Ha un approccio al gioco troppo elementare, il calcio va nella direzione opposta. La domanda è: De Laurentiis ne era consapevole?
Analisi tattica (in formato ridotto)
Questo che vi apprestate a leggere non è il solito articolo che trovate in questo spazio del Napolista. L’analisi tattica di Union Berlin-Napoli 0-1, infatti, potrebbe esaurirsi in pochissime parole. Queste: Rudi Garcia ha schierato la sua squadra col 4-3-3/4-5-1, ha impostato la partita per muovere la palla soprattutto sul lato di Kvara, passando per Mário Rui e Zielinski. Al termine di una delle poche azioni in cui questa strategia ha dato i suoi frutti, grazie a Rrahmani che ha alzato l’intensità del recupero palla, è arrivato il gol decisivo: Kvara si è trovato isolato e ha superato il suo avversario diretto vincendo il duello individuale; Raspadori si è staccato bene dal suo marcatore e ha scaraventato la palla in rete.
Per tutto il resto della gara, il piano tattico del Napoli non ha sortito gli stessi effetti. Perché l’Union ha corso di più, ha corso meglio ed è una squadra difensivamente organizzata, che sa presidiare gli spazi in maniera precisa. E quindi gli azzurri hanno tenuto molto il pallone (dato del possesso grezzo al 60%) ma in modo sterile. In difesa, la squadra di Garcia non ha dovuto fare altro che tenere un blocco medio e coprire sui cross dagli esterni. Il resto che serviva per non subire gol è stato (non) fatto dall’Union, che è scesa in campo schierata col 3-5-2/5-3-2 e ha giocatori tecnicamente troppo modesti per sfidare davvero gli azzurri. E per giocare in Champions League.
Non a caso, viene da dire, al fischio finale lo score dei tiri in porta diceva 2-1 in favore dell’Union Berlin. L’unica parata vera è stata quella di Meret su tiro di Fofana, nel primo tempo. L’unico tiro finito fuori di poco, quindi l’unico tiro davvero pericoloso tra quelli che sono finiti fuori dallo specchio, è stato il colpo di testa di Knoche al minuto 79′. Che è arrivato su palla inattiva, per altro.
Un approccio classico
Davvero, non c’è molto altro da dire. Certo, si potrebbe parlare dei cambi. L’ingresso di Elmas al posto di Cajuste, per esempio, ha reso più mobile e imprevedibile il Napoli in fase offensiva. Ma la realtà è che si tratta di una mossa pensata e attuata in modo coerente con il lavoro di preparazione del piano-partita, almeno per come lo intende Garcia: il tecnico francese, infatti, modella e poi trasforma la sua squadra in modo minimale. Con un approccio classico, viene da dire monolitico.
Nel calcio di Garcia, tutto dipende e discende da un paio di concetti di base, piuttosto elementari – nel caso di Union Berlin-Napoli, si tratta di quelli di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente. Le modifiche successive avvengono, se avvengono, con l’inserimento di nuovi giocatori. Non attraverso la tattica, ma passando dalla tecnica individuale di chi subentra, dalle nuove spaziature che si determinano. E poi dall’emotività, dalla grinta, dalla rabbia agonistica, da quella «energia positiva» di cui Garcia ha parlato nella sua intervista postpartita rilasciata a di Sky.
Prima abbiamo parlato di approccio classico, e il punto dell’articolo che state leggendo è proprio questo. Più che un’analisi della partita di Berlino, chi scrive ha elaborato una sorta di piccolo editoriale tattico. In cui si parla di Garcia e del suo Napoli, in cui si prova a spiegare ciò che è successo finora e e si cerca di anticipare ciò che succederà in futuro, partendo dalle evidenze riscontrate finora. Dai fatti, più che dai numeri.
Cosa vuol dire approccio classico?
Per rispondere alla domanda che dà il titolo a questo capitoletto, basta guardare il Napoli visto a Berlino. E in tutte le altre partite della gestione Garcia. Stiamo parlando di una squadra poco sofisticata dal punto di vista tattico, in cui – e su cui – l’allenatore incide in maniera diversa rispetto a come siamo abituati a vedere nella nostra era calcistica. Con Garcia in panchina, insomma, il Napoli gioca come avrebbe giocato qualsiasi squadra, anche d’élite, fino a dieci o quindici anni fa: il tecnico lavora per preparare i giocatori dal punto di vista fisico, per costruire e alimentare la compattezza difensiva e per permettere ai giocatori più talentuosi di esprimersi al meglio. Nel caso di Kvaratskhelia, almeno per il suo stato di forma attuale, basta che riceva il pallone per creare qualche pericolo.
