Certifica che non ritiene adatto Garcia. Ma la scena più triste è Lobotka che fa il torello tra i centrocampisti del Bologna
Una partita che segna tutt’altro rispetto ad una qualche ripresa, direi quasi giocata alla pari con il Bologna.
Ecco, in una partita del genere, ci si limiterà a soffermare l’attenzione solo su quattro cose, seppure possa sembrare che di occasioni da commentare, oltre a quelle due sole che si commenteranno, pure ce ne siano state ( in realtà: due colpi di testa di Osimhen, due/tre tiri verso la porta avversaria per nulla letali, un paio dei quali effettuati da Kvaratskhelia nella stessa azione, con il georgiano che quest’anno piuttosto che passare la palla al centravanti nigeriano si farebbe arrestare).
Due episodi che potevano indirizzare la partita (pure degni di nota per caratteristiche della costruzione della relativa azione, gli unici della partita ad avviso di chi scrive), due situazioni che fotografano la pessima condizione in cui versiamo.
Il Napoli, dopo appena 4 minuti dall’inizio della partita, prende un palo su tiro di Osihmen.
L’azione è secondo me degna di nota, soprattutto per una caratteristica che la contraddistingue, figlia del Napoli spallettiano.
L’anno scorso abbiamo commentato tante volte il tipo di azione verticale che – al fine di far arrivare il pallone al terzo uomo (Osimhen e spesso Anguissa, che se l’anno passato faceva fuoco e saette per lanciarsi negli spazi dietro le linee difensive avversarie, quest’anno non riesce nemmeno a giocare da fermo) nel frattempo scattato per aggredire un dato spazio – sfruttava il lancio di prima di Politano proprio in quella zona del campo prestabilito.
Lancio che arrivava sfruttando la posizione dello stesso Politano (che andava a sistemarsi sulla linea del fallo laterale, già posizionato con il corpo a tre quarti rispetto alla traiettoria del pallone che gli veniva passato in genere da Di Lorenzo, che invece portava palla entrando nel campo) e sfruttando, in particolare, la possibilità di calcio che dà una simile posizione, complice il fatto di aversi a che fare con un calciatore che pur giocando a destra è mancino.
La palla, infatti, non appena arrivata sui piedi dell’esterno alto del Napoli, veniva da questo (già girato di tre quarti rispetto alla linea della palla che gli arrivava addosso) calciata forte e di prima (d’incontro), con traiettoria ad uscire verso la zona (sempre di destra) tra l’esterno basso difensivo ed il primo centrale della difesa avversaria, pronta per essere fatta propria dal centravanti nigeriano che già lì stava scattando per andare a prenderla.
Ecco, si noti bene.
L’azione che porta al palo di Osimhen è la fotocopia di questa tipica azione di attacco del Napoli spallettiano, uguale nei modi e semplicemente mutata rispetto ai suoi protagonisti, poiché in campo c’era Raspadori al posto di Politano.
Ed allora, il Napoli in questo frangente costruito con uguale modalità ed obiettivo, cambiando apparentemente l’ordine dei fattori.
Per far calciare il pallone nello stesso modo in cui lo calcia Politano (di prima, anzi d’incontro appena arriva il pallone sulla figura), avendo un esterno alto di piede destro (Raspadori) cambia segmento di costruzione.
Non più l’esterno alto sulla linea del fallo laterale e l’esterno basso dentro il campo a scambiarsi il pallone prima del lancio, ma il contrario: Di Lorenzo (primo ricevente dello scarico del pallone da Ostigard) sulla linea del fallo laterale e Raspadori nel campo.
Posizionamento, questo, che consente a Raspadori di ricevere l’appoggio di Di Lorenzo in una posizione (in capo e con il corpo) tale da poter calciare lui stesso il pallone con il suo piede, ma sempre di prima e d’incontro (come in genere fa Politano nella posizione opposta a quella di Raspadori), nello spazio sopra descritto che Osimhen è già andato ad aggredire.
E se Osimhen, grazie allo schema chiamato e mandato a memoria, sa già dove andare e scatta prima degli avversari (si ricordi l’obiettivo di ogni schema così come raccontato nelle puntate precedenti), non c’è possibilità che sul pallone arrivi dopo i suoi avversari.
Ed infatti, ci arriva prima e calcia a rete, purtroppo prendendo il palo (si noti bene: per me quello di Kvaratskhelia che calcia fuori ad un metro dalla porta libera il pallone che gli arriva addosso dopo aver colpito il palo è un gol sbagliato).
Ecco, questo è un tema: perché chi commenta pensa che quest’azione sia un modo intelligente per mantenere taluni comportamenti sincronizzati del Napoli spallettiano (l’azione dimostra che era possibile) cucendoli su misura sartoriale di altri analoghi interpreti (l’azione dimostra che era possibile).
Sarebbe stato intelligente, e molto maturo, mantenere questa letalità in attesa di poter (con calma, quando contesto, spogliatoio e tempistiche te lo consentivano) inserire un po’ più lentamente anche altre idee di calcio in un gruppo che per ovvie ragioni era ed è religiosamente fedele ad un’organizzazione di gioco che tanto aveva prodotto in termini qualitativi e quantitativi.
