitana: quello della squadra in trincea. Ultra-difensiva, compatta per scelta. Anzi: per diktat presidenziale.
Limitatamente alla partita contro il Napoli, potrebbe anche essere stata una scelta giusta. Dopotutto parliamo del Napoli: la squadra capolista, la squadra che sta dominando la Serie A, la squadra più tecnica e offensivamente più varia e più forte d’Italia. E allora i numeri della Salernitana, in questo senso, sono confortanti: nella prima frazione di gioco, i granata hanno concesso solamente 3 tiri agli azzurri. Vale a dire: i 2 di Osimhen, uno respinto e uno parato da Ochoa, e poi il gol di Di Lorenzo. Il punto, però, è che prepararsi per giocare così, senza alcun tipo di velleità offensiva e di costruzione, ti costringe – e ha costretto la Salernitana – a non cambiare registro dopo il gol subito. La partita è praticamente finita lì, all’intervallo. Non a caso, infatti, il secondo gol del Napoli è arrivato dopo pochi secondi dall’inizio della ripresa. Ma andiamo con ordine, e partiamo dall’inizio.
La rinuncia del pallone
La “nuova” Salernitana di Davide Nicola è stata nuova, per l’appunto, fin dalle basi. Dallo schieramento scelto: un 4-5-1 strettissimo ma al tempo stesso asimmetrico, in cui l’esterno alto di destra (Candreva) si comportava come più come un quinto di centrocampo; dall’altra parte, invece, c’era Dia, che restava tendenzialmente più alto e si avvicinava a Piatek nelle (pochissime) occasioni in cui la squadra granata non lasciava il possesso al Napoli.
Nei due screen in alto, il 4-5-1 ultradifensivo della Salernitana e un timido tentativo, da parte di Dia, di affiancarsi a Piatek; sopra, invece, le posizioni medie delle due squadre nel primo tempo, con e senza il possesso del pallone.
Il punto, però, non è tanto lo schieramento. È stato l’atteggiamento a fare la differenza. La Salernitana, infatti, ha deciso fin dal minuto zero di restare bassissima in campo – baricentro medio posto a 37,22 metri nel primo tempo – e di rinunciare a giocare il pallone. L’ha lasciato al Napoli e si è predisposta in posizione d’attesa perenne. Senza alzare il pressing, lasciando ai difensori di Spalletti la possibilità di impostare in libertà. Il piano-partita di Nicola era di puro presidio degli spazi: la linea difensiva bassissima, il centrocampo a schermare e Piatek a cercare di oscurare Lobotka. Gli unici momenti in cui i giocatori granata provavano a essere più aggressivi erano quelli in cui i loro avversari superavano la metà campo. Ma non succedeva sempre:
In quest’azione, per esempio, Rrahmani e Kim Min-jae sono ben oltre il cerchio di centrocampo a gestire il possesso. E non c’è nessuno che vada ad aggredirli.
Come detto, fino a un certo punto questa strategia ha anche funzionato. Il Napoli, schierato nel suo 4-3-3 fluido d’ordinanza, non è riuscito a creare praticamente niente su azione manovrata. L’unica palla pericolosa è nata da un buonissimo spunto di Lozano sulla destra, ma il tiro successivo di Osimhen è stato respinto. Per il resto, la squadra di Spalletti ha tenuto e fatto girare il pallone in modo compulsivo (percentuale grezza di possesso palla del 75% a fine primo tempo) ma lento, senza forzare. In attesa di capire quale potesse essere la strada migliore per bucare il muro di gomma eretto da Nicola e dalla Salernitana
Giovanni Di Lorenzo
Avete letto il nome del capitano del Napoli, e ovviamente state pensando al gol che ha indirizzato la partita. No, non stiamo ancora parlando della rete del vantaggio, dell’azione, piuttosto di quello che è successo un quarto d’ora prima. Ovvero nel momento in cui Giovanni Di Lorenzo non solo si è mosso e ha ragionato, ma ha anche giocato il pallone come un trequartista. Per chi non l’avesse capito, parliamo del gol annullato a Osimhen sullo 0-0, per un fuorigioco millimetrico tra l’altro. Rivediamo quell’azione:
Guardate bene
Ecco, Di Lorenzo non ha solo servito un assist di grande qualità da una posizione che in teoria non dovrebbe appartenergli e invece riesce a padroneggiare. La cosa interessante di quest’azione avviene pochi istanti prima, quando il Napoli scambia il pallone sulla sinistra e Di Lorenzo detta un passaggio inserendosi in area. Diventando il giocatore più avanzato del Napoli, ben oltre Osimhen. Come una seconda punta pura più che come un trequartista. Il suo movimento non viene premiato, ma lui non torna a fare il terzino: tiene quella posizione e si fa dare il pallone che poi viene recapitato a Osimhen.
