È migliorata la condizione fisica ma non è solo questo. Nella stessa partita può essere una squadra di dominio o compatta e di ripartenza
Un Napoli balsamico
Il balsamo di una condizione fisica visibilmente migliorata. Il balsamo di un gol in apertura, e su palla inattiva, che mette la partita in discesa. Infine, il balsamo dei risultati. Lecce-Napoli 0-4, perdonate la ripetizione, è una gara balsamica, per Rudi Garcia e il suo progetto. Che non sarà iper-sofisticato dal punto di vista tattico, l’ha detto anche la prestazione vista al Via Del Mare e ne parleremo, ma è un progetto che può funzionare. O, quantomeno, che ha dato dei segnali confortanti.
A Lecce, infatti, il Napoli non ha dovuto strafare per vincere. Merito, come detto, di un gol in apertura che ha cancellato fin da subito la possibilità che la squadra di Garcia diventasse frenetica. Ma il merito è anche del tecnico francese, al di là degli episodi: il Napoli è tornato a essere una squadra che dà la sensazione di poter controllare le partite. In modo diverso rispetto al passato, ma questo non è un peccato. Tantomeno un reato.
Le sensazioni positive sono ancora più accentuate perché il Lecce, lo diceva e lo dice la classifica, è una squadra valida. Prima di incontrare il Napoli, D’Aversa e i suoi uomini avevano infilato quattro vittorie su quattro al Via del Mare, considerando pure la Coppa Italia. E anche ieri hanno mostrato di avere buone individualità, Rafia e Krstovic su tutti, e una discreta organizzazione di gioco. Eppure il Napoli ha sofferto pochissimo, anzi non ha concesso niente: delle 9 conclusioni tentate dal Lecce, solo 4 sono finite nello specchio di Meret. Queste 4 conclusioni, per altro, sono state scoccate tutte da fuori area. L’unica occasione davvero pericolosa costruita dalla squadra giallorossa è stata quella mancata da Ponrgacic alla mezz’ora. Ed è arrivata su azione d’angolo.
Il ritorno del possesso intensivo?
Ora, però, è arrivato il momento di capire come si sia materializzata questa buona prestazione da parte del Napoli. Dal punto di vista tattico, la sfida del Via del Mare è stata interessante: il 4-3-3/4-5-1 di Garcia, opposto a un Lecce schierato in modo speculare, avrebbe potuto soffrire l’alta intensità degli avversari e la loro ricerca frequente del dribbling, soprattutto da parte degli esterni offensivi – il Lecce è la quinta squadra in Serie A per dribbling tentati a partita, 8,6. La scelta del tecnico francese, per poter gestire la gara e per evitare di prestare il fianco agli avversari, è stata quella di tenere molto il pallone. Di costruire il gioco con pazienza.
In che modo? Liberando il trio Lobotka-Anguissa-Zielinski da posizionamenti fissi e accorciando la squadra attraverso i movimenti a fisarmonica di Simeone. L’attaccante argentino, schierato dal primo minuto al posto di Osimhen, è retrocesso spesso verso il centrocampo per offrire uno scarico ai compagni. In diverse azioni del primo tempo, quindi, la prima costruzione del Napoli – con Meret, Ostigard e Natan – poteva trovare il supporto di tre centrocampisti molto mobili e pure quello di Simeone. Ecco un po’ di immagini a supporto:
In alto, la mappa di tutti i palloni giocati da Lobotka, Zielinski e Anguissa: hanno coperto praticamente tutto il campo. Nei due frame di gioco, invece, vediamo la fluidità posizionale del Napoli; in quello al centro, Anguissa occupa lo slot di esterno alto a destra, con Zielinski dietro Simeone; sopra, invece, il centravanti argentino (nel cerchi azzurro) accorcia verso il centrocampo, non attacca la profondità; Anguissa gioca da mezzala, alla sua sinistra, Zielinski invece è a destra.