Non è andata, non sta andando così: perché?
La seconda azione che si commenta, quella che ha prodotto il rigore, appare degna di menzione perché mette sugli scudi Zielinski, uno che, diciamocelo francamente, ce la sta mettendo tutta per tenerci a galla.
Ed infatti, anche in quest’azione (ri)mostra tutta la generosità e la sagacia tecnica che sta mostrando in questo primo scorcio di stagione.
Si getta nella fascia sinistra a ricevere un lancio di Mario Rui, che arpiona con uno stop a mezz’aria, prende la posizione schermando con il corpo il pressing del difensore avversario, lo tiene fino a che Kvaratskhelia non completa la sovrapposizione interna e glielo dà, facendo passare il pallone nello spazio scoperto (l’unico disponibile) tra il suo uomo e la linea di fondo.
Il pallone arriva così a Kvaratskhelia che con gesto da calcettista con la punta del piede destro lo allunga in area per cercare di farlo arrivare ad Osimhen; il pallone viene però intercettato da un difensore del Bologna che gli frana letteralmente addosso e lo prende con la mano (non era rigore, perché a ben ri-guardare l’azione è lo stesso giocatore del Bologna a buttarsi il pallone sul braccio dopo averlo già toccato con la gamba).
Sul dischetto va Osimhen, che dimostra di non avere il sangue freddo tipico del rigorista di professione: un attimo prima che calci il pallone, Skorupski ha già battezzato l’angolo alla destra del portiere tuffandosi in quella direzione, e ciononostante Osimhen pensa di dover comunque allargare a dismisura l’angolo del tiro sul palo opposto. Ed infatti, la palla va fuori.
C’è, poi, una cosa che mi ha particolarmente colpito ieri sera.
Mi sono segnato il minuto, è intorno al 75esimo.
Si vede il povero Lobotka che da solo esce a pressare quattro (dicasi quattro) giocatori del Bologna all’altezza del centro campo (fascia destra per il Napoli che difendeva).
Ci va da solo lo slovacco: ci va da solo ed infatti per 30 lunghissimi interminabili secondi fa la figura del bambino tirato in mezzo ad uno scherzo dei grandi, lo fanno correre e girare su se stesso mentre nel frattempo gli avversarsi si scambiano continuamente il pallone, con un moderno torello che non vedi nemmeno durante gli allenamenti per quanto riesce bene.
È un’immagine emblematica: eravamo noi, in genere, a far fare queste figure agli avversari, a far sfigurare così il pressing opposto e ad uscire con il pallone tra i piedi, danzandovi sopra come se la pressione fosse stata portata da una squadra di pulcini.
Anzi, era proprio Lobotka, in genere, ad uscire trionfante da simili situazioni, quello stesso Lobotka che ieri è stato umiliato così, senza che nessun compagno andasse a dargli una mano, senza che nessun giocatore del Napoli fosse andato a prendersi un giallo per un fallo che avrebbe saputo, se non di vendetta, di giusto monito (non permettetevi mai più di farlo).
Una tenerezza per l’ex costruttore di gioco più forte d’Europa, un avvilimento senza precedenti per me che guardavo.
L’ultima cosa, e come potrebbe non essere così, è la gestione della squadra, tra cui ancora una volta i cambi (ne stano parlando tutti, a ragione).
Non avevo mai visto, a questi livelli, un allenatore in grado, con le sue scelte/non scelte, di far arrabbiare tutti (dicasi tutti) i giocatori interessati.
Ecco, Garcia ci sta riuscendo.
A me non interessano le riserve mentali, ovverosia le motivazioni per cui lo fa: un po’ come se interessandomene dessi importanza al personaggio, lo ammetto.
Pur tuttavia, c’è una cosa che tra le tante mi ha colpito ieri sera (oltre all’attuale ostracismo per Simeone e Lindstrom, che verso il primo, prima ancora che inspiegabile, suona davvero stucchevole).
Osimhen che uscendo dal campo si incazza con il proprio allenatore quasi a digli “come fai a non capire che in questo frangente la davanti possiamo anche giocare a 2”, quasi ad implorare di provare uno schema posizionale d’attacco che avrebbe garantito sia la presenza in campo al giocatore più forte che si ha, sia la presenza in campo di altro attaccante (Simeone) che per caratteristiche, movimenti e modi di stare sul terreno di gioco sarebbe in grado di aprire varchi per il nigeriano o di andare ad aggredire quelli lasciati liberi da lui.
Perché, diciamocelo, così è sembrato tuonare il nigeriano contro il suo allenatore.
Ecco, questo è secondo me il dato chiave del momento, di cui nessuno sta parlando: quando il leader tecnico/carismatico della squadra ti si rivolge così (non nei modi, ma nei contenuti: si badi bene), lui stesso sta certificando in eurovisione che non ti si ritiene adatto o che ti si ritiene quanto meno un passo indietro rispetto alla situazione tecnico/tattica da gestire.
Così, almeno, l’ho letta io.