Luca Goldoni scrisse un racconto sul drammatico salvataggio: furono Claudio Ripa e il medico Raffaele Pallotta che gli fece un’iniezione sopra la muta.
Vieni, c’è un sub più bravo di me
Appunti frettolosi, ma sentiti, in morte di Enzo Maiorca il re degli abissi. Una mattina d’estate – quarantadue anni fa – il mio fraterno amico Claudio Ripa, il re del corallo pescato in tutti i mari del mondo a profondità tanto abissali da rendere necessario l’uso di bombole caricate ad elio un gas più leggero dell’ossigeno, mi disse con fare ammiccante: domenica pomeriggio vieni con il gozzo al Vervece, ti faccio conoscere un sub più bravo di me.
Tutto vero. Il campione era Enzo Maiorca, siracusano di Grottasanta, dove il mare è una presenza addirittura ingombrante, e il Vervece è lo scoglio a forma di caprone tra Sorrento e Massalubrense, dove i sub hanno collocato la Madonna che protegge i naviganti piantandole accanto, in un tripudio di gorgonie e di altre meraviglie della nostra fauna, tante mattonelle che hanno inciso il nome e dei marinai morti in mare. Ora bisognerà ordinarne subito un’altra per tramandare alle future generazioni il nome del re degli abissi che, insieme al suo acerrimo rivale-amico Jaques Mayol, ispirò Luc Besson per uno dei suoi capolavori, Le Grand Bleu. Che, però, a Enzo non piacque, perché eccessivamente puntato sulla rivalità tra i due sub che, invece, si immergevano per abbattere il muro degli abissi e trovare lì la loro verità.
L’incidente con Bottesini
Parlare di Enzo Maiorca senza sentire Claudio Ripa e Lello Pallotta è, però, impossibile e l’ho fatto nonostante sia stato presente ai due tentativi di record nel mare di Massalubrense. Il primo andò a male perché il campione si scontrò con il fotoreporter subacqueo Enzo Bottesini che aveva conquistato molta popolarità per una fortunata e ricca partecipazione a Rischiatutto. L’urto fu inevitabile e mandò all’aria il record. E, soprattutto, mandò in bestia il campione che si sentì tradito. La conclusione fece scandalo: quando riemerse Enzo urlò a Bottesini: non si scherza così con la pelle della gente seguito da un paio di bestemmie che gli valsero la condanna a non apparire più in video per due anni. Bottesini, invece, si scusò ma venne perdonato solo dopo molte ore dal fattaccio.
Il secondo tentativo
Maiorca, però, al record non volle rinunciare, non ripartì da Sorrento e si allenò con il suo amico Claudio che i fondali massesi li conosce come le sue tasche e sette giorni dopo ritentò i novanta metri in apnea, che sembrava una impresa oltre i limiti dell’umano. E qui, con Claudio che dirigeva le operazioni per conto della Federazione, entra in scena il capitano medico Raffaele Pallotta che ha salvato decine di sub in embolia curandoli nella camera iperbarica della Marina Militare, una sorta di tunnel della vita, che lui dirigeva. Maiorca, infatti, riemerse che era quasi esanime accompagnato da Ripa il quale, per star vicino all’amico, risalì a palla, senza fare le decompressioni obbligatorie.
La scena drammatica quando Maiorca risalì
Una scena drammatica, la ricordo come fosse accaduta ieri: Enzo perdeva sangue dalla bocca e Pallotta decise un intervento disperato. Gli praticò, ancora in acqua, una iniezione salva vita, ma dovette farla mentre il campione indossava ancora la muta: mise tutta la forza che aveva dentro, l’ago passò e il miracolo si compì. Luca Goldoni scrisse un racconto drammaticamente bello centrato sull’“angelo” che accompagnò Maiorca alla salvezza: l’angelo era Claudio Ripa che ancora oggi fa fatica a ripensare a quegli attimi. «Andò tutto bene e questo solo conta» perché, come mi diceva sempre Enzo, il mare non fa sconti e spacca anche le teste più dure. Ha provato a spazzare anche quella di Ripa ma non ce l’ha fatta nonostante i sette emboli patiti.
La tacca dei 101 metri
A fare da contrappeso, però, ci sono i quintali di finissimo corallo raccolti e i campionati mondiali conquistati pescando prede straordinarie: nel mare delle Bahamas gli riuscì di fiocinare e portare a galla una cernia di duecentocinquanta chili. Il record dei record. I marinai veri, però, non amano parlare delle loro imprese, a terra sono schivi e solo sott’acqua riescono a esprimere tutta la forza e la determinazione che hanno dentro. Maiorca, ad esempio, si sentì appagato solo quando raggiunse l’obiettivo massimo, “scendere” al di sotto dei cento metri. Ci riuscì che aveva 57 anni e un fisico ancora eccezionale – unito a una “mostruosa” capacità polmonare, ma ormai logoro. Ne prese atto e diede addio ai record con un commento che gli rende onore:
Quando strappai la tacca dei 101 metri sentii il richiamo del mare e capii che dovevo inchinarmi a lui in senso di rispetto non di sconfitta.
Un personaggio straordinario, insomma, che si porta dietro un segreto: perché, nel giorno, del record valido, non completò la lunghissima inspirazione che faceva prima della immersione? Raffaele Pallotta, il medico subacqueo, lo notò e fu colto da un presentimento: «È vero, avvertii il rianimatore Gaetano Postiglione di stare in guardia perché temevo che sarebbe venuto su male». Ebbe ragione, ma la mano non gli tremò quando infilzò l’ago nel petto di Enzo Maiorca con la forza con la quale un cacciatore stacca la testa alla preda. Che in quel caso era la morte.