Lo sarà quando non subirà gol come quello di Bellingham e sposerà visioni più conservative. La domanda è: ci riuscirà il francese?
Il calcio (non) è un gioco semplice
In questo spazio, rassegnatevi, non potrete mai leggere che il calcio è un gioco semplice. Forse lo è stato, di certo non lo è più: le partite dell’era contemporanea hanno una trama complessa, hanno più livelli di comprensione, cambiano in pochi istanti. E allora bisogna avere conoscenze, bisogna agire e reagire continuamente dal punto di vista tattico, fisico, emotivo. Ecco, se proprio volete possiamo dire che fare gol può essere semplice: basta un giocatore di talento che si inventa un colpo imprevedibile, una percussione, un tiro da fuori. Oppure basta un errore grossolano, e allora il risultato cambia. I giocatori e ancor di più gli allenatori hanno il compito, poveracci, di reagire anche a questo. Possono farcela, a volte ce la fanno. Non è sempre possibile, però.
Ecco, questa è stata Napoli-Real Madrid 2-3. Una partita che si è giocata in modo complesso e si è decisa in modo semplice. Non casuale, perché non è casuale che il bilancio delle grandi giocate e degli errori penda dalla parte del Real Madrid. Non si chiamerebbe Real Madrid, altrimenti. Nell’ambito di questo spazio sul Napolista, però, l’analisi della partita è un esercizio giornalistico che viene inevitabilmente “guidato” dal risultato, ma che deve tener conto anche di altre variabili. Di altre dinamiche.
E allora il Napoli di Garcia ne viene fuori nel modo corretto. Non bene, perché il risultato è sfavorevole e – ripetiamo – non è stato un caso. Ma la partita, dal punto di vista tattico, è stata approcciata, giocata, vissuta nel modo giusto. E per il Napoli, dal punto di vista tattico, questa è un’ottima notizia.
Ritmi bassi
Al Maradona, ieri sera, si è capito subito che sarebbe stata una serata di ritmi bassi. E di strappi. Il Real ha fatto questa scelta per vocazione e quindi per impostazione, il Napoli ha accettato questo scenario per poter gestire la partita. Per non cadere in quella che era la grande trappola preparata da Ancelotti: una sorta di rondò di possesso privo di posizioni fisse, in cui Camavinga era un terzino solo in fase difensiva, in cui Bellingham non aveva una posizione fissa e si muoveva a tutto campo, in cui l’unico calciatore ad avere un ruolo davvero definito in fase di possesso era Dani Carvajal, che garantiva costantemente ampiezza sulla destra.
Nel frame in alto, il Real costruisce con quattro giocatori – i due centrali, Kroos e Tchouaméni – su due livelli, poi Kroos si sposterà verso sinistra per diventare braccetto; Carvajal è larghissimo sulla destra. Sopra, invece, vediamo un’impostazione a tre uomini, con Tchouaméni in mezzo ai due centrali, Kroos in posizione di pivote e Camavinga in proiezione offensiva; Carvajal è talmente largo e avanzato che non viene incluso nell’inquadratura.
Il Napoli ha risposto con una disposizione più ordinata, o quantomeno più riconoscibile: in fase di impostazione, la squadra di Garcia ha alternato la salida lavolpiana di Lobotka o Anguissa con il quadrato centrale formato dalle coppie Ostigard-Natan e Anguissa-Lobotka; Zielinski ha svariato in zone quasi sempre più avanzate, come se Garcia avesse rovesciato il triangolo di centrocampo; i terzini hanno appoggiato spesso l’azione e si sono sovrapposti in modo vario ai laterali offensivi, sia all’interno che all’esterno; Osimhen ha giocato da pivot avanzato. In fase di non possesso, invece, Anguissa tendeva a seguire Kroos a tutto campo, oppure il centrocampista che si abbassa vicino ai centrali per facilitare l’uscita del pallone – più spesso Tchouaméni e più raramente Valverde. Ma lo ha fatto più a schermo che per alzare i ritmi del pressing, come se il Napoli volesse adattarsi all’intensità blanda del Real Madrid.
Nell’immagine in alto, si vede chiaramente il doble pivote Lobotka-Anguissa; sopra, invece, vediamo il 4-4-2 difensivo del Napoli con Anguissa attaccato a Kroos
Ma per quale motivo una squadra con la qualità del Real Madrid avrebbe deciso – e in effetti ha deciso – di giocare a ritmi così languidi? Semplice: proprio perché ha maggior qualità nei singoli e quindi sa creare degli spazi muovendo il pallone senza forzare, senza accelerare troppo. Il gol di Bellingham, per quanto si determini grazie a un calciatore che sembra provenire dall’iperspazio, nasce proprio in questo modo:
Rinvio dal fondo, fino alla porta avversaria
È tutto molto semplice: il Real si scambia il pallone nella sua trequarti campo, invita al pressing Zielinski e Anguissa e poi scarica a sinistra su Camavinga. Il terzino (ma in realtà è un centrocampista) francese attira su di sé Lobotka e Di Lorenzo, si apre lo spazio con un tocco e poi trova Bellingham nella prateria lasciata libera da chi è salito in pressione.
