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Il Napoli ha davvero sofferto a Lecce?

Non è stata una vittoria limpidissima. Ma il Napoli ha concesso pochissimo – quasi nulla – a un avversario che ha saputo metterlo in difficoltà.

Il Napoli ha davvero sofferto a Lecce?
Napoli's Portuguese defender Mario Rui (C) celebrates after Lecce scored an own goal during the Italian Serie A football match between Lecce and Napoli at the Via del Mare stadium in Lecce on April 7, 2023. (Photo by Filippo MONTEFORTE / AFP)

Non è facile affrontare il Lecce

Guardando e riguardando la partita di Lecce, si avverte chiaramente una mancanza di brillantezza da parte del Napoli. Solo che questa sensazione non può e non deve essere addebitata solo alla squadra di Spalletti. Alle mancanze fisiche, tecniche e tattiche manifestate dagli azzurri – tutte percezioni che vengono amplificate dal freschissimo ricordo della gara persa malamente contro il Milan. In questo particolare momento della stagione, infatti, il Lecce era un avversario davvero ostico da fronteggiare. Per una questione di stanchezza, di contingenze – l’assenza di Osimhen continua inevitabilmente a pesare: ne parleremo –  ma anche per il modo in cui Marci Baroni allena e schiera e fa giocare la sua squadra. Ci sono alcune immagini che anticipano e chiariscono molti temi tattici della gara. Eccone due:

Il Lecce tutto raccolto in pochissimi metri. Con la difesa a ridosso della linea immaginaria della trequarti.

Ecco alche alcuni numeri a supporto di queste immagini: in fase di non possesso, il Lecce ha tenuto un baricentro più alto rispetto a quello del Napoli (46 metri contro 40); nella ripresa, il dato complessivo – quello che tiene conto di tutte le fasi di gioco – è ancora più sbilanciato in favore dei giallorossi: i giocatori di Baroni hanno posizionato il loro baricentro a 56 metri, il Napoli a 38. La conseguenza di quest’ultimo dato è che la squadra di Spalletti ha dovuto allungarsi tantissimo in campo, fino a raggiungere quota 47 metri; allo stesso tempo, il Lecce è rimasto raggruppato tutto in 29 metri.

Se a tutte queste cifre aggiungiamo quelle bulgare relativi al possesso palla (31% per il Lecce, 69% per il Napoli), ne viene fuori l’essenza tattica della partita: il Lecce non ha mai concesso profondità al Napoli, perché è rimasto sempre compatto all’altezza della metà campo. Allo stesso tempo ha lasciato la palla agli avversari, preferendo accorciare il campo in fase difensiva. Ovvero, il miglior modo possibile di difendere contro un attacco guidato da Raspadori, che per caratteristiche preferisce legare il gioco piuttosto che aggredire gli spazi. Tra l’altro, Raspadori “paga” uno scarto di 20 e 10 centimetri rispetto a Baschirotto e Umtiti, che però sono anche due difensori rapidi, esplosivi – soprattutto Baschirotto.

La mappa dei 27 palloni giocati da Raspadori. In questo campetto, il Napoli attacca da destra verso sinistra.

Di conseguenza, il Napoli ha provato ad allargarsi e ad allargare molto il giropalla. Anche in questo caso i numeri sono eloquenti: la squadra di Spalletti ha costruito il 79% delle sue manovre sugli esterni. E proprio dagli esterni sono nate le due azioni che hanno permesso agli azzurri di portare a casa la partita. La punizione da sinistra di Mário Rui – quella che poi si è trasformata nel cross di Kim Min-jae e nella testata vincente di Di Lorenzo – è stata conquistata da Lobotka dopo uno scambio a tre con Elmas e Mário Rui; il cross deviato maldestramente in porta da Gallo – e anche lisciato dal portiere Falcone, va detto anche questo – arriva al termine di una lunga manovra di accerchiamento. Sempre a sinistra:

Un gol dall’enorme peso specifico

Questo video non è stato scelto né inserito a caso: si vede chiaramente come e quanto sia importante il lavoro di Raspadori a fare da muretto, come si suol dire: con i suoi movimenti tra le linee di difesa e centrocampo del Lecce, l’attaccante del Napoli si è fatto servire e poi ha smistato il pallone ai compagni. Così si sono creati i presupposti per il cross decisivo. È un lavoro importante, e porta a qualcosa di diverso rispetto a ciò che garantisce Osimhen: come abbiamo visto prima con il campetto posizionale in cui c’erano tutti i palloni giocati da Raspadori, senza Osimhen il Napoli perde gran parte della sua capacità di verticalizzare il gioco e anche di far aprire le difese avversarie. Il centravanti nigeriano, infatti, non si butta solo negli spazi alle spalle dei centrali, ma aggredisce costantemente anche quelli accanto e dietro i terzini.

