Ha zittito con i fatti le voci su di lui. Dà il meglio di sé nei momenti di tensione. Ha insegnato ai suoi calciatori a pensare solo al campo
Domani sera la finale di Champions League vedrà contro Manchester City e Inter. Sulla carta gli inglesi partono nettamente favoriti grazie anche ai grandi campioni a sua disposizione. I vari Haaland, De Bruyne, Gundogan e compagnia sono stati la squadra più dominante d’Europa quest’anno. Il loro allenatore, Guardiola, punta a raggiungere un Triplete che sarebbe storico per i Citizens. Di fronte, però, troveranno un’Inter che ha raggiunto la finale un po’ a sorpresa, ma con pieno merito. Alla guida della squadra un allenatore che è stato tutto il contrario dei suoi predecessori e un direttore sportivo voglioso di portare in alto i nerazzurri: Simone Inzaghi e Giuseppe Marotta.
Simone Inzaghi, dalle critiche alla finale di Champions League
La Bbc dedica un approfondimento ai due protagonisti della cavalcata nerazzurra in Europa. Eppure, l’avventura di Inzaghi sulla panchina dell’Inter non era iniziata per niente bene. Complice la partenza di Hakimi e di Lukaku, la squadra non ha saputo riconfermare lo scudetto, conquistando comunque la Supercoppa italiana e la Coppa Italia contro la Juventus. Questo però non è stato abbastanza per Inzaghi, al centro di numerose critiche:
“Inzaghi era quello normale. Gli mancava la teatralità. Perdere contro lo Spezia a marzo nonostante vantasse il 70% di possesso palla e 28 tiri ha lasciato perplessi i critici. I nerazzurri non erano più definiti dalla loro mentalità vincente, ma dalla loro mancanza di spietatezza e dalle ripetute liti in campo. I titoli dei giornali davano i nomi dei potenziali successori ma Inzaghi non si è mai scomposto. Semmai, i momenti più difficili sembravano rafforzare la sua concentrazione“.
Proprio qui sta la differenza con coloro che lo hanno preceduto. Simone è un allenatore agli antipodi rispetto a Conte, a Mourinho che puntavano molto sulla teatralità, sull’impatto delle loro dichiarazioni. Invece Inzaghi ha percorso la via opposta, quella del “normal one”, il mister calmo e pacato:
“Inzaghi ha istruito i calciatori a pensare a come aiutare il loro compagno di squadra. Nessuna lamentela, nessun gesto in campo. Fare tutto insieme come squadra, come la famiglia che erano diventati. Quando i nerazzurri credono in sé stessi, sono la squadra italiana più forte. Possono sopraffarti con la loro tecnica e il loro atletismo attaccando a ondate, oppure possono palleggiare, consegnare il possesso e contrattaccare rapidamente“.
Tra l’altro, su 8 finali giocate, Simone ne ha vinte 7 consecutive, perdendo solo la prima con la Lazio. Questo può dare l’idea di come riesca a preparale al meglio le sfide da dentro o fuori. Chiedere a Porto, Benfica, Milan in Champions o Juve e Fiorentina in Coppa Italia.
L’altra faccia della medaglia nerazzurra: Beppe Marotta
Accanto a un grande allenatore, però, c’è anche un grande dirigente che ha costruito una squadra partendo quasi da zero. Il sogno di Marotta era quello, come dice anche la stessa Bbc, di togliere la Juventus dal piedistallo del calcio italiano dopo averla resa quasi invincibile:
“Marotta è stato l’architetto del dominio della Juventus. All’Inter, ha trovato una casa e un club che aveva bisogno della sua esperienza. Insieme agli altri registi, Marotta ha formulato un progetto vincente volto a restituire gloria ed è iniziato nello spogliatoio“.
La costruzione dell’Inter che domani giocherà la finale di Champions è stata tutto fuorché semplice. Ogni anno costretta a privarsi dei suoi pezzi pregiati (vedesi, appunto, Hakimi e Lukaku, ma anche Perisic, Icardi e Eriksen, seppur questi due siano andati via per motivi esterni e indipendenti dalla squadra). La maggior parte dei protagonisti di domani a Istanbul sono stati presi a parametro zero oppure spendendo pochissimi milioni. I vari Darmian, Acerbi, Onana, Mkhitaryan, Dzeko, Chalhanoglu e Dimarco sono stati presi praticamente senza spendere soldi. Eppure, sono riusciti ad avere la meglio del Barcellona ai gironi e a raggiungere una finale che mancava all’Inter dal 2010, a Madrid. Questo a simboleggiare come non sempre chi più spende ha più possibilità di vincere.