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Il gol di Kvaratskhelia è alla Di Canio, non alla Maradona

La forza del Napoli è simboleggiata da Gollini, forse Gasperini dovrebbe rivedere le sue scelte. Anche la sua fase difensiva visto come hanno chiuso su Kvara

Il gol di Kvaratskhelia è alla Di Canio, non alla Maradona
Napoli's Georgian forward Khvicha Kvaratskhelia (C) outflanks Atalanta's Danish defender Joakim Maehle (Rear C) and Atalanta's Italian defender Rafael Toloi (R) during the Italian Serie A football match between Napoli and Atalanta on March 11, 2023 at the Diego-Maradona stadium in Naples. (Photo by Filippo MONTEFORTE / AFP)

La partita è stata, ancora una volta, memorabile.

Strepitosa.

L’Atalanta ridotta a provinciale da settimana corta (anzi, nemmeno a quello), con ripristino di un po’ di quell’ordine platonico nelle cose (Napoli è Napoli, Bergamo è Bergamo: di questo mi assumo, da emigrato incazzato, tutta la responsabilità politica), che non fa mai male.

Una meraviglia.

Ciò detto, tre sono le cose di cui secondo chi scrive occorre parlare.

La prima, la più importante, è che bisogna avere rispetto della sacralità, della storia, del divino, ed anzi delle modalità attraverso cui si compie (si è compiuta?) l’apparizione del divino.

Di Kvaratskhelia, di questo fenomeno e del gol da fenomeno che ha segnato parleremo oltre (ed ovviamente); ma per cortesia, si evitino paragoni (prima ancora che blasfemi, molto provinciali, oltre che fortemente idioti) con Maradona, e si evitino quei cori riadattati che lo rievocano, perché altrimenti, a stimolare gli dei in modo idiota, si rischia che questi poi ci si mettono contro.

Quel dribbling che ogni domenica fa vedere a chi estasiato osserva (palla portata di destro, palla spostata verso la traiettoria destra, finta di crossare o calciare a rete, e poi palla chiusa e spostata verso la traiettoria sinistra, per poi continuare fino all’esaurimento dell’avversario), lo faceva vedere Di Canio, piaccia o no, e quindi davvero non c’è bisogno di scomodare nessun altro.

Dai, facciamo i seri, mica devo essere io a ricondurci ad equità.

La seconda cosa, seppure meno importante rispetto al blasfemo di cui sopra, è quella che fa capire come al momento la geografia del pallone sia cambiata, e l’esempio che segue ne è una dimostrazione pitagorica.

Si pensi a questo: Gollini – fino a tre anni fa il terzo portiere della nazionale, e che ad avviso di chi scrive già potrebbe essere il portiere titolare del Napoli (e lo sarà presto, vedrete) –  è un portiere che è sempre stato fortissimo (ieri ne ha dato un piccolo assaggio).

Fortissimo tra i pali, fortissimo nelle uscite alte e basse, fortissimo con i piedi, pulitissimo ed essenziale in ogni intervento a cui è chiamato, con un senso della posizione di prim’ordine.

Ebbene (senza ancora una volta scomodare i soliti noti, quelli cioè che entrano a 30 minuti dalla fine e che sarebbero titolari pressoché ovunque in serie A), oggi Gollini fa la riserva al portiere titolare del Napoli: teorema dimostrato.   

La terza, eccoci qui, è il gol di Kvaratskhelia.

Qui c’è da fare una premessa: proprio dalla foto che sta girando in rete (quella che mostra il georgiano da solo, in area, quasi circondato da sette avversari, mentre sta per calciare a rete), si evince un particolare che non si può fare a meno di citare se si analizza l’azione del gol in maniera seria ed imparziale.

In sostanza, una squadra in cui i difensori vanno a triplicare la marcatura sul portatore di palla avversario mettendosi in fila indiana tra di loro, e senza dunque posizionarsi in modo tale da: i) coprire preventivamente i possibili spazi che il georgiano potrebbe andare ad aggredire con la sua finta a rientrare; ii) non abboccare tutti e tre (girandosi nello stesso senso dopo la prima finta di tiro) alla stessa contestuale finta dell’avversario … ebbene questa è una squadra che ha bisogno di una forte ripassata dei fondamentali difensivi.

Gasperini (complimenti per l’avvicendamento Gollini – Musso!) dovrebbe dedicare la prossima settimana a rivederla quell’immagine, perché davvero non la si può vedere.

E qui chiudiamo la parentesi sull’altrui complicità, che altrimenti ci dicono che siamo di parte.

