Non è solo una vittoria di campo, è un modo diverso di stare al mondo, di concepire la vita e lo sport
È stata una partita bellissima, che ha offerto uno spettacolo all’interno dello spettacolo.
Mi riferisco, in particolare, a quello che si è innanzitutto visto da parte della Juventus e dell’arbitro mandato a dirigere la partita.
Il pugno vigliacco di Gatti a Kvaratskhelia, per esempio: vigliacco perché è un gesto, un comportamento letteralmente esorbitante rispetto a quelli che in una partita di calcio si dovrebbero adottare, da cui chi lo subisce non può difendersi (nel senso di evitarlo) sia perché non se lo aspetta (si sta giocando a pallone, in effetti), sia perché di spalle all’offensore; vigliacco perché, c’è da giurarsi, Gatti mai si sarebbe permesso di farlo ad Ibrahimovic, perché ben consapevole che poi, nello spogliatoio, avrebbe dovuto mettersi a cercare i suoi denti per terra grazie alla luce dell’I phone di ultima generazione con cui se ne va in giro.
E, in uno con il gesto di cui sopra, la sua mancata espulsione da parte dell’arbitro, di cui nemmeno mi ricordo il cognome.
E c’è un perché: non me lo ricordo perché tendo a ritenere che gli attori protagonisti, in campo, debbano essere i calciatori, e perché nel 2023 è ormai arrivato il momento di superare l’antico stupido approccio per cui l’errore umano fa parte del gioco.
Fa parte del gioco una sega: qui o ci si rende conto che investimenti ed aspettative (economiche e di passione) devono poter essere sublimate o deluse solo ad opera dei giocatori in campo, facendo un passo oltre lo stato dell’arte e facendo dirigere la partita congiuntamente agli arbitri in campo ed a quelli davanti alla Var (certo, mi si dirà, potrebbe ancora esserci margine di errore: ma un conto è cercare di evitarli per quanto possibile, un conto è mantenere questa continua possibilità di poter sbagliare), oppure il pozzo continuerà a rimanere avvelenato.
Come si fa, sempre con riferimento al primo dei due spettacoli offerti dalla partita, a non rendersi istantaneamente conto, pur essendo vicini all’impatto, che l’azione del gol della Juventus, poi per fortuna annullato, nasce su un chiaro fallo di Milik su Lobotka? Come si fa? Davvero era necessario andarselo a rivedere alla Var l’episodio? Davvero era necessario dare, ancora una volta, quest’impressione per cui, quasi come riflesso condizionato dal palmares di una delle due contendenti, il primo fischio deve sempre e comunque essere a favore della Juventus, quale potente di turno?
Ecco, io penso di no: e penso che se davvero si vuole aprire il calcio (italiano) ad un’effettiva alternanza sportiva di vittorie, tutto questo non può non passare attraverso il superamento dell’impostazione lobbista che vuole gli arbitri sempre, comunque ed ancora al centro del gioco ed attraverso la definitiva entrata in un sistema in cui l’arbitraggio sia conseguenza di una conduzione sistemica che sia effettivamente il prodotto da uomini e tecnologia, in ogni fase della partita.
Certo, si entrerà così definitivamente nell’era delle emozioni post datate come pure giustamente si è detto: e tuttavia, nulla è gratis, e se vale ad evitare e cose viste nell’ultimo trentennio, ben venga.
Ed ancora, a proposito dello spettacolo nello spettacolo, che dire delle simulazioni che ancora Cuadrado ci fa vedere, per nulla esausto dalle pratiche di tutti questi anni?
O, ancora, che dire di Allegri che con il solito sorriso nervoso attaccato al suo viso come l’effetto di una paresi ischemica, fa finta di andarsene via dal campo per poi, due minuti dopo, ritornarci con la grande delusione di chi scrive, che da sempre ritiene che sia arrivata l’ora per cui si dedichi definitivamente al torneo del Gabbione a Livorno?
Insomma, tutto eccezionale, non c’è che dire.
Tutto eccezionale.
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Fino ad arrivare, infine, al vero spettacolo, quello offerto dal Napoli.
