Al Messaggero: «Negli anni ’70 il calcio era molto più violento. Ho viaggiato protetto sul cellulare della polizia. Sono un lavoratore, ho creato l’istinto con l’esperienza».
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Sul Messaggero una lunga e bella intervista a Dino Zoff. Parla di com’è cambiato il calcio.
«Il calcio è cambiato come sono cambiate le generazioni. Paghiamo l’esasperazione mediatica».
Il calcio è malato? Troppi soldi? Zoff:
«Il calcio non è malato, non per i troppi soldi. Quelli li produce il mercato. È il mercato che fa il prezzo: se è malato il calcio è malato il mercato».
Lo sport è maestro di vita? Zoff non ha dubbi:
«Lo è per me. È importante per il miglioramento dell’uomo. Perché ci sono delle regole, c’è un arbitro, c’è il pubblico, c’è un comportamento morale. Sennò è inutile mandare i bambini a fare sport solamente per fargli migliorare i muscoli».
Qual è il peggior difetto per un giocatore?
«Credersi immortale».
Ed il pregio più prezioso?
«La consapevolezza di dover migliorare. Almeno quando si è in attività, sempre».
Regole del gioco e regole della vita: qualcosa le unisce? Zoff:
«Dovrebbe unirle. Le regole dello sport per me sono straordinarie, mi hanno permesso di migliorare come persona e dunque nello sport».
Zoff si esprime su razzismo e tifoseria violenta:
«Oggi questi sono fenomeni molto superficiali. Ai miei tempi ho fatto dei viaggi protetto sul cellulare della polizia. Negli Anni Settanta le cose erano molto più violente. Adesso ogni grande o piccola contestazione viene amplificata molte volte, a dismisura».
Qual è la parola più bella che le viene in mente?
«Dignità».
Che cos’è per lei l’istinto? Zoff:
«Ho sempre cercato di capire l’istinto: se istinto è frutto anche del modo di essere nella vita. I grandi artisti forse non lo sanno da dove arriva la loro ispirazione. Io invece, che sono un lavoratore, ho creato l’istinto con l’esperienza».
C’è una cosa che avrebbe voluto fare e non ha potuto?
«No. Ho fatto il massimo, sempre. Ma non sono del tutto contento. Non mi accontento mai. È una mia presunzione: non sono così umile come appaio».
La rabbia è un sentimento che le appartiene? Zoff:
«Non ne soffro però ce l’ho, eccome. La rabbia mi assale per comportamenti in campo non in linea con lo spirito sportivo».
Che rapporto ha con il denaro?
«Lo ritengo utile, necessario, però viene dopo la dignità»
L’applauso del pubblico è un balsamo? Zoff:
«Si, fa bene al corpo e allo spirito. Quando manca bisogna guarire da soli».
La psicologia del campione di che cosa è fatta?
«Di voler sempre fare di più, di non accontentarsi mai perché si può sempre fare di più».
Quando si deve decidere di appendere le scarpette al chiodo?
«Purtroppo, quando si deve: quando arriva il momento capisci che stai chiudendo un’epoca della tua vita straordinaria che non si ripeterà più».
Il portiere per mestiere deve parare i tiri degli altri lei a chi vorrebbe aver fatto gol? Zoff:
«Ho invidiato gli artisti, anche calcistici naturalmente, da Sivori a Maradona a Platini. Inventavano le cose. Il portiere non inventa niente. Io sono un operaio specializzatissimo mentre un artista non deve imparare niente, crea».
Chi è il suo erede?
«In Italia ne abbiamo. Donnarumma, ha fatto delle belle cose fino adesso, poi Meret un altro giovane con un bel futuro».