Un giocatore fenomenale, di quelli che oggi si qualificano europei o moderni per le tante soluzioni che le sue giocate offrono e per la qualità con cui vengono eseguite
Il Napoli riduce un ottavo di finale di Champions League ad un partitella di allenamento infrasettimanale con la squadra primavera.
Riduce, infatti, ad un simile rango una squadra incensata da tutti per l’organizzazione di gioco e la qualità dei suoi giocatori, ed anzi una squadra che a sentire i commenti pre-partita sembrava quasi tra le favorite alla vittoria finale, in un peana di chi continua, più o meno inconsciamente, a sperare che di volta in volta possa esserci un episodio, un evento, una partita in grado di rimettere in riga le ambizioni ed i sogni dei giocatori e dei tifosi azzurri.
Anche ieri sera, si badi bene, non è che siano state solo rose e fiori, per via dei primi 15 minuti in cui il Napoli sembrava non riuscire a trovare il modo di fare sua la partita, ed anzi si incaponiva a giocare solo ed esclusivamente sulla fascia sinistra, facendosi imbottigliare lì dalla grande densità di uomini che i tedeschi opponevano per evitare di innescare Kvaratskhelia, inoltre subendo due azioni che potevano costare molto caro.
Ma sono proprio queste le cose che dimostrano la forza della squadra, perché riconducono a realtà (nel senso che in campo ci sono anche gli avversari, cosa non da nulla a questi livelli) la competizione sportiva ed esaltano, proprio alla fine della contesa, le gesta di chi quella contesa riesce a farla propria anche al cospetto di avversari di livello.
E’ stata, quella di ieri, una partita così maestosa che risulta davvero difficile, se non impossibile, trovare un migliore in campo.
Kim, che in una difesa letteralmente e concettualmente a due (poiché le difese a 4 in fase di possesso proprio del pallone presuppongo l’alzata di entrambi gli esterni difensivi per la partecipazione alla manovra, così rischiando di rimanere scoperta in caso di improvviso contropiede avversario) fa praticamente reparto da solo: sempre pronto al duello fisico (aereo od in velocità nello spazio con l’avversario lanciato a rete) e sempre vincente nello stesso, sempre in grado di capire un attimo prima dove arriverà il pallone per farsi trovare lì pronto ad addomesticarlo (quando si può) od a spazzarlo via (quando si deve). Non c’è un solo suo movimento sbagliato nella lettura delle fasi di gioco (anche a prevenzione dei possibili errori dei propri compagni), un solo suo intervento sbagliato (per idea od esecuzione) nell’arco della partita, il tutto frutto di una concentrazione ed una consapevolezza dei propri mezzi da giocatore fuori categoria.
Lobotka, che ieri ha impressionato non solo (e non tanto) per la solita arguzia e capacità nella gestione della palla, oltre che del ritmo da imprimere di volta in volta alla partita (con le sue scelte ed i suoi movimenti), ma anche e soprattutto per come ha retto fisicamente lo scontro e la pressione degli avversari (che si avventavano su di lui anche con marcature triple) senza mai perdere contrasti o palloni, ed anzi recuperandone, grazie ad una non comune capacità di lettura preventiva delle giocate avversarie, una quantità infinita (si veda l’azione del primo gol).
Osimhen, rispetto al quale non ci sono più aggettivi e che, ad oggi, presenta caratteristiche tecnico/atletiche che chi scrive non ha mai visto nei grandi centravanti degli ultimi anni (ditemi chi, tra Lewandoski, Suarez, Benzema o, perché no, anche Cristiano Ronaldo, in quella posizione riusciva o riesce a dare quella frequenza di passi e di falcata con o senza pallone a copertura dei 50 metri che ci sono tra linea di centrocampo e porta avversaria).
Lozano, vero e proprio uomo partita, letteralmente imprendibile sia quando lanciato a rete o nello spazio, sia quando parte da fermo per puntare il suo uomo, con una capacità di accelerazione e di efficacia di giocate che ad oggi ha pochi simili nel panorama europeo.