Che, innanzitutto, sembra aver anche ieri proposto un altro (nel senso di alternativo) modo di vincere.
Ne sono la prova il fair play di Osimhen e la correttezza estrema di ogni giocata difensiva che ha visto protagonisti i calciatori azzurri: avverso quel detto, ovvero quella stronzata colossale per cui vincere è l’unica cosa che conta, ecco che la pulizia di gioco e di atteggiamento del Napoli suona come un salvagente in mezzo a questo mare di nulla che è diventato l’agone sportivo.
E poi il recupero di Lozano su Chiesa, intorno al 64esimo del secondo tempo, un recupero di una bellezza atletica di prim’ordine: Lozano (unica pecca della partita di ieri: averlo cercato poco, lui che dall’uno contro uno con Danilo usciva ogni volta vittorioso) è un giocatore molto più forte di quanto si pensi, anche se a volte sembra poco calato nella partita; anche ieri, tuttavia, ha dato un saggio di cosa significhi saltare sistematicamente il primo uomo che va a contrastarlo ogni volta che vuole.
E poi lo strapotere fisico e tecnico di Anguissa, che ieri è tornato il giocatore dominante che tutti conosciamo: un giocatore fenomenale, sempre attento a dove cadrà qualsiasi seconda palla di centro campo, sempre in piedi e vittorioso nei contrasti, con quell’eleganza sopraffina che ne caratterizza ogni stop, ogni avanzata di campo palla al piede, ogni controllo fatto per addormentare il pallone in mezzo a schiere intere di avversari che lo pressano.
E poi la dedizione di Juan Jesus, che ieri ha giocato una partita molto più esemplare di quanto si pensi: sempre attento in fase di difese preventive, sempre attento a partire un paio di metri dietro per evitare di farsi tagliare fuori dallo scatto avversario, sempre attento e pulito nell’uscita del pallone.
E poi, ancora, la sfrontatezza con cui Elmas è entrato in partita, i suoi cambi di marcia e di direzione, le sue imbucate morbide a cercare il compagno (per la sponda o per la giocata definitiva di quest’ultimo) dentro l’area di rigore avversaria in mezzo a selve di gambe avversarie.
E poi, ancora, il coraggio di Lobotka e Kvaratskhelia, che hanno lottato come due leoni senza mai lesinare energie fisiche e, soprattutto, senza mai abdicare a quello che da loro ci si aspetta anche quando il gioco si fa duro: e cioè fantasia, lucidità nella scelta migliore quanto alla giocata da effettuarsi, sagacia nella gestione del pallone rispetto alle fasi di gioco che si attraversano.
E poi, infine, Zielinski che dopo il gol di Raspadori si lascia cadere per terra esausto, quasi e buttare fuori da sé l’ansia dell’inseguimento di uno scudetto atteso da tre decenni: è un’immagine bellissima, un’immagine dai contorni sportivi epocali, l’immagine dell’arrivo al traguardo, l’immagine dell’estasi.
Un Napoli, insomma, spettacolare, che ieri ha fatto vedere, specie nei 30 minuti iniziali del secondo tempo, di essere una squadra in grado di poter dominare, senza colpo ferire, per i prossimi anni a questi livelli, una delizia da vedere, come il gol che sbatte in faccia nei minuti di recupero alla Juventus e all’Italia intera che lo voleva morto dopo la semifinale persa.
Zielinski riceve palla nella tre quarti avversaria e la scarica su Elmas, in posizione da esterno a tre di attacco, che di prima la crossa morbida al centro dell’area.
La difesa della Juventus commette l’errore di preoccuparsi solo di Osimhen (che anche ieri ha fatto vedere cosa significhi saltare di testa) lasciando, specie il difensore che sta chiudendo la diagonale difensiva proprio addosso al centravanti nigeriano, spazio dietro l’ultima linea di difendenti bianconeri.
Uno spazio in cui si è già posizionato a ricever il pallone Giacomino Raspadori, il quale, in coordinazione così perfetta da potersi definire scolastica, calcia al volo con il piede sinistro (non il suo preferito, quanto è bello avere giocatori in squadra che hanno varietà di colpi e giocate) e la mette in rete.
Altro non c’è da dire.