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Non si è capito come ha giocato il Napoli di Garcia

A Genova una prestazione inquietante, l’impalcatura teorica del calcio di Garcia è stata introvabile. Nel calcio di oggi serve un piano-partita

Non si è capito come ha giocato il Napoli di Garcia
Napoli's French coach Rudi Garcia looks on prior to the Italian Serie A football match between SSC Napoli and SS Lazio at the Diego Armando Maradona Stadium on September 2, 2023. (Photo by CARLO HERMANN / AFP)

Una prestazione inquietante

In questo spazio sul Napolista, fin da quando è nato, proviamo ad analizzare le partite del Napoli basandoci sulle evidenze tattiche e sulle statistiche. La pretesa/ambizione è sempre stata quella di spiegare il modo in cui la squadra azzurra sia giunta a un certo risultato: partendo da ciò che è successo in campo, proviamo a ricostruire le idee e le mosse degli allenatori, a intercettare le idee che hanno regolato i movimenti dei calciatori in campo, come e perché sono arrivati i gol – quelli fatti e quelli subiti. In virtù di tutto questo, la coerenza ci impone di iniziare l’analisi di Genoa-Napoli 2-2 da una considerazione chiara, netta, inappellabile: la squadra di Rudi Garcia ha offerto una prestazione inquietante.

Se siamo così severi, è perché possiamo permettercelo. È perché abbiamo il conforto dei numeri. Anzi: di un numero singolo, che dice tutto ciò che serve. Si tratta dei tiri in porta tentati dai giocatori del Napoli: 0, zero spaccato, fino al minuto 71. Ovvero fino a quando Khvicha Kvaratskhelia ha scoccato una conclusione – lenta, senza convinzione, per altro da fuori area – facilmente bloccata da Martínez.

Ora, ovviamente, è inevitabile pensare che anche i giocatori abbiano delle colpe per un rendimento così scadente. Ma, permetteteci, basta rileggere il dato di cui sopra per trarre delle conclusioni piuttosto ovvie: se Osimhen, Kvaratskhelia, Zielinski, Elmas, Anguissa e tutti gli altri, dei giocatori di indubbio talento, non sono riusciti a costruire un solo tiro in porta in 70 minuti di partita, è perché non sono stati messi nelle condizioni di farlo. Per dirla brutalmente: non possono essere diventati tutti brocchi. Non tutti nello stesso momento, almeno.

Tra l’altro, ulteriore aggravante, questo dato è riferito a una partita contro il Genoa. Ovvero, contro una squadra di qualità evidentemente inferiore rispetto al Napoli. Una squadra avrà sicuramente dei pregi e dei buoni calciatori, Gudmunsson e Retegui su tutti, ma che non può – o meglio: non poteva – neanche lontanamente immaginare di concedere 0 tiri in porta al Napoli in 70 minuti. E che, ripensandoci bene, ha segnato due volte sugli sviluppi di calcio piazzato. Eppure nonostante tutto questo, gli uomini di Gilardino hanno meritato di andare sul 2-0. E meritavano di prendersi i tre punti. Questo rende ancora più grandi, quindi più evidenti, le colpe di Rudi Garcia.

Come ha giocato il Napoli?

A voler semplificare, il calcio del 2023 ha due grandi anime tattiche: quella del gioco identitario e quella del gioco liquido. Gli allenatori che seguono le teorie identitarie amano costruire – e lavorare su – squadre monolitiche, fondate su principi e/o meccanismi fissi, sempre gli stessi, che si tratti di possesso esasperato partendo dalla costruzione dal basso, di gegenpressing ipercinetico, di lanci lunghi costanti alla ricerca degli attaccanti, di difesa bassa e compatta, di un cocktail tra questi concetti. Gli allenatori liquidi, invece, modellano la propria squadra di partita in partita, adattando le loro scelte – il modulo di base, la formazione, le cose da fare in campo – a seconda degli avversari o delle proprie necessità. Rudi Garcia, idealmente, si colloca a metà tra queste due categorie: a dirlo è la sua carriera, a dirlo è stato anche il suo inizio al Napoli.

