Due partite: il San Lorenzo e il River. Calca, tifo incessante, donne, bambini. Non c’è pay tv né default in grado di arrestare la voglia di calcio
Metti due sere allo stadio a Buenos Aires. Cronache da un mondo surreale.
Il ruggito della curva dopo un gol sbagliato, il canto di migliaia di tifosi che si alza al tramonto nel cielo della capitale, sempre uguale e diverso da ogni stadio di quartiere. Le strade bloccate intorno allo stadio, i cordoni di polizia, l’assenza di tifosi ospiti e le scarse misure di sicurezza all’interno di “curve” dove si fa in fretta a finire travolti dalla calca. Una passione senza eguali, con un tifo che trascende quello che succede sul terreno da gioco e diventa comunità, amore, storia, profonda umanità. Insomma, il calcio argentino è una continua contraddizione in termini.
Quando mi hanno detto che sarei stato due settimane a Buenos Aires per lavoro vi confesso candidamente che andare a vedere una partita di calcio non rientrava tra le mie priorità. Non perché non sia un tipo da stadio, anzi tutto il contrario, visto che solo nell’ultimo anno ho visto dal vivo squadre di 5 campionati diversi. I motivi erano legati a questioni di ordine pubblico e alla scarsa voglia di andarmi a cacciare dentro a situazioni complicate. Sono già stato rapinato una volta in America Latina e mi è bastata.
Poi però è capitato che due cari amici tifosi dell’Aston Villa – impallinati di calcio e di storie di calcio quanto me – mi abbiano informato che sarebbero stati anche loro nella capitale durante la prima delle mie due settimane. Intenzionati al 100% ad andare a vedere più gare possibili, mi hanno chiesto se sarei stato dei loro. Messo di fronte ad una scelta, ho deciso di andare a vedere il San Lorenzo e il River Plate, pagando i biglietti ben cari, perché nel primo caso li abbiamo presi in tribuna per evitare di stare nel casino, mentre nel secondo se non si è soci della “banda” il prezzo sale vertiginosamente e ci siamo accontentati della curva opposta a quella degli ultras.
Tutto questo mentre l’Argentina corre veloce verso un default finanziario annunciato. Nel giro di una settimana il cambio non ufficiale tra euro e peso che mi fanno in hotel passa da 420 a 445 a 460, in un’ascesa vertiginosa che difficilmente si fermerà senza uno schianto. Il risultato è che se si evitano le trappole per turisti un caffè e un cornetto in centro costano un euro, due pizze e una coca cola ne costano 6. I biglietti delle partite invece li pago 100 dollari l’uno, ma non devo capire come ottenerli perché i miei amici inglesi si sono messi nelle mani di una mezza matta che si fa chiamare Pau e che è una vera forza della natura.
Pau, che avrà una cinquantina d’anni e due occhi vispissimi sotto una testa di capelli grigio-biondi, nella vita si occupa di portare argentini e stranieri in giro per gli stadi di Buenos Aires, nessuno escluso. Chiacchierona a dir poco, tifosa sfegatata del Boca e portatrice sana di un entusiasmo fanciullesco verso il calcio e ciò che lo circonda, usa una serie di tassisti fidati per portare i suoi clienti fino alle porte degli stadi con il biglietto in mano, evitandogli ogni possibile scazzo. A quel punto dà appuntamento al 90′ più recupero nello stesso posto. Ovviamente il servizio si paga, ma ne vale ampiamente la pena.
La nostra prima partita è il giovedì sera allo stadio Pedro Bidegaín – che se siete un minimo appassionati conoscete come “nuevo Gasometro” – casa temporanea dagli anni ’90 dei “corvi” del San Lorenzo de Almagro. Sono la squadra di papa Francesco e hanno vinto la loro unica Libertadores nel 2014 sotto la guida sapiente del “patón” Bauza. Per arrivare allo stadio si attraversa il loro quartiere di Boedo dove ancora si erge il vecchio Gasometro in cui sperano un giorno di tornare a giocare. Il problema è che il nuovo impianto, stupendo e ci arriviamo, sorge circondato da una serie di “villas”, che non sono case di lusso ma l’equivalente argentino delle favelas. Qui è vietato iniziare partite più tardi delle 19, per questioni assai spicciole di sicurezza. Di conseguenza arrivarci a piedi è una pessima idea che se mai passaste di qui dovete levarvi dalla testa.
Lungo la strada, c’è chi griglia carne a tutto spiano dentro a bidoni di latta tagliati in due e tanta gente che avrebbe tanto bisogno di un buon bagno, ma probabilmente non ha mai avuto l’acqua calda in casa. L’ingresso allo stadio è rapido e indolore, un controllo e via. Ci inerpichiamo su per le scale che portano alla tribuna, per arrivare a vedere il campo, dove il colpo d’occhio è incredibile. Ci scambiamo un sorriso di intesa e aspettiamo con pazienza il calcio d’inizio che dista un’ora comprando sciarpe e hamburger: visto che non ci sono stati imprevisti siamo in anticipo. Notiamo tanti altri tifosi che hanno le maglie e le tute ufficiali nuove griffate Nike, segno di una città con disuguaglianze profondissime.
Ma ecco che a una mezz’ora dal calcio d’inizio succede quello che stavamo aspettando. Preceduta dal suono delle trombe e dei tamburi entra nella curva alla nostra destra La Gloriosa Butteler, il gruppo di tifosi più famoso di Buenos Aires per quanto riguarda il volume, l’attaccamento totale alla squadra, la creatività nei cori spesso copiati dalle altre squadre e il generale senso di vitalità che emana. Ne saremo ipnotizzati per tutta la partita, complice anche l’acustica perfetta dello stadio, che in città è noto anche come il “cenicero” (posacenere) per via della forma e dei buchi tra le tribune. Anche gli altri tifosi dei distinti partecipano alla partita con trasporto, e c’è un’atmosfera familiare e appassionata.
