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Il terrore di Doveri che difende i razzisti da Vlahovic: «abbassa quel dito e nessun razzista si farà male!»

L’assurda scena dell’arbitro di Atalanta-Juventus che invece di proteggere l’attaccante serbo, lo marca a uomo per non trovarsi in un Lukaku bis

Il terrore di Doveri che difende i razzisti da Vlahovic: «abbassa quel dito e nessun razzista si farà male!»
Db Torino 20/04/2022 - Coppa Italia / Juventus-Fiorentina / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Daniele Doveri

Fosse andato al bagno, Doveri lo avrebbe pedinato anche lì. Apri la porta Dusan, lo so che sei lì a zittire i razzisti. Ti sento. Abbassa quel dito e nessuno si farà male! Invece Vlahovic piroettava in campo, col suddetto indice puntato sul muso senza nemmeno deviare verso la curva dell’Atalanta che l’aveva chiamato per i precedenti 90 minuti più recupero “zingaro di merda”. Immarcabile, l’attaccante della Juve. L’arbitro era lì, come legato ad una corta elastica invisibile, occhi solo per lui. Uno scatto, una sterzata: Vlahovic dribbla, Doveri lo marca. Lo si vede benissimo in questo video da bordocampo:

Perché lo aspettava al varco. Lo sapeva. All’integerrimo direttore di gara, sacro ministro del regolamento, non la si fa. Sapeva che dopo il gol sarebbe scattata la rivalsa. La ripicca. Una partita intera di offese razziste non passa in vano.

Doveri è come terrorizzato. Trafitto dalla possibilità che Vlahovic (non un ignoto fluidificante della Sanfrittolese, ma proprio il bomber della Juventus) si rifacesse al fresco precedente giurisprudenziale di Lukaku: esultanza di risposta civile, ammonizione, squalifica, grazia di Gravina.

Su istanza dello stesso Vlahovic lo stesso povero Doveri aveva ad un certo punto dovuto sospendere la partita per ben 50 secondi, affinché lo speaker dello stadio cazziasse i tifosi razzisti. I quali – è notorio – tengono sempre bene in conto i codici comportamentali che gli vengono consigliati dagli altoparlanti. E infatti riprende la partita, riprendono i cori. Vlahovic è solo in mezzo al campo. Di una solitudine agonistica, rabbiosa. Aspetta solo che gli passino il pallone giusto. Lo fanno che è quasi finita. Segna, gol.

Da quel momento Doveri non si cura più di nulla. Ha il mirino sul giocatore. Potrebbero assassinare Kennedy in area di rigore, non se ne accorgerebbe. I giocatori della Juve fanno capannello, quasi a nascondere (per involontaria pudicizia: non si zittiscono i razzisti. È la lezione di capitan Bonucci al giovane Kean, ricordate Cagliari?) l’immanente esultanza del compagno.

Scatta il dito, una mano portata all’orecchio: zitti, ora non vi sento. Più o meno il senso è quello. Ma no: il regolamento è chiaro al riguardo. Devi subire, in silenzio. Altrimenti sei un provocatore e per quel tipo di reato sportivo è previsto il cartellino giallo.

L’arbitro a quel punto pare sollevato (in cuor suo è moribondo), sa che il codice è dalla sua, e con inflessibile espressione notarile fa quel che deve. Pubblico ufficiale a difesa – quasi… catastale – del diritto di centinaia di persone di poter discriminare senza essere “provocati o derisi” dalla vittima.

Il ministro Abodi s’è già scusato a nome dello Stato italiano e Gravina potrà eventualmente esercitare il potere di grazia. Nessuno premierà il milite ignoto Doveri, la sua commovente ostinazione a perseguire un illecito di lì a compiersi. L’ultimo argine tra il giuoco del calcio e l’anarchia morale. Il Colonnello Jessep della normativa:

“Doveri, fu lei ad ordinare il cartellino giallo?”
“Tu non puoi reggere la verità. Figliolo, viviamo in un mondo pieno di muri e quei muri devono essere sorvegliati”

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