Contro il Genoa, però, l’impalcatura teorica del calcio di Garcia è stata introvabile. È qualcosa di più, cioè di peggio: non si tratta di carne o pesce, di calcio identitario oppure liquido, è che proprio non siamo riusciti a capire cosa avesse in mente il tecnico francese. E allora ci siamo posti delle domande: come ha giocato il Napoli? Con quali strumenti tattici – principi di riferimento, meccanismi di costruzione e risalita e invasione, movimenti, connessioni, giochi provati in allenamento – ha provato a battere il Genoa? Su cosa ha lavorato in settimana?

Ecco, non riusciamo a trovare delle risposte. E il modo in cui è arrivato il 2-2 finale, ovvero i gol di Raspadori e Politano, finisce addirittura per alimentare questa idea – ne parleremo, ovviamente. Intanto, però, proviamo a partire – come al solito – dalle evidenze tattiche e dai numeri: così proveremo a spiegare – e a spiegarvi – perché non abbiamo trovato risposta a certi interrogativi.

4-3-3

Le novità apportate da Garcia per la gara di Genova sono state l’inserimento di Ostigard e Mário Rui in difesa, rispettivamente al posto di Rrahmani e Olivera, e la sostituzione di Politano con Elmas. Dal punto di vista tattico, la squadra di Garcia ha proposto il solito 4-3-3/4-4-2. Zielinski è stato deputato ad accompagnare Osimhen nel primo pressing sui centrali avversari. Il Genoa ha risposto con un sistema ibrido: un 4-4-2 molto fluido, che in fase di non possess si deformava in una sorta di 4-5-1 asimmetrico. Gudmunsson, infatti, era l’elemento pronto ad accentrarsi dalla sinistra per seguire Lobotka.

Più che le spaziature, però, è stato l’atteggiamento della squadra di Gilardino a fare la differenza: baricentro basso (a 33 metri) ma blocco difensivo in posizione medio-alta, così da togliere ogni tipo di profondità a Osimhen.

Nel primo frame: Kvaratskhelia deve venire fino a centrocampo per giocare un pallone in libertà; nel frattempo, tutti gli altri giocatori sono marcati da vicino dai rispettivi avversari. Stessa cosa anche nel secondo frame: Ostigard porta palla; il blocco difesa-centrocampo del Genoa chiude tutte le linee; Osimhen non può scattare, sarebbe in fuorigioco.

Non che servisse, in realtà. Come detto prima, non siamo riusciti a capire come Garcia abbia preparato la partita. Su cosa abbia lavorato, dal punto di vista tattico, per perforare la difesa del Genoa. L’unica parvenza di occasione è nata da un bellissimo tocco di prima di Di Lorenzo alle spalle della difesa, su scatto di Elmas – il pallone è finito a Osimhen, il cui tiro però è stato rimpallato. Questa occasione è stata costruita al minuto 7. Prima e dopo, il Napoli non ha fatto altro che far scendere uno dei due centrocampisti di costruzione – Lobotka o Anguissa – in mezzo ai due centrali, provare a costruire a tre alzando i terzini e poi perdere sistematicamente il possesso dopo essersi infilato nell’imbuto preposto da Gilardino.

La salida lavolpiana di Lobotka, in mezzo ai due centrali difensivi

Anche qui ci sono i numeri a confermare le nostre visioni. Nel primo tempo, su una percentuale di possesso grezzo pari al 62%, Ostigard e Juan Jesus hanno inciso per il 20%, praticamente per un terzo. Gli unici 3 passaggi chiave, quelli cioè che hanno portato a una conclusione tentata, sono partiti da Juan Jesus, Zlielinski e Di Lorenzo – quello di Di Lorenzo è arrivato dopo il gol del Genoa. In totale, i giocatori del Napoli hanno tentato 5 tiri verso la porta avversaria. Di questi, ben 3 sono state respinti da un difensore avversario.