La partita di per sé è trascurabile, una gara del girone di Copa Sudamericana contro i brasiliani del Fortaleza che termina con uno sfortunatissimo 0-2 ai danni dei volenterosi padroni di casa che attaccano tutta la partita senza buttarla mai dentro e vengono puniti nel finale da due gol nati da rimpalli rocamboleschi. Si segnala solo con la sua numero 10 il furetto Cristian Berrios, che dall’alto del suo 1.56 è uno dei giocatori più unici del campionato con i suoi tocchi di suola e le sue pause di riflessione per poi accelerare. Chissà che un futuro non lo vedremo esportare il suo calcio d’altri tempi in Europa. Nel finale di partita nonostante il passivo immeritato La Gloriosa Butteler canta sempre più forte per fare sentire il suo solidale calore ai suoi beniamini. Mentalità. Lasciamo il Nuevo Gasometro con la consapevolezza di aver assistito a qualcosa di raro e con l’idea di fondo che al River l’esperienza sarà sicuramente diversa.
Le prime impressioni della domenica ci confermano questa idea generale. Arrivare allo stadio Vespucio Liberti, il Monumental, che dopo l’ultima ristrutturazione è diventato Mas Monumental, è relativamente semplice. Quello che stupisce sono i tre livelli di sicurezza con la polizia in piena uniforme per accedere allo stadio a piedi. È davvero necessario? Quello che è certo è che a Buenos Aires il calcio sposti ogni fine settimana centinaia di migliaia di persone attraverso la città e che una buona fetta del bilancio dell’ordine pubblico sia dedicato all’organizzazione di questi eventi regolari. Di liti o violenza noi non ne abbiamo vista, ma il nostro campione limitato lascia il tempo che trova.
Con noi stavolta ci sono altre tre persone su un altro taxi: un argentino, un turista olandese e un italiano appassionato che ne sa a pacchi di calcio, e che ha fatto parte della cordata che ha salvato il Cesena FC dal fallimento. Con lui parlo di come il tifo sia cambiato in Italia e di come uno stadio come il Mas Monumental di oggi sarebbe impossibile da noi, con la gente una sopra l’altra e i posti in piedi. Sì, perché sarà anche vero che i tifosi del Boca chiamano lo stadio degli odiati rivali “il frigorifero” per la sua supposta freddezza, ma andare in curva è un esperienza che ci riporta agli anni ’90: niente posti assegnati, gente che si assiepa in ogni pertugio disponibile.
Sì perché nel primo anello dietro la porta dove abbiamo il biglietto c’è gente che spintona a destra e a sinistra, a costante e reciproco contatto fisico con una massa pulsante di sconosciuti pigiati a fondo che cantano cori, imprecano, fumano marijuana e scambiano battute rapide sulla partita. Muoversi durante l’intervallo è assolutamente impensabile. C’è addirittura qualche energumeno che trascina i figli piccoli in mezzo alla calca, bambini che non arrivano al metro di altezza e che per forza di cose della partita non vedranno nulla a meno di non essere in prima fila o di non salire sulle spalle di qualcuno. Tanta la presenza femminile, come abbiamo notato in tutta la città: alle argentine il calcio piace da matti e non ne fanno alcun mistero.
Intanto in campo il River ha davanti un Independiente che ora come ora è di una categoria inferiore, ma si difende con le unghie e con i denti, grazie anche a una prestazione immacolata di Rodrigo Rey in porta e una serie di tackle eroici dei difensori. Il risultato è comunque una vittoria 2-0 con un finale in 11 contro 10, per l’espulsione di Damian Pérez per somma di ammonizioni. Ai gol lo stadio esplode con tutta la potenza dei suoi 80mila spettatori, per poi continuare in canti e cori di goliardica felicità dove si promette ogni nefandezza agli avversari passati presenti e futuri. La foto che abbiamo scelto come copertina rende decisamente l’idea.
Anche l’uscita dallo stadio è spettacolare come il resto, con il pubblico che continua a cantare compatto anche nel tunnel che ci riporta a livello strada. Ci abbracciamo, sapendo di aver assistito a qualcosa di cui non avevamo esperienza, a cui ci eravamo al massimo avvicinati. Compro una sciarpa del River da un ambulante e l’olandese che è con noi mi prende in giro per non aver tirato sul prezzo – l’ho pagata l’equivalente di ben 9 euro. Io evito di mandarlo a stendere perché non ne vale la pena. Sul corso ci aspetta Pau con un sorriso e un grosso abbraccio, e poi il pacato e gentilissimo tassista Alfredo ci riporta a Palermo, dove dormiamo. Se sapessi di dover tornare a Buenos Aires, lo rifarei.
Dopo un’esperienza tale, tante sono le domande che ci affollano la testa. Come è possibile che un calcio così continui ad esistere nonostante le pay tv, nonostante la caduta del calcio argentino di club, nonostante gli scandali e i giocatori costantemente ceduti in Europa? È evidente che a Buenos Aires sappiano qualcosa che non sappiamo e che abbiano mantenuto un attaccamento più vero e innocente di quello di tanti italiani che per mille motivi allo stadio non vanno più. A noi che supportiamo la nostra squadra, ma anche volentieri quella degli altri con gran trasporto, viene da dire che è un peccato.
Alberto Lioy