La punizione che porta al gol del vantaggio nasce proprio da un’azione costruita a partire da questi concetti: l’impostazione di Ostigard su Simeone che viene incontro; Lobotka che muova la palla da pivot; Olivera e Kvara che invertono la loro posizione giocando a tre con Zielinski; il polacco che va in ampiezza e che, accompagnando Kvara, determina un due contro due. Con tutte queste sollecitazioni, per rispondere a tutte queste rotazioni, il Lecce è praticamente costretto a perdere grip difensivo. Ad affrontare i suoi avversari uno contro uno. Contro questo Kvara, tornato decisamente ai suoi livelli, si tratta di una posizione piuttosto scomoda.
Tutto parte da dietro
E allora a questo punto è inevitabile chiedersi: il Napoli è tornato a fare possesso intensivo? È di nuovo una squadra che fonda il suo modello tattico su questo tipo di gestione della fase offensiva? La risposta è sfumata, nel senso che è sì. Ma è anche no. È sì perché questo tipo di azioni sono evidentemente frutto di un lavoro tecnico-tattico fatto su misura per i giocatori a disposizione del Napoli. Kvara ha bisogno che la sua squadra giochi in questo modo per sentirsi ed essere determinante, l’ha fatto vedere durante la partita contro l’Udinese, l’ha detto dopo la partita contro l’Udinese, l’ha fatto vedere a Lecce.
E allora Garcia, da allenatore e persona intelligente, deve aver aumentato l’intensità di quel tipo di allenamenti. Ed è come se avesse rimesso una lampadina fulminata in una stanza diventata semi-oscura proprio perché mancava quel punto luce. Al tempo stesso, come detto, la risposta è anche un no. Perché il secondo tempo sarà gestito e giocato in maniera diversa, sarà anche vinto in maniera diversa. Ne parleremo tra poco.
La condizione fisica, e André-Frank Zambo Anguissa
In realtà, il cambiamento che balza agli occhi in modo più evidente riguarda la condizione fisica del Napoli. La squadra azzurra ha ripreso a giocare bene, prima ancora che a vincere, nel momento in cui alcuni dei migliori giocatori sono tornati in forma. Potremmo citare Kvara, e in realtà l’abbiamo già fatto.
Potremmo citare Lobotka, che forse – a questo punto si può pensare – non era stato messo da parte da Garcia, piuttosto non riusciva a imporsi come l’anno scorso perché non aveva la forza per farlo. Ora le cose sono cambiate. E a Lecce, infatti, la sua partita è stata davvero di alto livello: 70 palloni giocati in 76 minuti, e questo dato potrebbe discendere da un piano-gara che, come abbiamo detto, ha rimesso il possesso al centro del villaggio; in più, lo slovacco ha messo insieme 3 contrasti vinti e 9 recuperi. Questi ultimi sono dati che prescindono dalle indicazioni dell’allenatore. E raccontano di un’ottima condizione fisica.
La crescita più significativa, però, è quella che riguarda André-Frank Zambo Anguissa. Il centrocampista camerunese ha letteralmente dominato la partita di Lecce. Sono i dati a dirlo: Anguissa risulta al primo posto per palle giocate (83), passaggi riusciti nella trequarti avversaria (22), chilometri percorsi in totale (poco più di 11), passaggi avversari intercettati (4).
Prima abbiamo visto tutti i tocchi di Anguissa, questa invece è la mappa dei suoi movimenti. E copre il campo intero, lo copre per davvero.
Li avete letti, sono dati che riguardano indifferentemente la fase offensiva e quella difensiva. E sopra c’è la heatmap un’ulteriore conferma dell’idea per cui Anguissa, ieri, fosse ovunque. O comunque laddove il Napoli aveva bisogno di lui. La rinascita del centrocampista azzurro, se vogliamo, è il simbolo della rinascita del Napoli. Perché in fondo la spiega, in qualche modo: non avendo (ancora o definitivamente?) sposato un calcio iper-sofisticato, Garcia ha bisogno che i suoi calciatori possano dare il massimo. E allora il suo gioco diventa efficace, le sue squadre diventano difficili da attaccare e in grado di far male in diversi modi.
La parabola di Anguissa segue parallelamente quella del Napoli, e forse racconta anche il modo in cui Garcia sta approcciando questa sua nuova avventura. Certo, un gioco più sistemico e ricercato potrebbe aiutare il tecnico francese nei momenti in cui Anguissa sarà infortunato, assente – pensiamo alla Coppa d’Africa in programma a gennaio – o giù di corda, e lo stesso discorso vale per qualsiasi altro calciatore. Forse, però, è proprio per questo che Garcia continua ad andare anche in altre direzioni.