Può sembrare una giocata casuale, ma non lo è. Per tanti motivi: intanto, perché dipende dalle scelte iniziali di Spalletti: per sostituire l’influenzato Kvaratkskhelia, l’allenatore del Napoli ha scelto Elmas. E a destra ha messo Lozano al posto di Politano. Così ha deciso di costruire gioco soprattutto sulla fascia sinistra: secondo le rilevazioni di Whoscored, addirittura il 51% delle azioni del Napoli sono nate sulla catena composta da Elmas, Mário Rui e Zielinski, a cui spesso si aggiungeva anche Anguissa. A destra, invece, Lozano era l’uomo deputato a garantire ampiezza e qualche attacco all profondità.
In un contesto del genere, Di Lorenzo ha giocato praticamente come mezzala aggiunta: si è preso il mezzo spazio di centrodestra – la fascia immaginaria di campo che sta tra il centrocampo e la corsia laterale – e da lì è partito per muoversi in ogni direzione. Per farsi dare il pallone e creare costantemente superiorità numerica e posizionale. Sono i dati a dirlo:
Tutti i palloni giocati da Di Lorenzo
Il paradosso è che il gol realizzato allo scadere del primo tempo è la giocata più da terzino fatta da Di Lorenzo in quel segmento di partita. Perché, sul cross di Anguissa dalla sinistra, Lozano attacca l’area di rigore come deve fare un laterale destro d’attacco, e Di Lorenzo arriva a rimorchio come un laterale di difesa che sceglie bene il tempo per riempire l’area avversaria. Ma basta dare uno sguardo al video per capire che, per l’ennesima volta, il capitano del Napoli ha vissuto la sua azione come se fosse una mezzala: stando dentro il campo, più stretto rispetto a Lozano. E anche il tiro è da mezzala.
Il gol di Di Lorenzo
Quello che ha fatto Di Lorenzo racconta molto del Napoli, del suo modello tattico, di come Spalletti sia riuscito a mescolare sapientemente calcio identitario e calcio liquido. La tendenza di un terzino destro a compiere dei movimenti e delle giocate così particolari nasce dal fatto che la sua squadra gli permette di farlo. Anzi: lo incoraggia a farlo. Magari è stato proprio Spalletti a muovere la sua pedina sul campo in questo modo, chissà. Nonostante questo cambiamento di forma e di sostanza, il Napoli non ha perso la bussola del proprio gioco. Ha continuato a tenere il pallone senza rischiare mai. Senza perdere compattezza nella difesa – sempre alta, feroce nella riaggressione, ma ne parleremo dopo – né misure in fase di costruzione.
André-Frank Zambo Anguissa
Il fatto è che Spalletti può permettersi tutto questo perché, oltre a Di Lorenzo, ha a disposizione tanti altri calciatori in grado di interpretare il gioco in maniera liquida. Certo, ci sono degli specializzati, i vari Lobotka, Politano, Lozano, Osimhen, ma accanto a loro ci sono degli atleti universali come André-Frank Zambo Anguissa. Che, come abbiamo visto sopra, ha determinato il gol del vantaggio con una percussione sulla fascia che in teoria non sarebbe sua, quella sinistra. Anche questo non è un caso: come abbiamo detto in precedenza, il Napoli ha manifestato la tendenza a costruire azioni sulla sinistra. Il punto è che Anguissa, in occasioni di quelle azioni, era quasi sempre presente. Era a supporto del palleggio con la sua qualità, la sua fisicità fuori scala, le sue intuizioni. Ci sono i numeri, a dimostrarlo:
Definizione di giocatore-ovunque
Questa tendenza di Anguissa a giocare da tuttocampista, che ora sta tornando a deflagrare dopo che si era un po’ ridotta subito prima e subito dopo il Mondiale, è un ulteriore tassello che aiuta a comporre il Napoli – offensivamente – liquido di Spalletti. È chiaro che una partita come quella contro la Salernitana, in cui c’è una squadra avversaria che rinuncia volutamente a qualsiasi progetto offensivo, non è un campione d’esame proprio affidabile. Ma il centrocampista camerunese e (alcuni de)i suoi compagni giocano così contro chiunque. E sono difficilmente controllabili per chiunque, visto che sono anche calciatori di alta qualità.
Come Elmas, per esempio, che con un controllo a seguire ha mandato in tilt il sistema difensivo della Salernitana un attimo prima del secondo gol del Napoli, quello di Osimhen. Indovinate chi era il secondo giocatore più vicino al macedone dopo Mário Rui, l’autore del passaggio taglialinee? Esatto: André-Frank Zambo Anguissa. Che in teoria sarebbe la mezzala destra del Napoli, ricordiamolo. E invece qui era – ancora, di nuovo – dall’altra parte:
Altro gran tocco tra le linee di Mário Rui
Gestione e gegenpressing
Questa grande fluidità offensiva, come avrete intuito, permette al Napoli di risolvere anche le partite più intricate. Bastano uno o due accelerazioni tecniche e il risultato viene indirizzato, incanalato, chiuso. Si può dire che sia proprio questa la grande – e nuova – forza della squadra azzurra: ha così tante soluzioni, tra campo e panchina, che riesce quasi sempre a trovare il modo per mettere in difficoltà gli avversari. Per bucarne i sistemi difensivi.
