Al Corriere dello Sport: “Se non gioco il girone di Davis è perché sono a Montecarlo che mi spacco di lavoro”
Jannik Sinner si è raccontato in una lunga intervista al Corriere dello Sport, alla vigilia dell’inizio delle Atp Finals. Il tennista altoaltesino esordirà domenica contro Tsitsipas nella sessione pomeridiana. E’ il giocatore più in forma del momento, ed ha più di una chance di vincere il Masters.
«E’ il sogno di chiunque. I migliori otto dell’anno, a Torino. Era il mio obiettivo di inizio stagione, l’ho centrato in anticipo. Sono contento: è la conferma di un lavoro che funziona e di una stagione stabilmente ad alto livello. Bisogna anche considerare con quanti tornei ci si qualifica per le Finals, con quali risultati…»
«È una motivazione in più. Giocare a Torino per me vuol dire tanto anche perché vivrò l’esperienza con il pubblico di casa. È una mentalità nuova, nella quale comincio a entrare. Mi piace quando la gente sale sul mio carro. Anche per questo ci tengo a far bene alle Finals»
Sul tennis in Italia Sinner dice:
«Secondo me ci sono due cose da considerare. Io non sono solo, la storia del tennis italiano la stiamo facendo da anni: Fognini, poi è arrivato Berrettini, poi io; in questo modo quasi ogni settimana un italiano arriva in fondo a un torneo. I tifosi, abituati al calcio, hanno detto: okay, c’è anche il tennis, e sta crescendo! Di un secondo aspetto parlavo recentemente con il mio coach australiano, Darren Cahill: tu sei ancora giovane, mi diceva, però a un certo punto ti renderai conto di non giocare solo per te stesso ma anche per i tifosi»
«Ti ritrovi davanti uno che ha vinto 24 Slam, tre su quattro solo quest’anno. A livello di risultati, il migliore che questo sport abbia mai avuto. Io spero di incontrarlo prima possibile, già nel girone, sono le partite importanti per la crescita, quelle per cui dico: vinco o imparo. Djokovic mi dirà dove sono. Io mi ci sono sentito più vicino quest’anno in semifinale a Wimbledon, pur perdendo in tre set, che l’anno scorso nei quarti, quando avevamo lottato per cinque. Non vedo l’ora. Sono le partite per cui mi alleno tutti i giorni, quelle che mi caricano di pressione»
Sinner ha parlato anche della sua crescita:
«Dopo l’allenamento mi chiedo: ho fatto abbastanza? Potevo sforzarmi di più? È il mio lavoro, ci tengo. C’è chi pensa di lavorare troppo, io penso sempre di non aver lavorato a sufficienza. La mia mentalità è questa. Anche quando arrivo a sera schiantato dalla stanchezza, mi interrogo»
Sinner affronta le sconfitte:
«Ho i miei tempi, dipende. Con Alcaraz a New York, quando ho sprecato il match point, sono andato avanti a pensarci un po’. Ma non sono uno che si porta dietro le cose per giorni. Con Shelton a Shanghai ho perso alle dieci di sera, c’era un volo per l’Europa all’una e mezza, ho detto: prendiamolo. In aereo già scherzavo con il team: pensa te, ho sbagliato il rovescio sul 4-3, era palla break… E ci siamo messi a ridere. Voglio capire, non voglio vivere di rimpianti»
Su come gestisce il tempo e la programmazione, fondamentali per la carriera di un tennista:
«Per il tennis sono andato via di casa a 13 anni. Mi dà emozioni positive e negative, gioie e dolori. Mi dà tutto. Respingo il concetto di essere un’azienda (lo aveva detto Panatta): il mio pensiero non è il fatturato, non sono mai i soldi. Se lo fossero giocherei sempre, accetterei le esibizioni, non prenderei pause. A me al contrario interessa alimentarmi bene, dormire le ore giuste, mangiare a casa ogni volta che posso, farmi trovare in campo pronto la mattina dopo. Pronto a migliorare. Se non gioco il Master 1000 di Madrid o il girone di Davis, e capisco che i tifosi magari ci rimangono male, è perché sono a Montecarlo che mi spacco di lavoro. Il mio obiettivo non è fare soldi: è diventare la migliore versione di me possibile».
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