Olivera, che seppure dopo un primo quarto d’ora di difficoltà, esce alla distanza e domina la sua fascia sia sotto il profilo difensivo (mai un contrasto perso, mai una diagonale sbagliata, mai un colpo di testa in terzo tempo non riuscito), sia sotto quello offensivo (sempre stop orientati ed eseguiti in modo perfetto non appena lo si cerca per aprire il gioco, sempre palloni giocati con grande sagacia, sempre con una gamba in grado di mettere in difficoltà qualsiasi pressione avversaria per la falcata con cui taglia il campo quando conduce il pallone).
Fino anche a Simeone, il quale, a dimostrazione della sua capacità senza uguali di stare immediatamente in partita, dopo essere entrato tocca (solo) due palloni (dicasi due) e rischia di fare (ben) due gol (dicasi due).
Tutti degni di una menzione di merito, insomma.
Ma, fra tutti, chi ieri sera mi ha impressionato è stato Anguissa (per me una conferma).
Sin dalle prime volte che l’ho osservato, mi ha ricordato Rijkaard: per il tipo di falcata quando conduce il pallone, per l’alterigia con cui sembra stare in campo e dominarlo, per la maestria con cui esegue ogni giocata che decide di eseguire, per la polivalenza (fenomenale in fase difensiva, fortissimo in quella offensiva tanto quando si tratta di trovare il passaggio o l’imbucata per il compagno, tanto quando si tratta di lanciarsi con o senza il pallone per dettare il passaggio ed aprire la linea difensiva avversaria), per la calma con cui gestisce ogni fase di gioco che è chiamato a gestire, per i colpi di testa in terzo tempo in mezzo al campo con cui non perde un duello aereo con chiunque gli si pari in zona.
A mio avviso, un giocatore fenomenale, di quelli che oggi si qualificano europei o moderni per via, appunto, della grande quantità di soluzioni che le sue giocate offrono e per l’elevata qualità con queste vengono eseguite, e che anche ieri si mostrava così tranquillo nel gestire i palloni che gli venivano recapitati che Spalletti ha dovuto sostituirlo perché a volte si pensa che la tranquillità vada di pari passo con la supponenza e quindi con il rischio di errori.
Ma quella era ed è tutt’altro: è la tranquillità del giocatore che affronta (con la stessa determinazione, si badi bene) l’ottavo di finale come la partita del giovedì, nel senso di non sentire alcuna pressione in grado di fargli cedere le gambe.
Un giocatore fenomenale.
Il Napoli segna il gol dell’1 a 0 all’esito di un’azione quasi gemella (per idea ed esecuzione di giocate) rispetto a quella con cui si procura il rigore (su questa torneremo, perché per me lì si compie la vera sublime giocata della partita) od a quella del gol annullato.
Lobotka, da maestro qual è, intercetta un pallone vicino alla linea di fondo della propria trequarti, capendo come al solito un secondo prima quale sia l’uomo chiamato allo scarico della palla da parte dell’avversario che la conduce.
Intercetta il pallone, dicevamo, e subito con un passaggio che sfiora per tutta la sua lunga gittata la linea del fallo laterale, lancia immediatamente Lozano nello spazio, quasi obbedendo ad un ordine che il messicano gli impartisce quando, appena vede che il suo compagno ha recuperato il pallone, glielo chiama indicando la zona dove lanciarlo con il braccio sinistro.
Lozano scatta sulla fascia destra per inseguire il pallone e si beve letteralmente il suo inseguitore (lo dicevamo: è imprendibile quando scatta in quella distanza), con un solo tocco si porta il pallone per guadagnare ancor di più la linea di fondo e per consentire ad Osimhen di arrivare in una possibile zona di luce per recapitargli il pallone.
50 metri di scatto (duplice, perché accompagnato dal proprio centravanti), un solo tocco al pallone, 6 secondi per eseguirlo.
Stiamo parlando di cose esagerate per chi vede.
Non appena Lozano si accorge che è arrivato il momento, crossa il pallone rasoterra con una forza impressionante, che tuttavia sa essere l’unica in grado di far arrivare il pallone ad Osimhen, proprio nella zona di nessuno (e di mezzo) tra il portiere ed il difensore avversario che sta scappando verso la propria porta per frapporsi ad una giocata del genere.
La quale, tuttavia, avviene con una tale velocità di esecuzione, che di fatto suona come una sentenza di condanna per la squadra tedesca.
