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Mario Merola e la polemica sul “guappo buono” che divise la politica a Napoli

Dieci anni fa i funerali in piazza del Carmine. L’ansia di commemorazione colpì Bassolino e spinse Rosetta a parlare di elogio della guapparia. De Mita le rispose.

Mario Merola e la polemica sul “guappo buono” che divise la politica a Napoli
I funerali di Mario Merola e la polemica sul “guappo buono” che divise De Mita e Iervolino

L’esaltazione del “guappo buono”, nelle stanze al primo piano del palazzo seicentesco di via Santa Brigida, ebbe l’effetto della classica goccia che fa traboccare il classico vaso. Va bene esprimere il dispiacere per la dipartita e formulare il cordoglio alla famiglia, ma adesso si stava davvero esagerando. Era in atto una gara istituzionale a chi dettava alle agenzie la dichiarazione più strappalacrime e spezzacuore per captare la simpatia di quella folla che si era associata fuori e dentro la chiesa del Carmine per dare l’ultimo saluto al feretro di Mario Merola. Una marea folcloristica, raccontano le cronache di dieci anni fa (il 14 novembre 2006), con gli inviati di tutti i giornali e tv nazionali ed esteri cui non doveva sembrar vero trovare, al termine del viaggio, tutta accalcata in una piazza la summa degli stereotipi sulla napoletanità.

Gli omaggi di Bassolino e del Guardasigilli Mastella

Insomma, andava in scena un funerale coi fuochi d’artificio, di quelli che solo a Napoli sanno fare. L’ansia da commemorazione, quel giorno aveva già prodotto una salva interminabile di dichiarazioni istituzionali: Clemente Mastella, allora ministro per la Giustizia ed il presidente della Regione Campania Antonio Bassolino, esaltavano il re della sceneggiata considerato come “grande punto di riferimento” o come “simbolo per Napoli ed il Mezzogiorno”. Ma il botto finale lo sparò la sindaca Iervolino che, incalzata dalla “famiglia allargata” – così Rosetta chiamava i giornalisti perennemente sulle sue tracce a caccia del titolo quotidiano – definì la buonanima come

l’immagine del guappo buono che alla fine fa sempre prevalere la giustizia, la bontà, il bene della gente. Dobbiamo recuperare la guapparia nella misura in cui è orgoglio, e non prepotenza, nella misura in cui si tratta di un sentimento di generosità.

Poche centinaia di metri separavano la sede del Comune dal quartier generale del partito della sindaca. Il primo piano del palazzo nobile ed antico che dà sulla Galleria Umberto, lato via Santa Brigida, ospitava la direzione regionale della Margherita. Non per questo il botto si sentì più forte che nel resto della città, forse perché tra la prima cittadina e la sua formazione politica di riferimento c’era stata da sempre una convivenza spinosa più di una rosa di maggio.

Il “guappo buono” non fu digerito da De Mita

La esaltazione del “guappo buono” innescò un’immediata reazione da parte di quello che era il primo partito della Campania. Alle ultime elezioni regionali La Margherita, saldamente retta da Ciriaco De Mita, aveva operato lo storico sorpasso sugli “alleati” Ds raggiungendo quasi il 16% dei consensi con il record di 9 consiglieri regionali eletti, mentre i Democratici di Sinistra, pur potendo contare sull’effetto trascinamento del riconfermato Bassolino a presidente della Regione, si erano fermati a poco più del 15%.

La rivalità tra i due partiti che avrebbero poi generato il Pd si manifestava nell’aspra conflittualità per i posti di potere, ma anche nella capacità di conquistare spazio sui media (non ancora social), e nel dettare i temi ed i tempi del dibattito politico.

Va bene esprimere il dispiacere per la dipartita di un napoletano famoso e formulare il cordoglio pubblico alla famiglia, ma adesso si stava davvero esagerando. Va bene il discorso celebrativo sulle indiscusse capacità artistiche della buonanima, ma esaltare il personaggio del “guappo buono” e farne l’eroe istituzionale di Napoli, andava ben oltre ogni ragionevole diplomazia nei rapporti politico-istituzionali tra La Margherita e la Rosa.

Il Pd non c’era ancora

Qualcuno, per sostenere le ragioni di un comunicato “spinoso” del partito, si avventurò in una citazione cinefila. A guardare i film che vedono Merola protagonista, ci si accorge che Napoli è cambiata solo perché alcune strade o piazze sono state pedonalizzate o perché sono mutati la moda dei Napoletani e i modelli delle auto in giro per la città. Per il resto, in quell’inizio di Duemila – ogni riferimento al tempio della sceneggiata è puramente voluto – sembrava di vivere come negli anni Settanta, agli uomini mancavano solo i pantaloni a zampa d’elefante ed il borsello a tracolla.

Si presentava l’occasione ghiotta di mettere in piazza le differenze tra chi badava ad un cambiamento di facciata e chi si candidava a guidare la reale e concreta trasformazione cittadina.

Il comunicato firmato dalla direzione regionale – non dal segretario De Mita – della Margherita sembrava uno schiaffo alla sindaca e a tutti quelli che per compiacere una piazza avevano addirittura inneggiato alla guapparia. C’era bisogno di un chiaro segnale a favore della legalità anche nei piccoli gesti del quotidiano.

Detto, discusso, fatto.

Il comunicato della Margherita contro Rosetta

“L’ansia della commemorazione ha prodotto – si leggeva nel foglio con l’intestazione del Fiorellino – una pericolosa confusione che non aiuta a superare le inquietudini che attraversano la Napoli odierna. Si è finito per mitizzare valori che non possono più essere rappresentativi di questa città. Non esiste un lato positivo della guapparia, sinonimo di arroganza, violenza e prevaricazione. Non è così che possiamo affermare i valori della cultura, della tolleranza e dell’educazione, fondamentali per poter costruire un modello di vivibilità per le generazioni future”.

Lezione politica?, di bon ton istituzionale?, o semplice appello al buon senso a cui è chiamato chi detiene responsabilità di governo in una realtà così complessa?

La polemica riempì per qualche giorno le pagine dei giornali (ne scrisse anche Peppe D’Avanzo) ed i servizi dei telegiornali, fino agli immancabili interventi pacificatori da Roma, che ristabilirono una quiete che da lì a poco sarà definitivamente spazzata via da tempeste ben più violente e dirompenti.

È passato un decennio da quel funerale e oggi nel commemorare l’Artista Merola si avanza la proposta dell’intitolazione di un piazza, di una strada o almeno di un vicolo. In attesa delle decisioni toponomastiche, da quella polemica emerse la certezza che il sindaco di una realtà complessa come Napoli, una città dove una volta non ci si fermava al rosso dei semafori ed oggi non ci si ferma all’alt dei posti di blocco, non può trovare elementi positivi nella rappresentazione della guapparia né dalla partecipazione a convegni insieme con evasi.

Mutatis Mutandis.

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