È una sindrome di Stoccolma all’amatriciana. Avvisateli che è una guerra di potere interna, non è così difficile capirlo
Fanno quasi tenerezza. Possiamo anche togliere il quasi. Ricordano Hiroo Onoda il giapponese che nel 1974 fu trovato nella giungla: stava ancora combattendo, non voleva credere che la seconda guerra mondiale fosse bella che finita. In fondo, è la forza dell’abitudine. Qualcuno potrebbe chiamarla Sindrome di Stoccolma ma non è la stessa cosa. Facciamo di Norköpping o all’amatriciana. È rimasto solo il mondo dell’informazione (diciamo così) a non rassegnarsi all’evidenza: quella Juventus è finita. E, particolare tutt’altro che trascurabile, non viene difesa nemmeno dalla nuova Juventus.
È dura, lo sappiamo. Ce ne rendiamo conto. Oltre dieci anni di narrazione farcita di superlativi, finita (che poi non è ancora finita) con 15 punti di penalizzazione, e pioggia di mesi di inibizione: dagli 8 di Nedved ai 16 di Cherubini, ai 24 di Agnelli e Arrivabene, ai 30 di Paratici. Era tutto sotto gli occhi di tutti. In questi anni gli unici a non essersi accorti di niente sono stati proprio i cosiddetti operatori dell’informazione, la stragrande maggioranza di essi. E quindi ad alcuni va riconosciuta una forma di coerenza.
Giungono echi del salotto di Caressa a Sky con interventi di autorevoli statisti del calibro di Giletti e Cruciani contro la sentenza della Corte d’Appello federale. Che poi, sia chiaro, l’abbiamo scritto subito: tutto ci pare tranne l’inizio di una svolta epocale della giustizia sportiva. Possiamo essere tifosi, non idioti. È chiaro anche agli opossum che trattasi di manovra di riposizionamento politico. Del resto la giustizia sportiva è puro sottogoverno: hanno l’olfatto molto sviluppato, annusano il clima meglio e più di altri. Sono cambiati gli equilibri e va riconosciuto, lo facemmo subito, che fu proprio Sky – la sera delle “dimissioni” di Agnelli – a dire forte e chiaro che stava per arrivare un terremoto paragonabile a Calciopoli. E, soprattutto, che una pagina si era chiusa per sempre.
Del resto basta seguire le dichiarazioni di quelli che davvero contano e davvero sanno, come ad esempio Eveline Christillin che possiamo considerare Agnelli d’adozione. Quando una come lei rilascia frasi del tipo «Bisogna aspettare di leggere quello che c’è nella sentenza perché noi magari abbiamo conoscenza solo di un pezzo di questa storia, che è veramente brutta. Ne mancherà ancora un pezzo anche dopo la sentenza perché ci sarà tutto il discorso sulla manovra stipendi. Ci saranno danni economici per la non partecipazione alle coppe europee, ma non solo: meno gente allo stadio, meno abbonamenti, meno sponsor”; o ancora, sulla manovra stipendi: «non escludo che si possa tornare a discutere di penalizzazione in classifica, soprattutto qualora si contesti l’illegittimo conseguimento della licenza nazionale necessaria per la partecipazione al campionato o l’elusione dei controlli periodici in materia di pagamento degli emolumenti in favore dei tesserati». C’è ben poco da aggiungere.
Ci mettiamo anche le parole del nuovo amministratore delegato Scanavino? Che già all’assemblea degli azionisti si presentò così: «Ci difenderemo senza arroganza». Come a dire addio ai 38 sul campo. Il quadro è sufficientemente chiaro, la promozione di Francesco Calvo – la cui ex moglie lo lasciò su due piedi per Andrea Agnelli – ci pare una conferma di cui non si sentiva il bisogno.
Capiamo che sia dura. Che gli juventini in Italia sono tanti, e che ci si sente anche un po’ in colpa per averli nutriti con gli estrogeni dell’antani. Ormai è andata. Ci si guarda allo specchio la mattina, ci si aggiusta il colletto della camicia e si esce. Come se il decennio precedente non fosse mai esistito.