Il pallone così calciato da Lozano arriva ad Osihmen, che di fatto non ha che da accompagnarlo in rete entrandoci anch’egli.
Il secondo gol è altrettanto bello per la qualità delle giocate che tutti e tre gli azzurri chiamati in causa effettuano.
Kvaratskhelia si incunea tra tre avversari dopo aver chiuso un triangolo con Zielinski (che in modo molto intelligente lo imbecca con un primo filtrante che lo mette di corsa a puntare di faccia la linea di pressione avversaria); quindi si accentra, scarica il pallone ad Anguissa e si lancia nello spazio fino al limite dell’area per chiamare ed andare a chiudere questo seconda triangolazione.
Anguissa riceve il pallone, ha già visto il movimento del compagno, ma ha un uomo di fronte che sembra chiudergli la linea di passaggio.
E che fa, allora, Anguissa? Pizzica il pallone con il piede destro in modo da dargli un effetto a rientrare con cui di fatto aggira letteralmente l’avversario ed in modo da far si che il pallone cada, dieci metri dopo, proprio sulla corsa di Kvaratskhelia che sta scattando li dove con il proprio movimento aveva chiamato il pallone.
A questo punto, il georgiano (ieri a mio avviso per niente buono: l’errore sul dischetto, in quella fase della partita, gronda sangue) fa un secondo capolavoro: così facendo, riceverebbe la palla sulla corsa che, se continuata in quel modo, lo porterebbe ad uscire dalla linea di luce della porta e ad andare sull’esterno, ed allora fa una giravolta su se stesso in modo da stoppare (anzi: addormentare) il pallone stando faccia alla porta e fermandosi in una zona in cui il pericolo per gli avversari rimane di altissimo livello.
Ed infatti, immediatamente vede che Di Lorenzo (nella sua ormai abituale zona di accompagnamento dell’azione offensiva: a rimorchio del portatore di palla ed in mezzo al campo) gli è dietro, e con un colpo di tacco in pratica gli ferma il pallone per il tiro.
Il capitano del Napoli, con la sua solita qualità, arriva in corsa sul pallone, e di prima (e di sinistro: non il suo piede) indirizza un pallone morbido e precisissimo sul paolo lungo, chiamandolo come un giocatore di biliardo chiamerebbe la pallina in buca d’angolo.
Gol fenomenale per azione d’insieme, giocata singola di tutti i partecipanti alla manovra ed esecuzione del tiro finale.
Ecco, parlavamo di Di Lorenzo.
Proviamo a riavvolgere il nastro e torniamo all’azione del gol del rigore: è qui che, secondo me, si compie una giocata strepitosa.
Il Napoli sta impostando l’azione da dietro, e Di Lorenzo si trova, un po’ più alto rispetto alla linea dei due centrali del Napoli, vicino alla linea del fallo laterale destra, in una fase di gioco (uscita del pallone dal basso) ed in una zona tipica per la ricezione del pallone da parte di Rrahmani.
E’ già direzionato, con la postura del corpo, per effettuare la giocata che poi farà, tipica di Politano.
E’ a tre quarti rispetto alla linea del passaggio che riceverà, perché questa postura gli consente, come poi farà, di calciare il pallone con il sinistro di prima nello spazio dove già Lozano sta scattando chiamandogli il passaggio.
Sembra una cosa da nulla, ma è una giocata che dimostra innanzitutto un’intelligenza calcistica rara, oltre che doti tecniche di prim’ordine: così facendo, il capitano del Napoli ruba almeno un tempo di giocata agli avversari, che mai si aspetterebbero una giocata del genere in una fase di uscita bassa del pallone dalla linea difensiva napoletana (se hanno studiato il Napoli, l’hanno vista fare ad un giocatore diverso, e cioè Politano, in una zona di campo diversa, e cioè almeno 20 metri più in là).
Sembra una cosa da nulla, ed invece ancora una volta documenta una conoscenza dei movimenti di squadra e del compagno prossimo ricevitore del pallone, oltre che una consapevolezza dei propri mezzi (si usa il piede non giusto per mettere un pallone nello spazio con i giri esatti per la corsa del compagno) da squadra che, sinceramente, è di un livello non immaginabile fino a 6 mesi fa.