Al Corsera: «Berlusconi non veniva mai, gli studi erano a Quarto Oggiaro zona malfamata. Mi rubarono l’autoradio e poi lo rubai anch’io»
Francesco Salvi a tutta ruota sulle pagine del Corriere della Sera. In una lunga intervista racconta una lunga parte della sua vita e della sua carriera legata a tormentoni «C’è da spostare una macchina», e trasmissioni cult come Drive In
Allora tutto nasceva sempre dall’improvvisazione,
«Eravamo tutti semidisperati. Ricordo una foto con Beppe Viola, Jannacci, Abatantuono, Porcaro, Mauro Di Francesco e Faletti a presentare un programma che non esisteva, che forse avremmo fatto. Jannacci per rincuorarci diceva: dopo ti spiego, ma tanto quando parlava lui non si capiva niente».
C’era anche Antonio Ricci al Derby.
Francesco Salvi: «Quando era sul palco a un certo punto gli usciva sangue dal naso e doveva scappare. Tutte le volte. E si prendeva pure l’applauso in più di incoraggiamento e commiserazione; la verità è che doveva prendere l’ultimo treno per andare ad Alassio che partiva a mezzanotte. Era incredibile, proprio come se avesse un pulsantino nel corpo che lo faceva sanguinare».
Francesco Salvi: «Drive In è stato uno spartiacque, una parodia dell’America, con le ragazze appariscenti, con il costumino a stelle e strisce, le moto, questa comicità veloce. Un programma di rottura, perché allora la tv era leggermente avanti rispetto al pubblico, ma il pubblico poi ti seguiva».
Un successo strepitoso…
«Già due giorni dopo essere andato in onda feci una serata e mi pagarono 10 volte di più rispetto alla volta precedente. Un milione di lire negli anni Ottanta. Un botto».
«Che Berlusconi veniva a trovare le ragazze, ma non è vero. Gli studi erano in periferia a Bande Nere prima, poi a Quarto Oggiaro, una zonaccia; la prima volta che sono andato lì mi hanno rubato l’autoradio, la seconda volta che ci sono tornato l’ho rubata io».
E tanti aneddoti su compagni di viaggio come Gianfranco D’Angelo
«Tranquillo, educatissimo, ma diversissimo sul palco e giù dal palco. Nelle registrazioni era scatenato, nella vita era di una tranquillità spaventosa. Ricordo che aveva uno dei primi telefonini, lo aveva sempre all’orecchio ma stava sempre in silenzio, forse ascoltava la segreteria telefonica: non parlava mai, ogni tanto si addormentava e dovevamo svegliarlo la mattina dopo».
E Beruschi
«Era la vittima preferita degli scherzi. Aveva una paura pazzesca dei cani. Una volta, in inverno, faceva un freddo cane, a Beruschi andava bene che facesse freddo, ma non che fosse cane… io su istigazione di Ricci gli misi il paltò sul cane lupo che c’era fuori dal ristorante. Tornò a casa senza e per due giorni è stato a letto con la febbre».