Al Guardian la norvegese che ha lasciato la Nazionale per cinque anni: «Non si tratta solo di parità salariale, ma delle condizioni minime per sentirsi prese sul serio»
Il Guardian ha intervistato Ada Hegerberg la calciatrice norvegese che si è allontanata per cinque anni dalla sua nazionale per protesta “contro l’atteggiamento delle federazioni calcistiche nei confronti del calcio femminile“. Domani la Norvegia di Hegerberg giocherà la partita d’esordio del Mondiale contro la Nuova Zelanda.
La protesta, per sua scelta, gli costò il Mondiale del 2019 lo stesso anno in cui ha vinto il Pallone d’Oro. Ha vinto la Champions League sei volte con il Lione. Se tornasse indietro, Ada lo rifarebbe. Pochi altri nel movimento calcistico femminile prendevano posizione come lei.
Il Guardian ricorda che molte cose sono cambiate dopo la sua protesta.
Ricorda che due calciatrici del Barcellona vincitore della Champions, Sandra Paños e Patri Guijarro, si sono allontanate dalla Nazionale per problemi con l’allenatore Jorge Vilda. Le giocatrici inglesi hanno avviato una contesa con la Football Association per i bonus legati alle prestazioni. Le canadesi a febbraio hanno minacciato un nuovo sciopero per la mancanza di sostegno nell’anno del Mondiale. Wendie Renard, Marie-Antoinette Katoto e Kadidiatou Diani fecero un passo indietro dalla Francia prima che un’indagine interna concludesse che la manager Corinne Diacre non potesse più essere la commissaria tecnica e Hervé Renard prendesse il suo posto.
Prima erano le federazioni minori a chiedere il rispetto dei proprio diritti, come la Nigeria, oggi anche quelle più importanti stanno alzando la testa.
Secondo la Hegerberg, in occasione dei nuovi Mondiali, le proteste sono molto più diffuse.
«Non penso che le cose cambieranno se le donne non protestano. Lo abbiamo visto in tanti casi anche nella società. Quindi, dobbiamo solo stare insieme».
«Oggi, qualunque sia la nazionalità, il background, da qualunque parte tu venga, affrontiamo tutte le stesse sfide. Spesso sono le squadre ad attaccare le federazioni che trattano meno seriamente le loro giocatrici. Ora si inizia a vedere una tendenza, anche se non dovrebbe essere una tendenza. Sono molto felice di vedere che le persone stanno iniziando a capire perché queste calciatrici prendono posizione».
Non si tratta solo di soldi, per dirla in modo grezzo. «Non stiamo nemmeno parlando di parità salariale qui, stiamo parlando di condizioni minime per essere prese sul serio e quindi poi potersi effettivamente esibire al livello che desideri».