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Pimenta: «Dopo la morte di Raiola, ho pensato di lasciare tutto. Poi le cose sono andate»

A Footmercato: «La malattia di Mino è stata improvvisa. I calciatori non ci appartengono, Haaland non mi appartiene, è un mio cliente»

Pimenta: «Dopo la morte di Raiola, ho pensato di lasciare tutto. Poi le cose sono andate»

Rafaela Pimenta è colei che ha ereditato l’immagine dell’agenzia di Mino Raiola, procuratore scomparso nell’aprile del 2022. L’avvocato brasiliano in realtà è sempre stata la numero due dell’Uno agency, società che cura gli interessi di giocatori come Haaland, Ibrahimovic e Pogba, e si è concessa in un’intervista fiume a Footmercato. Al sito francese ha aperto presentandosi:

«Sono un avvocato, sono brasiliano, vivo in Europa da moltissimo tempo. Sono venuta perché Mino Raiola mi ha invitato a creare l’azienda con lui e abbiamo lavorato insieme per almeno 25 anni».

Sulla malattia di Raiola

«Siamo stati tutti colti di sorpresa dalla malattia di Mino, è stata del tutta inaspettata. È successo tutto così in fretta. ».

Il ruolo di Pimenta nell’agenzia

«La verità è che Mino ha smesso di lavorare a dicembre 2021, e Mino l’abbiamo perso il 30 aprile 2022. Io e Mino eravamo soci da anni. Ovviamente abbiamo giocato al gioco in cui Mino faceva il “one man show” e si proponeva. Ma a pensarci bene, è impossibile per un essere umano fare tutto questo. Anche se Mino lavorava sempre. L’azienda esiste da moltissimo tempo, ha sede a Monaco dove abbiamo dipendenti a tempo indeterminato e anche collaboratori occasionali. Così è nel calcio. Nei club, tra gli agenti, lavoriamo tutti con la nostra rete di osservatori. Da anni abbiamo una rete che attraversa Francia, Italia, Olanda, Inghilterra, Brasile, Spagna, ecc».

Qual è stato l’ingrediente del vostro successo?

«Abbiamo sempre lavorato con un piccolo gruppo. E il motivo per cui abbiamo operato in questo modo è che io e Mino abbiamo sempre creduto nell’idea di una gestione a misura d’uomo. Vale a dire che vogliamo essere vicini ai giocatori, al loro fianco, per sapere tutto di lui, della sua famiglia, della sua vita perché l’evoluzione di un calciatore va oltre il campo. Abbiamo ritenuto che non fosse possibile con tanti giocatori. È sempre stata una nostra scelta non avere un gran numero di calciatori. I giocatori che abbiamo scelto di seguire, li abbiamo scelti in base al rapporto umano che avevamo con loro, e ai sentimenti».

La gestione dopo la morte di Raiola.

«Dopo la partenza di Mino, mi sono trovata in una situazione molto particolare. Abbiamo fatto un percorso insieme per tutti questi anni. Mi sono posta la domanda: “continuo o no?” Una domanda legittima. Ed è successo quasi durante il calciomercato. Non ho avuto il tempo di pensare a tutto questo. Durante il funerale di Mino, un giocatore che mi chiama chiedendomi cosa faremo visto che Mino non c’è più, il giocatore è in fase di trasferimento, devo fornirgli una risposta veloce… E poi un altro giocatore, ecc. E poi mi sono detta:“Ecco, la risposta è data. I giocatori ci sono, io ci sono e dobbiamo farlo”».

I suoi calciatori

«Una cosa importante: i giocatori per me non sono oggetti. Non riesco a dire: “ce l’ho”. Non ho niente, sono i miei clienti. Davanti a me ho un profumo, mi appartiene. Erling Haaland non mi appartiene. È un mio cliente, mi ha dato la sua fiducia, devo guadagnarmela ogni giorno, devo essere onesta e discreta in tutto ciò che riguarda la sua vita e la sua situazione. Penso che sia di cattivo gusto farti una lista di giocatori come se fosse una lista della spesa».

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