A Repubblica: «Rinunciai ai diritti per avere una trasmissione su Canale 5, non ho mai guadagnato nulla. Leggo moltissimo, ho più di 5mila libri».

Su Repubblica una lunga intervista ad Umberto Smaila. Nato a Verona nel 1950 da una famiglia di esuli fiumani, è diventato celebre con “I Gatti di Vicolo Miracoli”, con Jerry Calà, Franco Oppini e Nini Salerno. In tv ha condotto il glorioso “Colpo grosso”, negli anni ‘80, su Italia 7. Smaila ne parla, soprattutto di quanto fece infuriare Ronald Reagan, che all’epoca era presidente degli Stati Uniti.
«Il successo di “Colpo grosso” fu strepitoso, quasi inaspettato. Milioni di telespettatori incollati alla tv. Qualcosa arrivò anche negli Stati Uniti tanto che un famoso programma televisivo, il Saturday Night Live mandò una troupe in Italia per riprendere lo spettacolo. A capo della troupe c’era Francis Ford Coppola che voleva comprare i diritti. Il problema è che quando andarono in onda, seppure coprendo i seni delle ragazze con stelline in elettronica, si scatenò un mezzo putiferio. Forse per un certo puritanesimo americano. Ma non ci fu solo Reagan. Anche Gheddafi si arrabbiò. Arrivò a minacciare di sparare un missile su Lampedusa perché con le parabole le ragazze cin cin erano arrivate anche da loro e a Tripoli la mattina i libici si alzavano stanchi con delle occhiaie così».
In Italia le critiche non mancarono. Smaila racconta:
«Ma sì. Qualche perbenista si indignò. Ma ci fu anche qualche attestato di stima inaspettato. Quando giocavo nella Nazionale Artisti Tv ci incontrammo contro una squadra di frati. Alla fine della partita uno di loro mi disse che da quando non lo conducevo più io, “Colpo grosso” non era più lo stesso. Davanti al mio stupore mi disse che lo guardava sempre. A posto così».
Il format di Colpo grosso è stato copiato un po’ ovunque. Smaila è diventato ricco?
«Lasciamo perdere, è una ferita ancora aperta. Quando me lo proposero era da tempo che lavoravo in tv. Potevo dire di sì o di no. Invece chiesi una contropartita. Avrei fatto “Colpo grosso” in cambio della conduzione di un programma della prima rete Fininvest. Così mi diedero una trasmissione per casalinghe il pomeriggio su Canale 5. Il problema è che mi fecero subito firmare un pezzo di carta volante in cui c’era scritto che cedevo vita natural durante i diritti per tutto il mondo. Quindi non ho guadagnato mai nulla. Se avessi preso almeno mezza lira per ogni puntata trasmessa di “Colpo grosso” adesso abiterei in via della Spiga a Milano».
Smaila racconta la fuga dei suoi genitori dal regime di Tito. Sia suo padre che sua madre erano originari di Fiume. Quando la città fu ceduta alla Jugoslavia se ne andarono. Girarono un po’ prima di fermarsi a Verona. Spesso, dopo la nascita di Smaila, la famiglia è tornata a Fiume.
«Be’ sotto il regime di Tito c’era una bella miseria. La mia famiglia aveva da poco comprato una Fiat 600. La riempivamo di ogni genere alimentare, tanto che dietro rimaneva a malapena un posticino per me. Eravamo accolti come se fossimo a bordo di una Cadillac, quasi come i parenti ricchi d’America. I beni di prima necessità spesso scarseggiavano. Insomma, non era il massimo. Detto questo, prevalgono i ricordi di un giovane ragazzo che andava in vacanza. C’erano tante ragazze, più aperte di quelle di Verona che allora era una città cattolicissima e chiusissima. Poi il mare era stupendo anche se bisognava stare attenti agli squali, come era scritto sulle porte dei bagni pubblici. Qualcuno delle volte si avventurava al largo e non tornava più indietro».
