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Buffon e la sudditanza scansologica

Il caso mediatico post Juventus-Lione ricorda quello della sudditanza psicologica. Il ruolo di Buffon che come lo scorso anno ha strigliato i compagni.

Buffon e la sudditanza scansologica
Buffon

Quando il gioco si fa duro, Buffon è costretto a scendere in campo e a lanciare l’allarme ai suoi compagni di cordata: «Stiamo esagerando, forse è meglio fare un passo indietro, meglio ancora due». Il capitano, insomma, non viene meno ai suoi doveri di leader dello spogliatoio ma questa volta anche lui si lascia prendere la mano e per mettere in guardia i compagni che hanno rimediato una magra figura in Champions portando pareggiando in casa con il Lione, si abbandona a qualche ammissione compromettente («Ragazzi, così non si va da nessuna parte, in Italia vinciamo perché i nostri avversari si scansano, ma in Europa non succede e non succederà mai») che di fatto riapre la ferita mai rimarginata della cosiddetta sudditanza psicologica, cioè quel potere più o meno occulto che la Juve da sempre esercita, magari oltre i suoi desideri, sul sistema calcistico italiano sgangherato come mai: “scansare” , infatti, è un verbo ambiguo che ha almeno due significati ed il secondo è di gran lunga peggiore del primo perché dà ad intendere, se riferito all’obbligo di scendere in campo sempre con la migliore formazione possibile, che gli avversari dei bianconeri, convinti della ineluttabilità della sconfitta, scelgano deliberatamente di risparmiare le forze per riservarle all’impegno successivo. Più abbordabile.

Il caso della Sampdoria è l’ultimo di una lunga serie, ma è la goccia che fa traboccare il vaso già colmo e, com’è naturale che sia, innesca una reazione a catena che (ri)porta a galla alcuni limiti caratteriali della vecchia signora. Nessuna caccia alle streghe, per carità, ma guardiamo la progressione degli eventi: 1) La Juve batte il Napoli grazie anche a due regali ma non convince appieno. I media questa volta fanno rilevare il dato tecnico e, di fatto, infrangono l’indissolubilità del dogma; 2) il pareggio casalingo con il Lione che doveva recitare il ruolo di vittima sacrificale fa precipitare la situazione e spinge Buffon a rompere gli indugi. Lo aveva fatto anche l’anno scorso richiamando i compagni ai doveri imposti dal contratto e dall’ossequio alla maglia più o meno sudata e i risultati furono ottimi, ma questa volta il gioco non è riuscito e il sermone si è trasformato in un boomerang che ha colpito chi lo aveva scagliato. Stavolta, a differenza di altre, il caso è scoppiato. Qualcuno ha parlato, perfino, di dignità, ma mi sembra un tantino eccessivo, più giusto declassare il reato a “offesa grave e prolungata all’intelligenza del tifoso”.

E qui ritorna il doppio significato del verbo “scansare” che nell’interpretazione più colpevolista richiama il tanto vituperato concetto di sudditanza psicologica che è più adatto al caso in questione.

Il chiasso di questi giorni ha richiamato una questione subordinata che scavalca la principale e si impone. A richiamarla è quel furbo di tre cotte di Max Allegri il quale a parole esalta il bel gioco dei suoi calciatori ma nei fatti mostra di essere interessato solo a vincere. Al contrario del nostro Sarri – toscano anche lui ma molto meno scaltro del suo conterraneo, che si porta dietro la responsabilità di aver bagnato i panni, pardon la tuta, nelle acque ridotte a rigagnolo del Sebeto – il quale ritiene, all’opposto, che vincere sia esigenza secondaria rispetto alla primaria che è giocare bene applicando schemi studiati ristudiati e assimilati in allenamento.

Il pensierino del pomeriggio che precede l’importantissimo match che il Napoli gioca stasera contro se stesso prima ancora che contro la Lazio lo dedichiamo, invece, al presidente De Laurentiis, ma solo per ricordargli che il silenzio è d’oro. Lui, che è più furbo di Allegri e Sarri, capisce a cosa ci riferiamo. E sta zitto: è la migliore risposta.

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