Lecce-Napoli, secondo tempo (in tutti i sensi)
Victor Osimhen al posto di Gio Simeone. È così che è iniziata la ripresa di Lecce-Napoli, e sono bastati pochi secondi a capire perché. L’idea di Garcia, evidentemente, era quella di esercitare maggiore tensione sul Lecce, verticale e in ripartenza, anche a costo di abbassare un po’ il dominio attraverso il possesso palla. Ed è esattamente in questo modo che arriva il secondo gol azzurro: la squadra di D’Aversa porta molti uomini in avanti, attacca accerchiando l’area del Napoli ma perde palla; Osimhen gioca di sponda con Kvratskhelia, che si fa tutto il campo e gli mette la palla sulla testa.
Il Lecce ha otto uomini oltre la linea della palla e sbaglia un passaggio. Ecco cosa può succedere
Per chi crede che si tratti di un’azione isolata: se guardiamo solo alla ripresa, il dato grezzo di possesso palla risulta favorevole al Lecce, anche se di poco (52%-48%). Questo vuol dire che Garcia e il Napoli hanno avuto un approccio diverso: difesa più raccolta, ma non per questo più bassa, più lanci lunghi rispetto al primo tempo (25-22) e ripartenze più veloci, in spazi conseguentemente più aperti. Grazie a Osimhen, ovviamente, ma anche grazie alla verve di Politano e al grande contributo di Mati Olivera. Il terzino uruguagio, pur nell’ambito di una prestazione apparentemente anonima, è stato fondamentale in fase difensiva: ha affrontato il cliente più scomodo, lo sgusciante Anqvist, dal suo lato folleggiava anche il raffinato Rafia, eppure è sempre stato preciso in chiusura e deciso nei contrasti. Ne ha vinti addirittura 8, a cui ha aggiunto 4 palloni spazzati.
Nel frame in alto, si vede tutto il Napoli raccolto in pochi metri, blocco medio ma con linea difensiva alta; sopra, invece, vediamo Pongracic che imposta senza ricevere pressione forte da parte di Zielinski: un altro segnale per cui il Napoli ha difeso in maniera diversa, più accorta, nei secondi 45′ di gioco.
Il Lecce si è via via disunito. L’ultimo segnale lanciato dalla squadra di D’Aversa è stato il gol di Strefezza annullato per un mani di Krstovic. Il tecnico di casa ha provato a cambiare lo scenario inserendo il secondo centravanti puro, Piccoli, ma alla fine si è rivelata una sostituzione sterile. Forse anche dannosa, visto che, dopo qualche istante di risistemazione tattica e posizionale, Ostigard e Natan hanno preso le misure al nuovo assetto avversario. Hanno anche (ri)cominciato a respingere ogni pallone, e così il Napoli ha potuto sfruttare ampie praterie per le sue ripartenze. E per i recuperi in zona offensiva, visto che le connessioni tra la difesa e il centrocampo del Lecce risultavano ormai inesistenti. Così sono nate le due azioni di Gaetano, quella del suo gol e quella che ha portato al rigore poi trasformato da Politano.
Ostigard e Natan
Li abbiamo citati nel paragrafo precedente, ma Ostigard e Natan meritano una piccola digressione a parte. E il gol del norvegese, per quanto sia stato decisivo per “stappare” la partita e metterla in discesa, c’entra pochissimo. Perché questa nuova – e anche inattesa – coppia difensiva funziona bene, promette e soprattutto garantisce ciò che serve al Napoli di Garcia. È una questione di approccio che diventa realtà effettiva in campo: sia Ostigard che Natan sono due difensori che hanno grande fisicità, che sanno rompere la linea e vengono a giocare alti quando c’è da sostenere le fasi di pressing intenso, ma sono anche precisi e diligenti quando il Napoli si ritrae un po’. Come nel secondo tempo di Lecce.
