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Quanto è sottostimato Anguissa, il vero centro di gravità permanente del Napoli

Ora fa il suo, più quello di Lobotka. E’ un fantasista del ruolo, sempre nel vivo del gioco. Può essere compreso solo per sottrazione: quando non c’è

Quanto è sottostimato Anguissa, il vero centro di gravità permanente del Napoli
Mg Napoli 04/06/2023 - campionato di calcio serie A / Napoli-Sampdoria / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Tomas Rincon-Andre Zambo Anguissa

Zambo Anguissa ha sempre l’aria di uno che è troppo impegnato a “spicciare” cose per dare retta alla fuffa. Sarà per questa sua risicata appariscenza che si ostinano, un po’ tutti, a sottostimarne il peso specifico. Lui è uno di quelli che al fantacalcio prendono 6, se va proprio tutto liscio 6,5, mentre attorno gli gira un mondo – a volte gira a velocità ansiogene, ultimamente invece girava male e basta – di cui è perno. Lui ne ha coscienza. Gli altri, perlomeno gli avventori ossessionato dai bonus, no.

Quella festa della rinascita altrimenti detta Napoli-Udinese andava vista dal vivo. Allargando l’inquadratura solitamente striminzita della tv al campo tutto. Era lampante, allo stadio, l’onnipresenza mastodontica di Anguissa. Non ovunque, no. Ma precisamente lì, nel cuore pulsante del gioco. Un presenzialismo costante. La palla che una volta veniva trattata e smistata da Lobotka ora va vidimata per forza da lui. Lo impone la nuova burocrazia di Garcia. E’ un magnete, il “nuovo” Anguissa. Prima faceva solo il suo, ora – non sappiamo se volente o nolente – fa anche un po’ di tutto il resto.

Accorcia su Ostigard e Natan, porta il pallone, lo gestisce. Se lo consegna a Lobotka è per un automatismo ormai consolidato, un po’ formale, ma gli torna tutto come di sponda. Per cui sale, verticalizza, si perde un po’ nel tempismo che non ha innato, tenta un dribbling o scarica al lato. Si muove per acclamazione, per improperi quando s’attarda in eccesso. Ma non c’è dubbio che sia l’uomo al centro del Napoli. Nascosto fino a quando non se ne avverte il bisogno con urgenza tattile: è il momento in cui ne parliamo male, quello. Se non succede è perché va tutto bene. Non lo sappiamo, lo intuiamo. Ma sottovalutiamo la percezione stessa del suo essere così denso. Come il Das. Ve lo ricordate quel panetto grigio dei lavoretti alle elementari? Quello.

Poi torni a casa, dopo il 4-1 e la festicciola infrasettimanale. E non c’è traccia di Anguissa. Nell’entusiasmo dei commenti, che sono tutti (ci mancherebbe) per Kvaratskhelia e Osimhen. Ma persino nei numeri – sempre un po’ infami, quelli – che ci immaginavamo ben diversi: Lobotka primo per passaggi riusciti (72), come non avveniva dalla primavera, Anguissa “solo” 57 dietro anche a Di Lorenzo e Natan.

Siamo stati testimoni dunque dell‘ennesimo suo mimetismo: un mutaforma capace di rompere gli stereotipi ma non i preconcetti. Anche nell’anno dello scudetto in molti l’hanno ridotto, per trovargli un posto tutto suo, da protagonista, ad argine muscolare della squadra in dominio costante. Quando è sempre stato, soprattutto nei momenti di forma fisica adeguata, un “fantasista” del ruolo. Capace d’inventarsi modi inediti di spezzare i raddoppi, di influenzare la manovra fino alla trequarti, persino di concludere l’azione in profondità. Lasciava la regia a Lobotka, ora s’è intestata pure quella.

E’ stato un Kvaratskhelia pure lui: prima di essere pescato dal team Giuntoli era retrocesso dalla Premier insieme al resto del Fulham, e s’era ridotto a giocare la Championship in attesa del momento di lucidità d’un osservatore. E’ bastato l’appannamento iniziale del Napoli di Garcia per ricacciarlo indietro, a questo destino di subalternità. Rinfacciandogli subito, peraltro, le sue mancanze: “non è più lui”, “che guaio ha passato?”. Il punto è che forse continuiamo a non sapere davvero chi è, Zambo Anguissa. Uno che sarà compreso per sottrazione, quando proveranno a sostituirlo con una comparsa e ci chiederemo tutti che fine ha fatto l’originale. Quello che “spicciava” cose in sacrificio per noi.

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