A Il Fatto: «Con Berlusconi ho condiviso il lattaio. Quando il piccolo Silvio veniva mandato dalla mamma a comprare il latte si faceva la cresta».
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Su Il Fatto Quotidiano una lunga intervista a Enrico Bertolino. In tv ha esordito nel 1996 con il “Seven Show”. Dal 1997 è su “Zelig”. Da lì la sua carriera è decollata con spettacoli, televisione e cinema.
Bertolino parla dei colleghi che spesso dimenticano da dove vengono:
«Molti dei miei colleghi dimenticano da dove sono partiti e all’improvviso si sentono Clark Gable o Gilberto Govi; in realtà vorrei dirgli: “Scusa, ma non sei lo stesso che ho conosciuto ai tempi di quel localaccio ad aspettare che ci pagassero dopo i camerieri?».
Confessa che, a 62 anni, ancora si incazza molto per il calcio, anche se va pochissimo allo stadio. Racconta, in particolare, un episodio che lo vide protagonista con Simeone.
«L’ho solo prese una volta; non c’entravo niente. Ero al Bernabeu invitato per Real Madrid-Lazio; alcuni insultano la moglie di Simeone, presente allo stadio e già allenatore dell’Atletico. Mi rivolgo a uno di loro, il più avvelenato, e lo invito a smetterla. Peccato che nel frattempo arriva proprio Simeone a regolare i conti, allora mi piazzo in mezzo per evitare la rissa e ovviamente ricevo il ceffone. Una pappina clamorosa; una cosa del genere non mi è capitata neanche ai tempi delle trasferte per l’Inter, quando poverissimo finivo per sbaglio in mezzo ai tifosi avversari. Errore del presidente della squadra per la quale giocavo: ogni tanto mi allungava dei ticket, e ogni tanto si confondeva e prendeva quelli nel settore degli avversari. Ho visto un Torino-Inter in mezzo agli ultrà granata che indossavano il casco con le corna».
Bertolino racconta la sua infanzia non agiata.
«Non ero povero, con la mia famiglia rientravamo in quel proletariato emergente dalle sabbie mobili; mia madre il venerdì ci comprava la pizza bianca, noi contenti, in realtà era l’unico alimento che ci potevamo permettere perché erano finiti i soldi per carne e pesce; però non eravamo gli unici, in quel periodo era così, poi è arrivata la banca».
Cosa le è mancato per il salto? Bertolino:
«Il talento. Da attore è importante il talento, poi da maturare nelle accademie, mentre per il cabarettista è importante il senso della sfida con te stesso. Perché quando sei sul palco il pubblico è impietoso».
Sulla sua adolescenza e sulla fuga dalla droga:
«Amo i ricordi che ti salvano dal pianto; in qualche modo ti evitano la cocaina o altre droghe. Non le ho viste, l’ipocondria mi ha salvato, oltre all’educazione cattolica imparata all’oratorio che tanto dà e altrettanto toglie. È una realtà ovattata, sottrae lo slancio, la possibilità di cavartela ovunque; però alcuni dei miei amici di quartiere li ho persi per colpa dell’eroina. Abito sempre lì: da 60 anni all’Isola di Milano».
Bertolino racconta di aver condiviso il lattaio con Berlusconi:
«Abbiamo condiviso il lattaio, il signor Ettore, testimone di una storia meravigliosa. Il piccolo Silvio veniva mandato da mamma Rosa da Ettore, fino a quando mamma Rosa decide di presentarsi a bottega: “Come mai il latte è così caro? Ormai costa 60 centesimi”. “Ma è sempre a 40!”. Il piccolo Silvio ne intascava 20».
Con il cinema non ha un grande feeling. Bertolino spiega:
«Perché ho iniziato con il piede sbagliato, con l’ultimo di Alberto Sordi, e tutti me lo avevano sconsigliato, ma per me lavorare con lui era importante; noi lo chiamavamo maestro, poi arrivava Valeria Marini e urlava. “Albe’, Albe’”. Lui la guardava con benevolenza, come fosse un gatto bagnato; nella prima scena si girava il matrimonio della Marini. Io stavo sul sagrato. Arriva l’attrezzista e con modi sommari mi domanda: “Che stai a fa’ qua te?”. “Sono un attore”. “Che sei te? A mitomane, vie’ via”. E mi trascinò di peso, fino a quando incontriamo Sordi: “Quello è Bertolino, lascialo lì!”».
È stato deludente conoscere Sordi? Bertolino:
«Una meraviglia. Sono pure andato alla camera ardente alle 3 del mattino, pieno di gente, con le persone anziane che distribuivano fiori agli altri. Se ci penso ho la pelle d’oca».