Questo è il lavoro a monte. A valle, invece, l’allenatore secondo Garcia incide sulla partita con le intuizioni che si determinano grazie ai cambi. E attraverso il lavoro motivazionale. Non a caso, viene da dire, il Napoli ha recuperato due gol a Genova dopo e grazie agli ingressi di Raspadori e Politano; contro la Fiorentina, invece, il piano gara iniziale – giusto o sbagliato che fosse, non è questo il punto – è stato cancellato completamente dalla sostituzione forzata di Anguissa con Raspadori. Se ci pensate per un attimo, il Napoli di quest’anno non ha mai cambiato realmente forma durante una stessa partita. Si è schierato con una nuova disposizione, magari ha alzato l’intensità e/o la qualità del suo gioco, ma non c’è mai stata una reale e profonda trasformazione tattica.
Sommare, moltiplicare, cosa dice il passato
Ricordate la vecchia massima per cui «l’allenatore più bravo è quello che fa meno danni?». Il nocciolo del nuovo Napoli è proprio questo, cioè Rudi Garcia pensa e agisce esattamente così. È un esponente di quella concezione di allenatori, di quella generazione di tecnici. Il suo approccio e quindi il suo lavoro tendono a sommare la qualità dei calciatori che ci sono a disposizione. A farlo in modo semplice, elementare. Così si evitano i rischi che si determinano quando invece si insiste in modo più sofisticato sulla preparazione tattica. Chi adotta quest’altro metodo, invece, punta a esaltare e quindi a moltiplicare – non semplicemente sommare – il valore dei calciatori attraverso la costruzione di un’identità di gioco e/o di meccanismi complessi nelle varie situazioni che si manifestano durante le partite.
Ora è giusto porsi la seguente domanda: questo credo e questo metodo sono giusti per il Napoli? Per i giocatori della squadra azzurra? Non esiste una risposta definitiva, almeno fino a questo momento. O meglio: Garcia oggi è l’allenatore del Napoli, e quindi il Napoli ha il dovere irrinunciabile di provare a essere una squadra di Garcia. I dubbi su questo punto, se esistono, devono (dovevano) venire a chi ha scelto di assumere Garcia come successore di Spalletti: in fondo la carriera del tecnico francese è sempre andata esattamente in questa direzione, a Roma, a Marsiglia come a Lione.
Se la decisione è stata ponderata, allora a suo tempo la dirigenza del Napoli riteneva che il Napoli fosse la squadra giusta per Garcia e il suoi credo e il suo metodo. Non è detto che sia davvero così, ma la storia dice che la scelta è stata fatta. Ed è stata anche confermata qualche giorno fa, quando Garcia si è visto rinnovare la fiducia.
Il presente e il futuro
A questo punto della stagione, a quattro mesi dall’arrivo di Garcia, l’unica cosa che ha senso fare è prendere atto della realtà. E quindi del fatto che il Napoli, almeno fino a quando il tecnico francese resterà sulla panchina azzurra, resterà una squadra allenata e gestita nel modo che abbiamo descritto finora. Se partiamo da questa prospettiva, se cancelliamo ogni pregiudizio e ogni preferenza, se ci stacchiamo dall’idea che il Napoli possa e debba essere una squadra che gioca solo e soltanto un certo tipo di calcio, per quanto possa essere una visione suffragata dai fatti, allora la lettura e anche l’analisi della partita di Berlino hanno tutto un altro significato.
Insomma, il presente e il futuro del Napoli sono abbastanza delineati: i risultati dipendono e dipenderanno sempre dai rapporti di forza in e per ogni partita. Nel senso: contro squadre come Sporting Braga e Union Berlin, come Verona e Udinese, come Genoa e Bologna, come Frosinone, Lecce e Sassuolo, la squadra di Garcia difficilmente perderà. Perché ha dei valori tecnici decisamente più alti, perché alla fine contro certi avversari riesce anche a difendere in modo efficace. Sono i numeri a dirlo: nelle nove gare contro le nove squadre elencate sopra, gli azzurri hanno subito soltanto sei gol. Di questi, due sono arrivati su palla inattiva e uno su rigore.
