Nel libro di Roberto Del Balzo la storia di Osvaldo Giustozzi, editor in una rivista patinata ossessionato da un ambiente in cui nessuno ti chiede “come stai?”
Questa recensione nasce da un precedente articolo che ho scritto su Marco Vichi – nella rubrica “Noir oggi in Italia” – e che è stato molto letto. Mi ha chiesto l’amicizia su Facebook un autore, Roberto Del Balzo, che subito dopo mi ha scritto su Messenger chiedendomi di leggere un suo libro: «Sono molto vicino a Marco Vichi e vorrei comparire su Il Napolista».
Del Balzo è un direttore creativo di un’azienda milanese – “il Napolista” è molto letto anche a Milano e quel cognome mi risuonava meridionale… Non amo che un autore mi cerchi – decido io cosa leggere – ma ho corso il rischio di diventare antipatico facendomi mandare il libro avvertendo l’autore che questo fatto non avrebbe partorito una nota.
Ho letto invece “Diverso (pagg. 201, euro 14; Edizioni La Gru; con una bella illustrazione dell’illustratore Resli) con molto interesse: sia per la vicenda che per la lingua.
Giorni nostri – più o meno – Osvaldo Giustozzi fa l’editor in una di quelle riviste patinate che insegnano a vivere in forza delle idee “Reality Square”. Ma in ufficio si sente ossessionato – pur non avendo malattie – da un ambiente che dal responsabile delle risorse umane Liborio Scattareggia al Capo del ‘commerciale’ – Michele Mastroni – che odia per la sua vuotezza a metà tra il narcisistico e l’istrionico, lo nullifica. Prova solo una forma pelosa di compassione per la figura di Giuseppe Infascelli, un collega che non parla mai perso tra le sue insicurezze, la sinusite ed una cravatta improbabile. In più quando Osvaldo torna a casa incontra la moglie Luisa che nasconde la sua leggerezza atarassica vitale in un passato familiare che non riesce ad elaborare.
Il libro è la storia della ultima giornata di lavoro di Giustozzi – prima della decisione di rassegnare le dimissioni – ed è alternato ai tentativi di presentare una lettera di dimissioni inusuale a quadri narrativi che descrivano i personaggi narrati.
Il finale è paradossale ma nulla toglie alla lingua di Del Balzo che come un bisturi viene calata nella ferita ipocrita della realtà aziendale e di vita odierna nella quale nessuno ti chiede “come stai?”.
Tra Kafka e Pirandello il Giustozzi trova il suo spazio vitale dove “sono io diverso. Lontano ti penso e ancora ti aspetto /dove l’amore ha preso il posto del tempo”.