È ovviamente un discorso prima tecnico e poi tattico. Nel senso: senza il valore assoluto e le caratteristiche di Osimhen, Spalletti non potrebbe proporre un calcio verticale e diretto. Allo stesso modo, senza la regia cerebrale ma dinamica di Lobotka, il possesso arretrato degli azzurri non potrebbe essere così rapido e sofisticato. Per dirla con semplicità: il Napoli è una squadra tatticamente forte ed evoluta perché è assemblata bene, anzi benissimo. E con dei giocatori di grande talento.
Spalletti, ovviamente. ha grandi meriti in questo processo di assemblaggio. E alcuni si sono visti chiaramente ieri a Salerno. Per esempio: la capacità di gestire la partita – i ritmi, il pallone, quindi lo sforzo fisico – con consapevolezza e tranquillità. Al tempo stesso, anche se sembra un concetto esattamente opposto, il Napoli di Spalletti è una delle squadre migliori della Serie A – e non solo – per aggressività difensiva. All’Arechi, ieri, tutte le (poche) volte che i giocatori della Salernitana provava a imbastire un’azione dal basso dopo aver recuperato il possesso, questi venivano letteralmente assaliti da quelli del Napoli. La velocità e la precisione e la continuità con cui sono avvenute queste riaggressioni alte sono state davvero incredibili. Anche a gara sostanzialmente finita:
Guardate quanti giocatori del Napoli vanno a pressare dopo un semplice tocco sbagliato
Se una squadra pressa così al minuto 81′ di una partita sostanzialmente vinta, vuol dire che quella è la sua identità. In questo caso, parliamo cioè di pressing e riconquista della palla e quindi di fase difensiva, Spalletti non ammette deroghe e nemmeno fluidità: il suo Napoli resta sempre molto alto in campo, aggredisce gli avversari non appena perde il possesso, lo fa con molti uomini, accetta il rischio di lasciarsi spazio alle spalle. Spesso sono i difensori, più di tutti i terzini, a esasperare questo approccio.
Ricordate il pallone recuperato da Mário Rui su Bremer dieci giorni fa, poco prima del secondo gol di Osimhen in Napoli-Juventus? Ecco, il senso è questo. E anche l’anno scorso andava in questo modo. E ci sono anche i numeri, a testimoniare questa tendenza da parte degli azzurri: secondo l’indice PPDA (praticamente il numero di passaggi consentiti agli avversari per ogni azione) di Soccerment, il Napoli è la terza miglior squadra della Serie A, dopo Fiorentina e Milan. In pratica, ogni volta che una squadra che gioca contro gli azzurri prova a costruire gioco, viene pressata al punto che può mettere in fila solo 11.46 passaggi consecutivi. Di media.
Conclusioni (e una citazione per Meret)
Non c’è molto altro da aggiungere: il Napoli di oggi, dal punto di vista tattico ma anche tecnico, è una squadra fuori scala per la Serie A. Può essere messa in difficoltà, ma è molto difficile. Può essere limitata, ma ha troppe risorse perché qualche avversario possa riuscire a farlo lungo tutto l’arco di una partita. E poi ci si mette anche la bravura dei singoli quando le cose vanno storte, come è successo sul tiro di Piatek con Meret: passaggio troppo forte di Di Lorenzo, rimpallo sulla tibia di Lobotka, palla al centravanti polacco della Salernitana solo davanti al portiere. Tiro forte, preciso, giusto, eppure Meret tocca la palla e la devia sul palo. Dopo essere andato a terra a una velocità incredibile.
I 50 punti alla fine del girone d’andata sono un premio commisurato al lavoro fatto per creare questo sistema così vasto, così vario. Al punto che oggi il Napoli può fare a meno di Kvaratskhelia senza vivere la sua assenza con angoscia. E la stessa cosa è successa quando, in autunno, è stato Osimhen a rimanere fuori. Il fatto che si continui a sperimentare prima di ogni partita e all’interno di ogni partita, come dimostra quanto fatto da Di Lorenzo a Salerno, è una garanzia: questa squadra non arresterà la sua crescita. Non si fermerà nell’esplorazione dei suoi limiti. Toccherà agli avversari, in Italia e in Europa, trovare un sistema – tattico, tecnico, emotivo – per mettersi al pari con Spalletti e i suoi giocatori. Non sarà facile, perché al momento c’è davvero moltissima distanza tra gli azzurri e tutti gli altri.