Elmas era ovunque

Insomma, per la gara contro il Lecce Spalletti ha dovuto studiare e mettere a punto delle nuove soluzioni per poter vincere la partita. Tra l’altro ha dovuto farlo contro un avversario geneticamente difficile da affrontare senza un attaccante in grado di attaccare la profondità. O, quantomeno, di trasmettere tensione ai centrali avversari con la sua semplice presenza, non solo fisica. Una di queste soluzioni è stata cercare di diversificare posizionamenti e funzioni nella fase di costruzione. Per farlo, Spalletti ha pescato Eljif Elmas dal mazzo, e l’ha schierato nel suo (ormai dimenticato, o quasi) ruolo naturale di mezzala.

In alto, i 63 palloni giocati da Elmas; nei due frame sopra, si vede Elmas impostare in posizione da difensore centrale e poi agire da sottopunta, in posizione molto più centrale e molto più avanzata rispetto a Lobotka e Anguissa.

Come si vede chiaramente in queste immagini, il campetto con tutti i suoi palloni giocati e i due fermo-immagine, Elmas non ha giocato solo da mezzala. O meglio: ha interpretato il ruolo di mezzala in modo estremamente moderno, muovendosi moltissimo in tutte le direzioni. A volte era lui a sostituirsi a Lobotka nella salida lavolpiana, ovvero a scendere in mezzo ai centrali per impostare dal basso in superiorità numerica. Allo stesso tempo, Elmas ha lavorato moltissimo anche sull’esterno e persino come trequartista centrale, come se in alcuni momenti il Napoli si schierasse con il doble pivote Lobotka-Anguissa.

Ovviamente si tratta solo di suggestione: in realtà il Napoli di Spalletti adopera tantissimo le rotazioni di centrocampo, soprattutto tra le due mezzali. A Lecce, con Elmas schierato al posto di Zielinski, questa dinamica tattica è come se si fosse esasperata. Anche perché, come la quasi totalità degli allenatori di Serie A, Marco Baroni ha cercato di limitare Lobotka: per farlo non ha predisposto una marcatura fissa su di lui, piuttosto una schermatura a più uomini, una sorta di gabbia, come ha spiegato chiaramente il match analyst Marco Lai in questo piccolo thread tattico:

In un contesto del genere, un calciatore come Elmas – un eclettico in grado di giocare ovunque e di essere ovunque – può essere estremamente funzionale. A Lecce è andata proprio in questo modo, anche passando attraverso le sostituzioni e i conseguenti cambi di posizionamento in campo: dopo gli ingressi di Simeone e Ndombélé al posto di Raspadori e Lozano, Elmas è stato spostato sulla destra; a fine partita è stato spostato a sinistra, con Kvaratskhelia nell’inedita posizione di prima punta.

Kvara

Proprio la gara di Kvara offre diversi spunti interessanti. Il primo riguarda il suo moto perpetuo, e non solo perché – come detto nel paragrafo precedente – ha giocato alcuni minuti, gli ultimi della partita, nello slot di prima punta. L’esterno georgiano, infatti, si è proposto diverse volte in zona centrale per creare linee di passaggio, e in alcune occasioni è andato addirittura a esplorare la fascia destra. Anche questo deve essere stato un accorgimento ideato e attuato da Spalletti per vivacizzare un po’ l’attacco posizionale della sua squadra.

