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Platini: «Paolo Rossi non era matto di calcio. Gli rubavo le sigarette, lui si arrabbiava tantissimo» 

Al CorSera: «I procuratori non sono il male del calcio: difendono i calciatori che si sono fatti fregare per tanti anni».

Platini: «Paolo Rossi non era matto di calcio. Gli rubavo le sigarette, lui si arrabbiava tantissimo» 
Db Torino 13/05/2014 - finale Europa League / Siviglia-Benfica / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Michel Platini

Walter Veltroni intervista Michel Platini per il Corriere della Sera. Platini parla della differenza nell’intendere il calcio tra Francia e Italia.

«Quando sono arrivato in Italia ho capito che voi siete matti per il pallone, non parlate d’altro dalla mattina alla sera. In Francia era semplicemente un gioco, si faceva in allegria. Non c’erano tifosi, ma spettatori. La Francia non aveva mai vinto nulla, forse per questo. Per cui io non capivo tutta la pressione che c’era da voi. In Italia il calcio è complicato per sei giorni su sette, poi finalmente arriva la partita. In quel momento nessuno ti rompe le scatole con le polemiche e le indiscrezioni. Quella, quella sola è la verità del calcio. I novanta minuti sono bellissimi. Il resto no».

Platini sul suo rapporto con l’Avvocato Agnelli:

«Non era certo un amico, non era una persona con cui mi prendevo a pacche sulle spalle, aveva tanti anni più di me e la sua indiscutibile autorevolezza. Io direi così: ho reso orgoglioso l’Avvocato. È lui che mi ha voluto. Credo pensasse, tra sé, che era stato lui, non Boniperti o altri, a scegliermi e ciò che avevo fatto era la conferma che lui capiva di calcio e quindi nessuno poteva rompergli le scatole sul tema. Lui mi ha consentito di avere la massima libertà, in campo e fuori. Sì, credo di averlo reso orgoglioso. E questo fa felice me».

Tardelli ha raccontato di aver saputo della morte di Paolo Rossi al mattino da una telefonata di Platini.

«È vero, ho chiamato Marco, Antonio Cabrini, Zibi Boniek. Avevo visto Paolo poco tempo prima a Forte dei Marmi e non mi era sembrato che stesse male. È stata una terribile sorpresa, un autentico choc. Paolo era davvero una brava, bella persona. Lui non era matto di calcio, con lui si poteva parlare di tutto. Io gli rubavo le sigarette, lui si arrabbiava moltissimo. Sono stati anni speciali, ci siamo divertiti tanto e abbiamo vinto tanto. Giocavo non solo con grandi calciatori, ma con uomini speciali, molti dei quali sono restati miei amici. E quel mattino ci siamo ritrovati ancora insieme, per condividere l’assurdità della scomparsa di Paolo».

Cosa pensa di questo spostamento dell’asse del calcio verso il mondo arabo? Platini:

«I calciatori, i migliori calciatori, sono come uccelli che migrano cercando i luoghi dove vivere meglio. E dove sono attesi dalla gente e quindi ci sono più soldi. Io sono venuto in Italia, all’inizio degli anni Ottanta, perché era il Paese che pagava di più, era il cuore del calcio mondiale. Maradona, Falcao, Zico giocavano qui. Erano gli anni di Mantovani, di Berlusconi, dell’Avvocato, gli azzurri avevano vinto il campionato del mondo, l’economia andava bene, il terrorismo stava finendo. Si sentiva un’aria di ripresa, di entusiasmo nella società italiana. E quindi anche nel calcio. Oggi i calciatori vanno dove gli danno più soldi. Io credo che ci sia stato un errore della Commissione Europea nello sposare integralmente la Bosman senza un disegno complessivo per lo sport europeo. Ora i ricchi possono comprare chi vogliono. E quei Paesi sono ricchi, molto ricchi».

Ma questo sistema regge? Le società calcistiche, non solo in Italia, sono piene di debiti…

«Il sistema è fatto per produrre debiti. Il sistema è: tanti soldi arrivano e tante persone li prendono. Il meccanismo dei trasferimenti è questo. Tu prendi dei calciatori sperando che due anni prima della scadenza del contratto vengano venduti per fare soldi. Io negli anni Settanta ho fatto sciopero per consentire ai calciatori di scegliere loro, a fine contratto, dove andare a giocare. Sono andato al Saint Etienne quando ero libero e lo stesso alla Juve. Deve essere il calciatore a scegliere, è la sua vita. Poi attorno al mondo del calcio c’è tanta gente… Dove circolano tanti soldi arrivano quelli a cui i soldi piacciono tanto, troppo».

I procuratori sono parte della malattia del calcio moderno?

«Non penso, no. I procuratori finalmente difendono i calciatori che si sono fatti fregare per tanti anni».

C’è un giocatore che le piaccia, oggi?

«Ora il calcio è differente dal nostro. Si gioca meglio perché i giocatori oggi sono molto più preparati di un tempo. Noi, a diciassette anni, eravamo per strada, ora hanno già quattro anni di scuola calcio. I difensori di oggi sono migliori, giocano a pallone, non picchiano più, non possono più picchiare. Messi, Neymar, Haaland, Mbappè sono grandi calciatori».

Tolto Messi nessuno è un numero dieci.

«Il numero dieci non esiste più. Ora è il portiere o il difensore centrale il regista, quello che organizza il gioco».

Farebbe il Presidente della Juventus?

«Nessuno me lo ha mai chiesto…».

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