Su Instagram: «cerca di proteggere il suo lavoro e i suoi interessi. Ha un’idea povera dello sport, lo considera un business. Aveva ragione Pasolini».
Fabrizio Corona ha deciso di replicare nelle sue storie Instagram alle parole di Luciano Spalletti in conferenza, che alludevano a lui:
«Spalletti è entrato come parte in causa per cercare di proteggere il suo lavoro e i suoi interessi dalla destabilizzazione che deve aver provocato l’arrivo della procura a Coverciano. Il suo giudizio credo si poggi in parte sui tuoi trascorsi con il mondo del calcio e in parte sul fatto che nelle storie Instagram e negli articoli pubblicati viene parecchio enfatizzato il tuo compiacimento per i risultati dello scoop in termini di visibilità e potenziale denaro. La tua esuberante autoreferenzialità facilita le parti in causa (e i tuoi detrattori) a spostare il focus dell’attenzione dalla notizia a colui che dà la notizia.
E quindi che cada fango su Corona perché, paternalisticamente, i giocatori non sono più atleti professionisti, ma ragazzini fragili: da proteggere, poverini, dalla loro ricchezza. Che Spalletti però sposti l’attenzione su di te, non prendendo atto dei problemi che ha in casa, è abbastanza grave. Perché il suo ruolo ha una doppia dimensione, da un lato squisitamente tecnica, ma dall’altro anche simbolica e culturale. Per l’allenatore di una Nazionale lo sport (senza distinzioni tra alto livello e quello delle persone comuni) dovrebbe essere quella pratica che nobilita l’uomo dal punto di vista fisico e sociale.
Se diversi suoi calciatori sono ludopatici, è un problema serio e bello grosso che va responsabilmente affrontato nella comunicazione rivolta a milioni di spettatori. Invece sembra soltanto capace di liquidare il tutto con un bel consiglio ai suoi giocatori: attenti al lupo che vuole approfittare della vostra notorietà per accrescere la sua. Io non ho visto l’intera conferenza, ma se le sue affermazioni fossero solo queste, è certo che implicitamente fanno pensare allo sport solo come mero spettacolo e macchina del business. Al calcio come strumento di successo e ricchezza per ragazzini privilegiati; come diversivo e motivo di futile gioia per le masse; oppio del popolo.
Ed è forse questa idea così povera dello sport che contribuisce a rendere ludopatici questi ricchi e fragili ragazzini. Diceva Pasolini: d’altra parte tale oppio è anche terapeutico. Le due ore di tifo, aggressività e fraternità allo stadio sono liberatorie. Guai dunque a censurarlo questo bisogno. Ma c’è da chiedersi, però, cosa lo faccia generare in ludopatia».
LE PAROLE DI SPALLETTI ALLUDENDO A CORONA:
«I calciatori devono capire che sono personaggi famosi e che ci sono altri che diventano famosi andando a spiare e a sciacallare su di loro per avere pubblicità».