Kvara non è solo un esterno, come si vede dalla mappa dei suoi palloni giocati

Nonostante – oppure, chissà, anche per merito di – questa sua libertà interpretativa, l’esterno georgiano è stato il giocatore azzurro più creativo: 3 dribbling riusciti, record in campo condiviso con Federico Di Francesco, e 2 passaggi chiave. Anche i numeri senza palla sono soddisfacenti: con 5 eventi difensivi, risulta il centrocampista e/o attaccante del Napoli con il contributo più alto in fase di non possesso. Considerando la partita sporca – anzi: sporcata dal Lecce – che ha dovuto fare e vincere la squadra di Spalletti, si tratta di un ottimo segnale: Kvara riesce a essere una fonte di gioco sempre viva, un’ispirazione continua per i suoi compagni. Anche se il calcio praticato dal Napoli non riesce a essere fluido e veloce come nelle giornate migliori.

In difesa

Sull’idea per cui il Napoli non abbia giocato una grande partita pesa certamente anche il gol subito. È come se la girata di Di Francesco, subito dopo la traversa di Ceesay, avesse sublimato la sensazione che il Lecce potesse essere e fosse costantemente pericoloso in avanti. Ma c’è della sostanza, quindi della verità, dietro questa sensazione? I numeri suggerirebbero di sì: il Lecce, infatti, ha terminato la partita con più tiri tentato rispetto al Napoli (11-9). La gara del Via del Mare, però, è una di quelle in cui le statistiche assolute risultano fuorvianti. Per un semplice motivo: addirittura 8 di queste conclusioni del Lecce sono arrivate direttamente o su immediato sviluppo di calcio piazzato.

Se andiamo ancor più in profondità nello spacchettare questi numeri, scopriamo che il Lecce ha messo insieme 4 tiri nei primi 10 minuti di partita. E poi zero fino al recupero del primo tempo. Sì, esatto, avete letto bene: per oltre 35 minuti, la squadra di Baroni non ha tentato una sola conclusione verso la porta di Meret. Inoltre, andando ancor più nel dettaglio, scopriamo che tutte i 6 tiri scoccati dal Lecce nella ripresa sono arrivati su azioni nate da fermo.

Certo, è fondamentale pensare che le partite si possono vincere e quindi anche perdere a causa di corner o punizioni, che certe situazioni di gioco debbano essere allenate. Allo stesso modo, però, il Napoli ha concesso pochissimo – quasi nulla – a un avversario che ha saputo metterlo in difficoltà. Ieri come nel match d’andata. Per vincere titoli importanti, soprattutto un campionato di 38 partite come quello di Serie A, si deve passare necessariamente da certe partite. Da certi successi non proprio limpidissimi.

Conclusioni

Insomma, si può dire il risultato finale di Lecce-Napoli valga molto di più, per la squadra di Spalletti, rispetto a qualsiasi considerazione tattica. Proprio per questo, però, il fatto che il tecnico toscano abbia ripreso a muovere le sue pedine in campo, a sperimentare, è un valore aggiunto. Come dire: pur essendo ancora una squadra ancora e perennemente in costruzione, perché il tridente Lozano-Raspadori-Kvara non si era mai visto in campionato, perché Elmas mezzala ma anche costruttore di gioco è una novità sostanziale, il Napoli riesce comunque a vincere le partite. E a soffrire in maniera blanda, solo perché il risultato non è mai stato messo al sicuro.

Tutto questo non vuol dire che il Napoli non debba migliorare in vista della sfida con il Milan in Champions: la squadra di Spalletti, come detto anche all’inizio, ha dato l’impressione di essere poco brillante, Anguissa su tutti sembra essere davvero in riserva. Allo stesso tempo, però, un Lecce ben disposto in campo è riuscito a creare apprensioni solo percepite, non propriamente reali. E in fondo parliamo di una squadra che ha fermato gli azzurri all’andata, la Lazio, il Milan, la Roma e ha battuto l’Atalanta per due volte.

Insomma, non era una partita scontata. A maggior ragione pochi giorni dopo un rovescio come quello contro il Milan. Il fatto che il Napoli ne sia venuto a capo segna una distanza netta, anche di evoluzione tecnico-tattica, rispetto al passato. Ora ci sarà da capire se la sensazione di scarsa brillantezza avvertita nelle ultime due gare sia più un fatto mentale, magari legato alla tranquillità garantita dalla classifica e quindi alla concentrazione rivolta al grande appuntamento di Champions League, che di campo. Mancano poche ore al fischio d’inizio di un altro Milan-Napoli, il momento in cui inizieremo a scoprirlo.

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