I numeri, come sempre, aiutano a comprendere e a integrare questo tipo di considerazioni: Natan ha ingaggiato e vinto 2 contrasti, uno all’interno della sua area di rigore e uno all’altezza della linea di centrocampo; ha respinto un tiro e ha spazzato un cross tentato dal Lecce. Ostigard è stato meno attivo nella fase difensiva pura, e infatti i dati dicono che ha spazzato soltanto 2 cross avversari, senza tentare contrasti. Ma ha portato a termine 6 recuperi e ha vinto 2 duelli aerei. Anche per lui, uno di questi duelli è stato vinto in area di rigore, l’altro all’altezza del centrocampo.
In alto, Ostigard rompe la linea e si alza fino a centrocampo per anticipare Krstovic; sopra, invece, è Natan a fare la stessa cosa, sempre sul centravanti serbo.
La coppia centrale ha funzionato bene e si è divisa i compiti anche in fase di impostazione: Ostigard ha portato molto di più la palla rispetto al suo compagno (45 passaggi contro 54), optando quasi sempre per la soluzione in appoggio comoda, ravvicinata; Natan, invece, ha utilizzato più spesso lo strumento del lancio lungo (11 tentativi) e l’ha fatto con una buonissima percentuale di successo (8 portati a termine). La maggior parte sono stati passaggi diagonali, da sinistra verso destra: una giocata che in qualche modo appartiene al suo dna, e che nel primo tempo – quando ha tentato 7 passaggi lunghi – è stata incoraggiata dall’atteggiamento e dal piano gara dei suoi compagni. E del suo allenatore.
Anche lo sviluppo di Ostigard e Natan, come individui e come coppia, è un merito che va ascritto a Rudi Garcia. Per loro, come per tutti i compagni, la crescita delle prestazioni è passata e passa da una condizione fisica decisamente migliore rispetto a una o due settimane fa. Ma sarebbe sbagliato ridurre tutto a questo aspetto. Soprattutto a Lecce, una partita-trappola, il Napoli ha dimostrato di aver recuperato delle buone misure in campo, di avere e di saper maneggiare diverse situazioni tattiche, di aver ripreso a muoversi in campo con una certa fluidità. Difficilmente si rivedrà il gioco sempre lussuoso predicato da Spalletti, ma Garcia non appartiene a quel gruppo di allenatori: per lui il calcio è un gioco di equilibri e di pragmatismi, più che di ricerca, e il suo Napoli doveva – deve – essere prima solido e poi sofisticato.
Conclusioni
Se la condizione fisica dei calciatori dovesse rimanere a certi livelli per tutto l’anno, questo cocktail tra passato e presente potrebbe anche funzionare. Certo, chiaramente questo modello andrà sperimentato contro squadre più forti rispetto a Udinese e Lecce. Ma a questo ci ha già pensato e ci penserà il calendario: al Maradona, tra due giorni, arriva il Real Madrid. Ecco, nella gara che verrà la solidità e anche i nuovi meccanismi implementati da Garcia negli ultimi giorni saranno messi a dura prova. Solo che avere la possibilità di variare, in certe gare, potrebbe essere un plus. Perdere qualcosa a livello di dominio per diventare una squadra più compatta e più diretta, quantomeno in certe fasi della partita, potrebbe cambiare un po’ le carte in tavola.
A fine settembre, si può dire, Napoli di Garcia sta prendendo forma. Ed è una forma ibrida che forse non ci aspettavamo, forse anche per questo ottenerla è stato così difficile. In realtà non sappiamo come sia andata davvero. Nel senso: se è vera la storia del confronto con i giocatori, allora Garcia si è dimostrato quantomeno intelligente a comprendere le necessità dei suoi uomini. Ma potrebbe anche essere che il tecnico francese abbia compiuto un percorso inverso. Della serie: prima mettiamo a posto la condizione fisica, poi partiamo da lì per crescere dal punto di vista tecnico-tattico. In questo senso, il fatto che il Napoli resti una delle migliori squadre di Serie A – se guardiamo al valore della rosa, forse è la migliore in assoluto – è una garanzia di tenuta a lungo termine.
Rudi Garcia, insomma, ha per le mani una bomba ad alto potenziale che va costantemente alimentata, guidata, potenziata. Va allenata perché possa detonare. Continui a farlo, continui a sperimentare, a mischiare ciò che piace/serve ai suoi calciatori – dei grandi professionisti, prima ancora che degli ottimi atleti – e le sue idee. Non se ne pentirà.