Poi è chiaro: dopo tutta questa preparazione, quel gol va fatto. Ci vuole Bellingham, cioè ci vuole un campione per tagliare il campo in quel modo, per non perdere mai il contatto con la palla. Qualcuno avrà ricordato Rafa Leão che fa più o meno la stessa cosa qualche mese fa, sempre in Champions League; come qualche mese fa, forse Anguissa, Lobotka e poi Ostigard avrebbero dovuto far fallo sul numero 5 del Real Madrid, avrebbero dovuto spendere l’ammonizione pur di fermare quello spunto personale. Tra tutti, però, il commento di Garcia è stato quello più lucido: «Dovevamo chiudere con i nostri interni e portare il gioco del Real sulle fasce. Sull’1-1 dobbiamo avere un atteggiamento diverso, dobbiamo essere in grado di compattarci per poi andare in contropiede, non sempre andare a fare pressing».
Riscrivere il software del Napoli
Ecco, questo è un tema interessante. Che nasce da Napoli-Real Madrid 2-3, ma solo perché è l’ultima partita giocata dagli azzurri. Garcia, in pratica, ha detto che la sua squadra deve – o meglio: dovrebbe – essere in grado di pensare e agire diversamente in base ai momenti delle partite. Il tecnico francese avrebbe voluto che l’1-1 di Vinícius – ma in realtà è stato un gol regalato da Di Lorenzo per un passaggio sballato che potrebbe capitare a chiunque – venisse assorbito e poi gestito dai suoi uomini in modo conservativo. Viene da dire difensivo, anche se è un termine che in alcuni ambiti può avere un’accezione negativa. Non è sempre così.
Ora non vogliamo fare l’apologia del calcio di Garcia, anzi partiamo proprio dall’idea per cui non sappiamo se compattarsi e difendersi, in quel caso, sarebbe stata la scelta giusta. In fondo non potremo mai avere la controprova. I fatti, però, dicono che il Napoli ha subito un gol perché si è scoperto a centrocampo dopo aver pressato in modo troppo avventato, per quanto “costretto” dal palleggio ad alta qualità di grandi giocatori. E perché non ha saputo chiudere gli spazi aperti attaccati da un vero e proprio fuoriclasse. Un fuoriclasse come ce ne sono pochi al mondo, certo, ma che testimonia quanto sia alto il livello in Champions League.
Il Real, in fondo, è reduce da una finale e una semifinale. Potrà non essere una squadra visionaria dal punto di vista tattico, ma il suo valore assoluto è indiscutibile. Perché è inciso sulle coppe degli anni Venti, è stampato sugli albi d’oro degli ultimi almanacchi. E allora, da qui la domanda: il Napoli può riscrivere il suo software per partite del genere? Per contenere, quando il suo allenatore lo ritiene necessario, avversari del genere? Riuscirà a diventare una squadra più vicina alle idee che ha Garcia, oppure Garcia dovrà ancora recriminare perché certi meccanismi, e quindi certi atteggiamenti, resisteranno per sempre?
Il secondo tempo
Nella ripresa il Napoli ha riacceso se stesso e la partita praticamente dal niente. Praticamente subito, per altro. Con un rigore pignolo, viene da dire, ma perfettamente in linea con l’interpretazione contemporanea del regolamento. Dal punto di vista tattico, quella da cui si origina il fallo di mani di Nacho è un’azione semplice ma ben eseguita: dopo un lancio lungo – in realtà sarebbe meglio dire una palla sparacchiata male – di Rüdiger e una buona copertura di Lobotka, Anguissa viene a giocare a sinistra e crea i presupposti per la superiorità numerica in quella zona di campo. Dopo uno scambio con Kvara, Zielinski ne approfitta e parte palla al piede, imbuca bene per Osimhen e il rimpallo finisce sulle mani del capitano del Real.
Ecco, questo è il Napoli
Questa è una classica azione da Napoli, con il movimento e il possesso palla dei centrocampisti che disarticolano la difesa avversaria e permettono ai giocatori di talento – nella fattispecie si tratta di Zielinski, ma con Kvara sarebbe stato lo stesso discorso – di provare giocate ambiziose. Spesso in verticale, per sfruttare e premiare i movimenti di Osimhen.
Il boost di entusiasmo e convinzione dopo il pareggio ha aperto una fase di partita in cui il Napoli ha dato la percezione di essere padrone del campo. I numeri, in questo senso, danno delle indicazioni piuttosto chiare: tra il 54esimo e il 70esimo minuto, la squadra di Garcia ha tenuto il pallone per il 63% del tempo, ha tentato 5 volte la conclusione (contro un solo tiro del Madrid), ha limitato il Real a 5 palloni giocati nella trequarti offensiva. Questa fase di apparente dominio, però, ha prodotto solo 2 conclusioni dentro lo specchio della porta: quella di Zielinski dal dischetto e un’altra del centrocampista polacco, scoccata da fuori area e ben contenuta da Kepa.
