Il rapporto tra un allenatore e un giovane calciatore che decide di smettere. Un discorso e poi il silenzio.
Nello spogliatoio
Il ragazzo ripose gli scarpini nell’armadietto. Il rumore dei tacchetti contro il ferro non gli era più familiare. Quello spogliatoio non era più casa sua. Ora quel suono gli parlava di prigionia. Come quello delle chiavi di un secondino che ti rinchiude in cella. O quello dei tacchi di una direttrice di un collegio in cui i tuoi genitori ti hanno rinchiuso contro la tua volontà. Sbuffò. Richiuse la porta dell’armadietto e ci appoggiò la fronte sopra. La testa gli bolliva. Il fresco del metallo gli diede sollievo. Giusto un attimo. Il tempo di abituarsi. Sbuffò ancora. Non ce la faceva più. La sensazione di pesantezza che gli gravava sulle spalle e sull’umore durava da troppo tempo per non essere vera.
Quando passò davanti alla porta aperta dello spogliatoio il mister buttò un’occhiata come era solito fare. Un po’ per assicurarsi che i suoi ragazzi lasciassero lo spogliatoio in condizioni decenti, un po’ per controllare se qualcuno avesse dimenticato qualcosa. Lo trovò in quella posizione, con la fronte appoggiata all’armadietto e l’aria afflitta.
“Tutto bene?”
Il ragazzo si destò dai pensieri. Si girò. Appoggiò le spalle contro l’armadietto e si lasciò scivolare piano piano fino a sedersi a terra. Sbuffò ancora, nel tentativo inconscio di cacciare fuori quell’angoscia. Non riuscì a fingere.
Non ce la faccio più
“No mister…non va più bene niente…” disse senza guardarlo e con la paura di ferirlo perché dentro di sé sapeva cosa stava per rivelargli, dove portava la strada che aveva imboccato.
Il mister entrò e richiuse la porta alle spalle. Si andò a sedere sulla panca di fronte al ragazzo. Si guardarono. L’aveva cresciuto. L’aveva preso vedendolo giocare per strada quando aveva sette anni. Ora ne aveva quasi quindici. Insieme a lui era passato da quella piccola scuola calcio di periferia alla società professionistica dove ora lui allenava l’Under 15, la squadra in cui giocava il ragazzo.
“Non ce la faccio più…” disse il ragazzo visibilmente scarico.
“Non ce la fai più a fare cosa?” chiese il mister con un brutto presentimento in fondo allo stomaco. Il presentimento che fosse arrivato il giorno che aveva sempre temuto.
“A giocare…” disse il ragazzo. Il mister rimase in silenzio. Il suo presentimento era giusto.
“…non mi diverto più. Mi pesa tutto. E’ diventato tutto un sacrificio. Non so più se è davvero quello che voglio fare. Spesso desidero starmene con i miei amici. Avere una vita come tutti gli altri adolescenti, uscire al sabato, andare a ballare, alle feste e non dover più rinunciare a tutte queste cose per via degli allenamenti, dei week-end interi per le trasferte, dei ritiri. Sono stufo persino di mangiare bene…a volte desidero tutte le schifezze di questo mondo…non voglio più giocare a calcio, non è il mio sogno…” tirò su col naso e con la manica della maglia si asciugò gli occhi rossi.
Conoscendolo, e ritenendolo un debole, in un angolo della sua anima il mister aveva sempre saputo che sarebbe arrivato quel giorno. Pertanto non rimase sorpreso. E senza essersi mai preparato fu pronto.
Ti racconto la mia storia
“Ero un calciatore clamorosamente dotato. Ero un fuoriclasse. Avrei potuto giocare in serie A e probabilmente anche in Nazionale. Ero intelligente, ero fisicamente a posto, avevo talento. Giocavo con due piedi. Con la palla facevo quello che volevo. Stavo per entrare in un contesto importante quando qualcosa andò storto, qualcosa a livello politico, di procuratori. Era il primo grande ostacolo sulla mia strada. Avevo sedici anni. Cambiai strada. Feci la scelta più facile. Nessuno mi aiutò, nessuno mi parlò come io sto facendo con te.
Decisi di non giocare più a calcio. Non mi pesò. E di quella scelta non mi sono mai pentito. Ero un talento naturale spaventoso ma odiavo la disciplina e non avevo fatto grossi sacrifici per arrivare fin lì. Era stato come bere un bicchiere d’acqua se hai sete: semplice.
Per te non è stato così. Ti sei dovuto costruire col lavoro. Non hai il talento che avevo io. Non hai i piedi che avevo io anche se i tuoi sono decenti. Hai fatto sacrifici enormi. Da quando ti conosco non hai mai saltato un allenamento. Sono otto anni. Se questa non è passione dimmi allora cos’è…?! Secondo me stai attraversando solo un periodo e il consiglio che ti do è di non buttare all’aria otto anni di sacrifici per un momento. Non prendere decisioni affrettate. Siamo a dicembre, completa l’anno e a giugno decidi. Potresti pentirti di una decisione presa così su due piedi.”
Il ragazzo sbuffò di nuovo. Quelle parole gli rinnovarono la pressione. Lui voleva solo uno che gli spalancasse la porta e gli dicesse fai quello che vuoi, scegli quello che ti fa stare bene…
E invece no, il mister che l’aveva allevato gli diceva di aspettare, di stringere i denti…
“Mi dispiace mister, non lo so. Non so se è quello che voglio. Per ora credo che non verrò, voglio staccare un po’ la spina,” disse il ragazzo con il tono duro e lo sguardo fisso su una lesione di una piastrella del pavimento.
“Fa come credi, prenditi il tempo che ti serve,” disse il mister “se hai bisogno io sono qui.”
Una visita inattesa
Il mister pensava tutti i giorni al ragazzo. Al calciatore che aveva costruito e che ora non aveva più voglia di giocare. Pensava che forse davvero la passione era finita e che quello di diventare calciatore non fosse il sogno del ragazzo. Si sentiva svuotato. Sapeva di aver dato tutto a quel ragazzo, ma sapeva anche che non sarebbe stato giusto chiedere qualcosa in cambio. Mettergli pressione e convincerlo a fare qualcosa che non voleva. Così evitò di chiamarlo e di parlargli.
Dopo sedici giorni di assenza, un pomeriggio il ragazzo si presentò al campo. Era sorridente.
Mister, ho deciso di ascoltare il suo consiglio. Decido a giugno. Può contare su di me.
“A giugno, qualsiasi decisione prenderai sarà quella giusta perché ci avrai pensato bene. E qualunque scelta farai io sarò con te,” rispose il mister con una luce serena in fondo agli occhi.
Passarono settimane, mesi. Arrivò giugno. Poi ne arrivò un altro. Sono passati anni. Il mister ha tutti i capelli bianchi. Il ragazzo ha una moglie e due bambine. Ogni domenica il mister ha il cuore gonfio di gioia quando si siede sul divano e vede il suo ragazzo calpestare i campi di serie A. Ogni domenica, prima di entrare in campo, il ragazzo ripensa a quel pomeriggio in cui stava mollando tutto e ringrazia in cuor suo il mister che l’ha cresciuto. Si incontrano ancora. L’ultimo lunedì del mese. Il mister ancora gli dà consigli. Il ragazzo ancora l’ascolta.