Le idee che mancano

Quelle appena enunciate, ovvero quelle relative ai passaggi chiave e ai tiri tentati, sono le statistiche finali. Sono esigue perché sono esigue anche tutte le altre: nonostante il primo tempo abbia fatto registrare il 62% di possesso palla in favore del Napoli, risulta che il Genoa ha tentato più cross (11-6) e più lanci lunghi (20-18) rispetto agli azzurri; anche il dato relativo ai palloni smistati verso l’ultimo terzo di campo, se messo in prospettiva, è decisamente favorevole al Genoa (uno ogni 2,6 passaggi per il Genoa, uno ogni 3,94 per il Napoli). Infine, ecco il dato più eloquente: sempre guardando al solo primo tempo, la squadra di Garcia ha messo insieme 206 passaggi verso la fascia centrale del campo. Molti più di tutti quelli effettuati dal Genoa (169).

È chiaro che al Napoli siano mancate le idee. Gli azzurri, in pratica, hanno fatto girare il pallone come una mosca sotto un bicchiere: senza alcun costrutto, senza alcun senso. E qui non si tratta di preferire un calcio di possesso a uno di attesa e ripartenze. È che la squadra di Garcia, semplicemente, ha mostrato di non sapere cosa fare con il pallone. Così al Genoa è bastata una prestazione ordinata e concentrata per uscirne indenne.

Ora parliamo di questa immagine

Questo frame è l’emblema di tutto ciò che abbiamo raccontato finora. Ostigard porta palla fino alla trequarti, perché le rotazioni difensive del Genoa glielo hanno permesso, in qualche modo. E poi non sa che fare. Ha tutte le linee di passaggio chiuse. Certo, questa incapacità di proporre calcio, da parte del Napoli, è merito della buonissima fase difensiva del Genoa. Ma, ripensandoci un attimo, anche le decisioni di Garcia hanno avuto un peso: perché schierare un difensore non proprio raffinato come Ostigard in una partita in cui c’era bisogno di qualità in impostazione? A causa di un piccolo problema occorso a Rrahmani, ha spiegato il tecnico francese nelle interviste postgara.

Ma allora, a quel punto, perché puntare su un terzino sinistro di possesso come Mário Rui piuttosto che su un laterale più fisico come Olivera? E ancora: se si è deciso di inserire Mário Rui, perché non impostare dal suo lato invece che a destra, laddove il Napoli ha costruito addirittura il 40% delle sue azioni d’attacco?

Il calcio di oggi e l’impatto dei cambi

Sono tutte scelte nonsense. O che comunque non si possono spiegare solo pensando al – e parlando del – turn over prima della partita di Champions League. Nel calcio di oggi, che sia identitario o liquido, serve avere un piano. Serve lavorare intensamente su idee, connessioni tra reparti e singoli giocatori. Su meccanismi tattici che sorprendano gli avversari. Non basta più accumulare talento, mantenerlo in rosa e poi metterlo insieme in un sistema di gioco qualunque. Occorrono idee, occorrono allenamenti mirati. Occorre saper variare spartito.

Con questo non vogliamo insinuare che Garcia non faccia tutte queste cose durante le sedute quotidiane a Castel Volturno. Anzi, ne siamo certi: lo farà sicuramente. È solo che tutte le sue idee viste finora sembrano sbagliate per la squadra che allena in questo momento, e parliamo di caratteristiche tecniche ma anche di condizione fisica. Oppure, come successo a Genova, le sue idee non si sono neanche viste. Neanche intraviste. Ed è una cosa molto peggiore.