La tattica, le letture, la qualità, la fortuna
Dal punto di vista tattico, in quel quarto d’ora il Napoli ha fatto ciò che poteva fare. Ha alzato il baricentro, ha spinto molto a sinistra (alla fine della gara è risultato che il 44% delle manovre degli azzurri sia nato da quella parte) permettendo a Kvara di puntare ripetutamente Carvajal, ha accerchiato spesso i suoi avversari in area di rigore. Il Madrid non è riuscito a uscire, a tessere alcuna azione. E allora si è ritratto, ha contenuto i suoi avversari concedendogli – come detto – qualche mezza occasione, e la sensazione di poter vincere.
Al minuto 57′ di Napoli-Real Madrid, la squadra azzurra imposta con il suo difensore centrale sulla linea di centrocampo; tutti i suoi compagni, tranne il centrale di destra, sono davanti alla linea della palla.
Insomma, il Real avrà anche dato la sensazione di essere difensivamente friabile e privo di iniziativa offensiva. Ma la realtà dei fatti dice anche che la squadra di Ancelotti ha resistito, rischiando pochissimo. I giocatori che portano ancora sul petto il badge dei campioni del mondo non hanno commesso errori individuali, né di lettura tattica. Gli è bastato compattarsi a difesa della loro porta per restare indenne fino alla boccata d’ossigeno dei cambi. Quelli di Ancelotti, che ha pescato Mendy, Modric e Joselu. E quelli di Garcia, che ha tolto Politano e Zielinski per Elmas e Raspadori.
Ecco, col senno di poi siamo tutti dei grandi allenatori. E, a pensarci bene, ogni tentativo può portar a un errore. Nel caso di Garcia con i cambi, si può dire che siano stati poco indovinati. Perché il Real Madrid ha ripreso campo e coraggio non appena Politano e Zielinski sono usciti. Perché Elmas e Raspadori hanno dato poco, specie se confrontiamo la loro prestazione con quella dei giocatori che hanno sostituito: Zielinski e Politano erano stati i migliori in campo a livello statistico nella combo tiri in porta + passaggi chiave, raggiungendo entrambi quota 5. Politano, poi, era stato il calciatore più preciso nel Napoli per quanto riguarda cross (5 riusciti) e passaggi lunghi completati (3).
Poi, come detto in apertura, bisogna pure semplificare. A volte la qualità individuale diventa fortuna: da una serie di angoli del Real Madrid, infatti, è venuto fuori il tiro di Valverde. Una botta incredibile da fuori area che piega la partita quando ormai era troppo tardi, per il Napoli. Possiamo parlare quanto volete delle eventuali colpe di Meret, ma il punto è che con una conclusione del genere è difficile anche solo pensare di fare analisi tecniche o di piazzamento. La si applaude e basta.
Conclusioni
Gli applausi, appunto. Quelli del Maradona al fischio finale, come scritto anche da Massimiliano Gallo nel suo commento a caldo dopo la partita, sono un segnale chiaro: la prestazione del Napoli è stata apprezzabile. Ed è stata apprezzata. Non solo dal punto di vista emotivo: se guardiamo alla pura proposta tattica, la squadra di Garcia non è sembrata così distante dal Madrid. Ha provato ad attivare i suoi talenti e a limitare quelli a disposizione di Ancelotti, e ci è anche riuscita. Solo a tratti, però. O comunque per tratti più brevi rispetto a quanto non abbiano fatto i calciatori del Real, che in ogni caso restano sensibilmente più forti, più maturi. Anche più maliziosi nella gestione dei falli, delle proteste, delle perdite di tempo.
Dal punto di vista della condizione fisica e dell’efficacia del modello di gioco, due cose che nel Napoli di Garcia vanno inevitabilmente di pari passo, il tecnico francese può essere soddisfatto. Non totalmente, visto che la sua squadra non ha ancora la lucidità necessaria per switchare su un assetto più coperto nei momenti difficili della partita, ma questo tipo di cambiamento richiede tempi lunghi. E quella di ieri sera, per il Napoli, in fondo era solo la prima partita vera di Champions League contro un avversario di livello superiore.
Da evidenziare – ancora una volta – la buona tenuta della coppia difensiva Ostigard-Natan e la prestazione senza sbavature di Mati Olivera sulla fascia sinistra. Sono segnali importanti, soprattutto in vista del campionato e delle gare decisive di Champions contro l’Union Berlin: il Napoli sta studiando da squadra multiforme e deve studiare ancora tanto, ma ci sono tutti i presupposti per adattarsi a questo nuovo abito e per fare bene. Non tutti gli avversari saranno Bellingham e Valverde, e a pensarci bene contro il Real Madrid la differenza è stata tutta lì. Pensare che Garcia, lavorando sul campo, potrebbe inventarsi gli strumenti per colmare ulteriormente questo gap, fino a pochi giorni fa era un’ipotesi lunare. Oggi non lo è più.