Era ed è infantile pensare che incarnasse tutti i mali del Napoli. Non sarà mai tra i nostri allenatori preferiti ma un minimo di onestà intellettuale è doverosa
Garcia Cassandra, nessuno gli ha creduto quando diceva che il Napoli dello scudetto non c’era più
Indiscrezioni di corridoio accreditano l’ipotesi che nel discorso di fine anno il presidente Mattarella possa attribuire a Rudi Garcia le difficoltà economico-finanziarie in cui si dibatte il Paese. È il compito di ciascun Malaussene che si rispetti. Ma persino per i capri espiatori di lungo corso può arrivare il momento del riscatto. Certo è più facile essere rivalutati se dopo di te arriva un allenatore in declino da dieci anni. Ma la riabilitazione natalizia di Garcia non si deve soltanto a Mazzarri.
Era ovviamente infantile – e quindi perfetta per Napoli e i napoletani – l’idea che ogni male della squadra iniziasse e finisse con il francese nato nello stesso paese di Philippe Petit l’uomo che camminò da torre gemella a torre gemella su un filo d’acciaio. Garcia a Napoli ha provato un numero ancora più complesso. Comunicare ai tifosi del Napoli che la squadra dello scudetto – ammirata fino a qualche mese prima – non solo non c’era più ma non sarebbe nemmeno più tornata. Impresa francamente impossibile. Gli è andata bene che nessuno gli abbia tirato un Duomo di Milano in faccia. Una Cassandra contemporanea. E, si sa, le Cassandra non godono di molto successo.
Andando indietro nel tempo, è palese il tentativo compiuto dall’allenatore francese. A modo suo, con la presunzione che gli è propria, con modi che potremmo definire poco felici, Garcia nelle settimane in cui è stato alla guida del Napoli ha espresso uno e un solo pensiero: la squadra va cambiata, per continuare a vincere bisogna modificare la struttura del Napoli. Lo ha fatto sin dalla prima conferenza stampa. E ha continuato a battere su questo tasto. Arrivando a pronunciare frasi urticanti come quando disse di non aver mai visto il Napoli di Spalletti. Nemmeno la sua Nazionale vide in tv. Era probabilmente la modalità francese di lanciare un messaggio. Dimenticate quel che è stato. Col senno di poi, diciamo che sarebbe dovuto essere ancora più brutale, spiegare per filo e per segno quale fosse il suo pensiero. Certo poi non avrebbe più alcuna presa sullo spogliatoio. In fin dei conti la sua è stata una ipocrisia controllata, persino manifesta.
Fatto sta che il tecnico di Nemours non ha dovuto nemmeno aspettare tanto sulla riva del fiume. Neanche il tempo di accomodarsi su uno sgabellino che il cadavere del Napoli gli è passato davanti in tutta la sua mestizia. È stato esonerato da quarto in classifica, con una media di 1.75 punti, tre sconfitte in campionato in dodici partite. Chi ha preso il suo posto, Walter Mazzarri, ora è settimo, viaggia alla media di 1.2 punti a partita, tre partite in campionato le ha perse in appena cinque incontri e in più si è fatto battere ed eliminare per 4-0 in casa dal Frosinone. Se fosse capitato con Garcia, avremmo avuto i tumulti di dicembre. Invece con Mazzarri i napoletani hanno fatto spallucce. Chi figlio e chi figliastro. Mazzarri non ha mai manifestato la volontà di strappare il quadro dalla parete. Anzi, ha portato nuove candele all’altarino. Garcia invece era dissacrante. Quel senza dio di un francese.
In più, a differenza nostra Garcia ha potuto vivere in presa diretta il presidente De Laurentiis. Aveva più informazioni di noi: una finestra aperta sul disastro. Conosceva perfettamente il dietro le quinte. Sapeva chi c’era ai comandi della navicella. Ha potuto toccare con mano il club dell’uomo solo al comando. Ha fatto buon viso a gioco, come quasi sempre fanno i professionisti. “Attacca il ciuccio dove vuole il padrone”. In fin dei conti gli allenatori hanno da sempre a che fare con signori straricchi convinti di sapere e conoscere tutto. Non ci fanno nemmeno più caso. È il loro lavoro.
Dovessimo tornare indietro, non chiameremmo mai Garcia sulla panchina del Napoli. A questo non arriviamo. Non arriviamo a considerarlo uno dei nostri allenatori preferiti, né tantomeno un tecnico che consiglieremmo. Ma non possiamo esimerci da un minimo esercizio di onestà intellettuale. Il mostro non era tale. O comunque in questo caso le ragioni del disastro non erano imputabili soltanto a lui. Se potesse parlare, probabilmente il signor Rudi ci spiegherebbe che lui al presidente aveva anche spiegato che le pagine dei libri si girano. Che questa squadra andava potata affinché potesse poi rifiorire in maniera più rigogliosa. Lo ha detto in ogni salsa che il 4-3-3 lo avrebbe buttato a mare. Forse avrebbe voluto gridarlo ai quattro venti che Lobotka non era Modric. Come il «voglio una donna» di Ciccio Ingrassia in Amarcord. Invece se n’è rimasto lì, ha aspettato che il destino si compisse. Le scelte successive di De Laurentiis lo hanno favorito. Quando venne esonerato a Roma, Pallotta chiamò Spalletti e a nessuno venne la nostalgia di Rudi. A Napoli è andata diversamente.
Chissà perché, lo immaginiamo nella sua abitazione di Nizza, nemmeno rancoroso, ma con quel sorriso largo, commentare mentre spegne la tv col telecomando: «Mi avevano scambiato per un vecchio rincoglionito». Stia tranquillo il buon Rudi, non ha finito di scontare le sue colpe. Pare che le conseguenze di una sbagliata preparazione atletica possano durare mesi, anni, addirittura c’è chi parla di tara ereditaria. I figli di Di Lorenzo non correranno più di un’ora, pure quelli di Anguissa.
In conclusione: a Garcia vanno imputate le giuste responsabilità. Non tutti i mali di questo Napoli. Quella è un’operazione ridicola che solo in un ambiente come Napoli poteva attecchire.