E poi, come detto prima, anche i due gol arrivati nell’ultimo quarto d’ora sono lì a dimostrarlo. Il Napoli, infatti, ha trovato l’1-2 dopo l’ennesima azione costruita dal basso in modo lento, facilmente leggibile. E solo perché Cajuste ha effettuato un movimento contro-intuitivo, così ha trovato Raspadori in una posizione più o meno buona per la conclusione. Raspadori, a sua volta, era stato inserito per riempire l’area, per passare al 4-4-2 puro, un sistema lontanissimo dal 4-3-3. È tutto in questo video:

Un gol estemporaneo/1

La seconda rete, invece, nasce in un modo completamente diverso: Politano, Ostigard, Cajuste e Zielinski muovono la palla sul breve, l’ex esterno del Sassuolo legge un buono spazio per inserirsi e la qualità di piede di Zielinski fa il resto. Senza che nessun giocatore del Napoli, però, sia andato realmente a riempire l’area. Insomma, l’esatto contrario del gol di Raspadori. E quindi è difficile credere che sia stata una variazione nata dalle idee di Garcia, dalle indicazioni date ai giocatori arrivati dalla panchina. Più facile pensare che sia stata una bella azione nata nella mente dei calciatori, grazie alla freschezza di due nuovi entrati – Cajuste e Politano – e legata anche alla stanchezza del Genoa.

Un gol estemporaneo/2

Alla fine, pensandoci bene, si potrebbe/dovrebbe rendere giustizia a Garcia per aver indovinato i cambi giusti, almeno quello. È solo che i primi 70 minuti sono stati troppo brutti, proprio dal punto di vista tattico, per potergli riconoscere qualche merito. E poi, come detto, resta la sensazione che si tratti di due gol episodici. Infine, paradossalmente, c’è anche da dire anche un’altra cosa: se Raspadori, Cajuste, Politano, Olivera e anche Zerbin – per usare le parole dello stesso Garcia – sono stati «i cambi che hanno portato la luce», allora non ha avuto molto senso schierare certi calciatori all’inizio.

Per un motivo semplice: se – per fare un esempio, non c’è nessun riferimento a polemiche in atto – Lobotka e/o Kvaratskhelia non sembrano in forma e/o non si adattano bene a ciò che vuoi dalla tua squadra, allora è giusto che stiano in panchina. Dopotutto la rivoluzione è sempre un atto difficile da fare: ci vogliono coraggio e incoscienza, altrimenti non si chiamerebbe rivoluzione.

Conclusioni

A questo punto della stagione, dopo una partita del genere, il giudizio sul Napoli e su Garcia prescinde – deve prescindere – dall’eventuale delusione per l’esito del calciomercato, dalle attenuanti relative alla condizione fisica dei giocatori, all’impatto della pausa-Nazionali al fantasma dell’imminente Champions League – citato nelle interviste postpartita. La regressione tecnico-tattica del Napoli è troppo ampia ed evidente per non farla risalire al lavoro dell’allenatore. E i risultati che sono arrivati e che arriveranno, coerentemente con lo spirito di questa rubrica, non modificano la situazione: c’è bisogno di un intervento deciso del tecnico francese.

È francamente inaccettabile che calciatori forti come Osimhen e Kvaratskhelia, al netto di uno stato di forma che potrebbe anche essere scadente, non ricevano palloni giocabili per un’intera partita. E che quindi non siano messi nelle condizioni di fare ciò che hanno dimostrato di saper fare. Oppure anche di sbagliare, perché no? Il nostro giudizio, in fondo, è così severo proprio per l’abulia manifestata dal Napoli. Per l’assenza di un’idea chiara su cui sembrerebbe possa fondarsi il progetto-Garcia.

Si era visto qualcosa contro Frosinone e Sassuolo. Si era visto qualcosa persino contro la Lazio. Ma a Genova è scomparso tutto, ed è la cosa peggiore che potesse succedere. Perché siamo alla vigilia di una maratona di partite, sette in 23 giorni. E perché l’allenatore che dovrebbe risolvere i problemi in questione pontifica su altro. E, oltretutto non ha un curriculum di tattico brillante da cui attingere per poter fare ciò che servirebbe: far praticare (di nuovo) un calcio sofisticato alla sua squadra; oppure ribaltare tutto e costruire da zero qualcosa di nuovo, di diverso, di radicale. Di suo. Finora se l’è giocata piuttosto male, ma per fortuna ha ancora tempo per cambiare le cose.

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