Però.

C’è il solito però, perché si parla di Kvaratskhelia.

La questione è che quasi tutti i difensori avversari (complici sia le imprese sul campo del georgiano, sia la narrazione che le accompagna) di Kvaratskhelia sono terrorizzati.

Ed il terrore, come la fretta, non è mai un buon consigliere.

Non sanno mai se la finta del tiro rimane allo stato di finta oppure no: e d’altronde, prenditela tu la responsabilità di battezzarla tale, di non chiudere lo specchio della porta (perché tanto poi il georgiano richiude il pallone sul sinistro) e farlo calciare a rete senza opposizione.

Sai, poi, che figura?

L’azione del gol parte con Anguissa che ruba palla al portatore avversario, subito indirizzandola (per la verità con rimpallo) verso Osimhen, che la riceve verso la meta campo e subito scatta verso la porta dell’Atalanta.

Kvaratskhelia, seguendo un’immaginaria linea parallela a quella della corsa del centravanti nigeriano, ne segue la traiettoria e scatta (con una velocità impressionante) per aggredire la zona dove il compagno gli scaricherà il pallone (cosa chiara, anche perche Osimhen ha ogni altra giocata chiusa dall’opposizione avversaria).

Così è.

Il numero 9 del Napoli porta palla fino a che può e fino a che non vede il compagno, libero da marcature, posizionato sulla tre quarti avversaria pronto a ricevere il pallone con la giusta postura del corpo ed il giusto  passo della corsa.

Kvaratskhelia riceve il pallone stoppandolo (prima carezza che gli dà!) con l’esterno del piede destro ed incollandoselo al corpo per eseguire la prossima giocata.

Da lì in poi, il georgiano – ad avversari terrorizzati come sopra – toccherà il pallone (con altrettante carezze!) altre 5 volte prima di calciare a rete e percorrerà, in questo modo, una distanza di non più di 20 metri.

Ma lo fa con una capacità di controllo del pallone, con una lucidità di pensiero e di giocata, con una forza fisica ed aerobica che ad oggi hanno pochi eguali al mondo.

In questa distanza così ricoperta, Kvaratskhelia prima si accentra e nel farlo finta il tiro; poi, mette a segno la finta rientrando, anzi svoltando e portandosi la palla verso la sinistra (ma sempre con il pallone attaccato al piede destro); poi – e qui secondo me esegue la vera prodezza – svoltando di nuovo verso destra, dove farà partire il tiro (in contro tempo) che il portiere si aspetta sul palo lungo e che invece lo beffa andando (quasi) dal lato opposto.

Ecco, dicevamo della seconda finta, quella eseguita per rientrare verso destra e prepararsi al tiro: a ben guardare, è una finta che il georgiano esegue con la semplice rotazione della caviglia, con la quale aiuta il piede a rimettere la palla in quella direzione.

In poche parole, mentre è in equilibrio sul pallone (anzi: proprio per rimanere in equilibrio sul pallone e per  non ruotare troppo il corpo rispetto all’asse posizionale che gli consente di rimanere faccia alla porta), dribbla tre uomini con una semplice rotazione di caviglia.

Una cosa pazzesca.

Ed infatti, con quella finta e rotazione della sola caviglia, Kvaratskhelia si consente di aggiustarsi il pallone per il tiro senza praticamente opposizione avversaria (nonostante siano in tre davanti a lui) e fa gol.

La partita, anzi il commento alla stessa potrebbe finire qui, ed in effetti finisce qui.

Perché è vero che c’è un gol bellissimo di Rrahmani, prodotto di un colpo di testa in terzo tempo sul cross diretto (e non su classico gioco a due) da calcio d’angolo, con palla direzionata sul palo opposto e Musso che, come si dice dalle parti in cui sono costretto a vivere, “salta una gazzetta (dello sport, n.d.r.).

E’ vero anche che ci sarebbe una sforbiciata di Osimhen alla Parola e da brividi su perfetto cross di Politano che se andasse a segno passerebbe alla storia.

E’ vero anche che a metà del primo tempo c’è una triangolazione in mezzo al campo tra Anguissa (che dà la palla di prima a Lobotka con colpo di tacco volante su un pallone a spiovere dopo un rimpallo) e lo stesso slovacco che gliela ridà non appena ricevuta in modo da far giocare il compagno faccia al campo dopo essere servito da sponda per questo.

E’ vero tutto questo, insomma.

Ma, diciamocelo … tutto è invece finito dopo quel gol.

Che però è alla Di Canio, non alla Maradona.

Restiamo seri.

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