Vedete come cambia la prospettiva? In questo modo, cioè da questo punto di osservazione, per esempio, si riesce a comprendere anche il senso del cambio Ostigard-Kvara fatto ieri sera a Berlino: Garcia ha scelto di aggiungere un terzo centrale difensivo, anche se schierato a centrocampo, e non di inserire un calciatore in grado di consolidare i meccanismi di possesso. In fondo, se ci pensate bene, la sua è una soluzione più semplice: richiede meno sforzo, meno lavoro. Forse ha determinato un finale più sofferto, visto che il Napoli non è riuscito a congelare il possesso palla, ma alla resa dei conti il gol dell’Union non è arrivato. E allora, che ci/vi piaccia o meno, Garcia ha avuto ragione: Ostigard per Kvara era il cambio giusto per il suo Napoli.
Contro gli altri avversari
Come per tutti gli approcci e gli stili calcistici, però, anche quello di Garcia ha dei lati oscuri. Non stiamo parlando di percezioni – bellezza/bruttezza, dominio/non dominio – o di preferenze, ma di dati. Di fatti. Come abbiamo detto tra le righe, il Napoli ha vinto sette partite su 12 giocate in questa stagione, con due pareggi e tre sconfitte. Le tre sconfitte sono arrivate tutte contro squadre di livello vicino (Fiorentina, Lazio) o superiore (Real Madrid) al Napoli, e in ogni caso si trattava di squadre con un’organizzazione tattica se non più sofisticata, di certo più organica e strutturata rispetto a quella di Garcia.
È un caso? Forse no, e a dirlo/crederlo non è solo chi scrive. Lo ha detto Aurelio De Laurentiis, che altrimenti non avrebbe parlato apertamente di «un momento difficile con Garcia». Ed è meglio soprassedere – perché nessuno sa e saprà mai la verità – sulla trattativa avviata e poi fallita perché Antonio Conte diventasse il nuovo allenatore del Napoli, anche se non sarebbe giusto farlo.
Conclusioni
Ecco, a questo punto l’articolo diventa il piccolo editoriale tattico che vi avevamo promesso: chi scrive pensa che Rudi Garcia sia un tecnico inadatto al Napoli. Per via di un approccio al gioco troppo elementare e quindi sorpassato, a causa di metodi che non permettono ai giocatori di esprimersi al meglio. Allo stesso tempo, però, Rudi Garcia può e potrà essere giudicato – anche dal sottoscritto – soltanto attraverso la metrica dei risultati. E questa è una condizione dovuta proprio al modo in cui allena, per come guida le sue squadre.
L’estetica e il giudizio delle prestazioni passeranno in secondo piano, dunque. Se Garcia dovesse continuare a lavorare in questo modo, e l’andamento della sua carriera in questo senso è abbastanza indicativo, i progressi che farà il Napoli sono e saranno legati ai progressi dei singoli giocatori. Se li faranno. Questo non vuol dire che gli azzurri non domineranno contro alcun avversario e/o non ci saranno buone intuizioni o altre evidenze tattiche da raccontare: è solo che i loro risultati saranno decisamente più casuali – cioè legati a singoli episodi – rispetto al passato.
Intendiamoci: per i giocatori del Napoli, l’ingresso in questa nuova condizione/situazione potrebbe anche rappresentare un passo in avanti. Nel senso che potrebbe rendere le loro prestazioni indipendenti dall’influenza e dall’impatto della tattica di squadra. Il punto, però, è che il calcio contemporaneo sta andando nella direzione opposta. Per capire cosa intendiamo, basta paragonare il rendimento di Messi – vale a dire il miglior giocatore degli ultimi trent’anni, forse di sempre – nel Psg disfunzionale di Pochettino e Galtier e il rendimento di Messi nell’Argentina di Scaloni. Ecco, allora la vera domanda è questa: a cosa possono arrivare/aspirare i vari Kvara, Osimhen, Natan, Di Lorenzo, Lobotka e tutti gli altri con un allenatore come Garcia? La risposta la scopriremo di risultato in risultato. Di partita in partita. Quella contro il Milan che si staglia all’orizzonte, in questo senso, darà certamente dei segnali importanti.