Smaila si racconta bambino:
«Il mio percorso scolastico è stato particolare. Alle elementari ero un piccolo genio, avevo tutti dieci. I miei genitori mi fecero studiare anche al conservatorio dove ho iniziato a suonare il piano, cimentandomi in composizioni anche di una certa difficoltà. Poi alle medie andavo bene. Mentre alle superiori diciamo che ero bravino, l’ho sfangata».
La voglia di studiare era passata?
«Avevo mille interessi, mi piaceva fare tutto tranne studiare. Al liceo classico Maffei di Verona avevamo messo insieme un gruppo musicale, gli Studio 24 perché eravamo appunto in 24. Poi pian piano il numero si è abbassato e siamo rimasti in quattro. Nascono così “I Gatti di Vicolo Miracoli. Con Franco Oppini ho fatto tutti i 5 anni, Nini Salerno era stato bocciato due volte – segno che la scuola non conta un cavolo – perché è la persona più colta che conosca. Gerry Calà arrivò dopo aver fatto due anni in uno a Locri. Lui era un po’ più giovane. Ci siamo diplomati nel ‘69».
Dopo il liceo, Smaila si iscrisse a Giurisprudenza.
«Ho fatto 15 esami poi ho chiuso. E, insieme agli altri tre, sono finito a Roma».
Cosa facevate nella Capitale?
«Un cazzo. Eravamo partiti perché ci avevano proposto di fare degli sketch televisivi sulla sicurezza stradale. Ma poi era sempre un casino, paghe da fame. Andavamo avanti a pane e acqua. Tanto che quando un manager riuscì a combinare un incontro importante di lavoro a Milano non avevo i soldi per l’accelerato notturno. Così andai al ristorante da “Maurizio e Natalino” a Corso Francia, dove vado tutt’oggi, e contrattai la vendita della mia collezione di dischi per pagarmi il biglietto».
Smaila racconta:
«Si intravedeva già la Milano da bere ma era anche una Milano da sparare. Diego Abatantuono, che allora era il nostro tecnico delle luci, delle volte arrivava tutto trafelato perché era andato a tirare i cubetti di porfido con Autonomia operaia. Agli spettacoli passavano spesso anche i gangster della mala. C’era Francis Turatello insieme a Franco Califano che si beveva l’immancabile drink, i fratelli Tiritiello. Insomma, si rideva tanto ma c’era anche da stare attenti».
All’improvviso Jerry Calà mollò il gruppo.
«È stata una botta dura perché non ce l’aspettavamo così a freddo. Eravamo impreparati. Con Jerry non ci siamo parlati per qualche anno. Ma sono cose che capitano. Ora ci sentiamo tutti i giorni».
Smaila racconta la sua trasformazione: a un certo momento ha iniziato ad andare sempre meno in tv e ad aprire i primi locali Smaila’s, come quello in Costa Smeralda.
«Ho trasformato il mio personaggio televisivo, creando il mio spettacolo dal vivo. Mi sono messo a girare l’Italia in lungo e in largo per locali, andando in pedana con la mia band davanti al pubblico. Pubblico che ancora oggi risponde numeroso. Nei miei locali sono passati un po’ tutti. Anche Niki Lauda, che era uno che non avrebbe mai mosso un dito nemmeno se c’era Michael Jackson, si scatenò tutta la notte al locale di Poltu Quatu in Sardegna. La sua fidanzata mi disse che non l’aveva mai visto divertirsi così. Sono soddisfazioni».
Smaila ha un ottimo rapporto con Silvio Berlusconi.
«Un amico, punto e basta. Abbiamo avuto un rapporto talmente stretto che è impossibile spingersi a dare qualche giudizio. Io lo farei presidente dell’Universo, dentro a una navicella spaziale con la bacchetta magica».
Racconta cosa fa quando non suona in giro per l’Italia.
«Passo molto tempo con la mia famiglia. Gli ultimi due figli, Greta e Roy, vivono ancora con me e mia moglie Fanny. Poi leggo molto, ho più di 5mila libri. Non c’è sera che non spenga la luce prima di aver letto almeno dieci pagine. Da giovane mi piaceva tutto Steinbeck ed Hemingway. Poi la Recherche di Proust che considero uno dei capolavori assoluti della letteratura mondiale. Amo tantissimo anche Storia della mia vita di Giacomo Casanova».