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La silenziosa lezione di Sinner all’Italia del vittimismo: lavoro e zero polemiche

Avrebbe potuto togliersi una montagna di sassolini dopo le polemiche sulla Davis. Invece usa le sue energie sul campo. E vince zittendo tutti

La silenziosa lezione di Sinner all’Italia del vittimismo: lavoro e zero polemiche
Toronto (Canada) 13/08/2023 - Toronto / foto Imago/Image Sport nella foto: Jannik Sinner ONLY ITALY

Mentre noi poveri lettori della stampa specializzata nazionale (dove “nazionale” è aggettivo qualificativo di moda), ci struggevamo per il Sinner-Peccatore che oltraggiava la bandiera rinunciando alla Coppa Davis, il suddetto Sinner sorvolava. I più attenti ne avvertivano il fruscio di passaggio, un soffio appena sui nostri pruriti così terreni. Jannik Sinner, appena un paio di settimane dopo riabilitato da “caso” a eroe pur sempre “nazionale”, non ha mai abitato la polemica. Pur essendone protagonista e vittima. S’è fatto processare in contumacia, in sottoesposizione costante. Non troviamo modo più elegante per dirlo: se n’è fottuto.

Ha fatto una cosa che agli osservatori da divano pare la più scontata al mondo: ha continuato ad allenarsi, a giocare, a vincere. E quando ha vinto – altra cosa che i più declinano in imperativo categorico  – ha perseverato (pardon) a fottersene. Avrebbe potuto approfittare di uno dei tanti microfoni a disposizione del nuovo numero-4-al-mondo-come-Panatta! per togliersi una tonnellata di sassolini dalle scarpe. Avrebbe potuto attaccare, sfogarsi, o semplicemente “blastare” come usa tra i suoi coetanei (ha 22 anni appena, eh). Altri avrebbero monetizzato il vittimismo con monologhi dolenti sulla difficile condizione fisica, gli infortuni, le lagne da recitarsi su Instagram. E invece.

Nell’invece di Sinner – un invece sostanzioso, denso, plastico – c’è tutta la mancanza di qualsiasi revanscismo. Un contrasto alla genetica culturale dell’Italia che lui rappresenta (ma ancora gli rinfacciano d’essere “austriaco” o persino rosso…) con uno splendore a tratti abbagliante: serio, posato, faticatore, razionale, concentrato, modesto ma ambizioso. Niente vittimismo, appunto. Nemmeno dopo aver vomitato in un bidone al centro di un terzo set poi vinto contro Dimitrov. Non quando le vesciche lo azzoppavano sulle resine roventi dei tornei americani, tantomeno quando si faceva sfottere in campo dall’avversario, Evans, per la postura da mal di schiena che assumeva mentre comunque lo batteva. Perché così funzionano i campioni: lavorano, coltivano ossessioni, vincono. Vincono un sacco.

Sarà la nostra piccola disabitudine ad aver a che fare con questo professionismo dal profumo internazionale, ma la vera lezione di Sinner è l’elegante noncuranza con cui fa il suo dovere mentre attorno lo esaltano o lo massacrano. Vale per lui, come per decine di altri connazionali celebrati prima di rottamarli al primo gossip scemo. Avete presente Berrettini passato da modello tricolore da esportazione a parassita del tennis devastato a letto dalla fidanzata? C’è sempre un Peccatore, con cui prendersela a capocchia, in questo triste Paese.

Ebbene, Sinner è rimasto altrove. Altero, lui; isterici, noi. La differenza tra chi vince e chi non sa perdere, manifesta.

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