Non si abbandona la barca che rischia di affondare. Dà sempre l’impressione di avere a cuore solo sé stesso
Osimhen a giugno andrà via e non mi mancherà, i leader sono un’altra cosa
È lungo l’elenco dei giocatori del Napoli che ho molto amato. E non potrebbe essere diversamente data la mia lunghissima militanza di tifoso. In cima due nomi. Maradona, ovviamente, e Totonno Iuliano. Sul primo inutile dilungarsi. Amore che nasce da quel cocktail di genialità e di generosità ineguagliabili. Che ne hanno fatto il più grande calciatore di tutti i tempi tempi . Al quale siamo tutti noi tifosi debitori per le vittorie che ci ha regalato e per il piacere che ci ha dato giocando. Per quanto attiene al secondo l’affetto nasce dalla sua grande fedeltà alla maglia azzurra, dalla sua serietà, dal suo impegno costante fino allo stremo delle forze. Fu un capitano nel senso più nobile della parola oltre che un calciatore di grandi doti tecniche e atletiche. Mi lega al suo ricordo anche la sensazione che in fondo ha ricevuto dalla carriera meno gloria di quanta gliene sarebbe spettata. Tra scudetti rubati ed esclusioni politiche della nazionale.
Nel mio cuore Sivori, Pesaola, Krol, ovviamente Diego, non Osimhen
L’elenco poi continua. Attraverso i ricordi magari disordinati. Ed ecco l’immagine di Vinicio, ‘o lione, goleador di razza e grande trascinatore. Che divenne anche un allenatore visionario. E che dire poi di Sivori, un Maradona ante litteram, che per primo con le sue veroniche e di suoi tunnel irridenti ci diede la sensazione di poter battere chiunque. Indimenticabile il suo arrivo a Napoli nel 1965. Alla stazione di Mergellina si ritrovarono migliaia di tifosi ad accogliere Manolete. Soprannome immaginifico dell’eccezionale campione argentino.
E Bruno Pesaola, o’ Petisso, ricordato come allenatore oltre che come calciatore. Nottambulo, fumatore e giocatore d’azzardo impenitente. Grande e disincantato affabulatore. Il tecnico più astuto, intelligente e simpatico mai visto su una panchina. E ancora Rudi Krol immenso fuoriclasse, apostolo del calcio totale. Caratteristica inimitabile erano i suoi lanci di oltre quaranta metri eseguiti con precisione millimetrica. Elegantissimo in campo e fuori con la sua figura da divo hollywoodiano. Con il quale il Napoli sfiorò lo scudetto con una squadra modesta.
Osimhen non mi è mai entrato nel cuore.
E così scorrendo i fotogrammi nella memoria passano uomini del valore atletico ed etico di Peppe Bruscolotti combattente irriducibile, Moreno Ferrario eternamente ragazzino nel sembiante e del quale Bianchi diceva “se soltanto capisse quanto è bravo…”, Salvatore Bagni altra formidabile miscela di classe e temperamento. Ciro Ferrara la cui storia sportiva è quella di un ragazzo nato e cresciuto all’ombra del Vesuvio. Che partendo dalle giovanili del Napoli è riuscito a diventare un campione. Cinquecento partite in serie A. La nazionale. Due scudetti con il Napoli. Per poi arrivare a tempi più recenti con Cavani, Lavezzi, Hamsik. Marek Hamsik, già. Due piedi eccezionali. Tiro del goleador. Volée secca e precisa. Lancio lungo di precisone millimetrica. Palla al bacio in corridoio. Finta di corpo di eccezionale efficacia ed eleganza. Buono lo stacco di testa. Sulla carta, la descrizione di un fuoriclasse assoluto. Che però fuoriclasse non divenne mai. Restando comunque un campione. Per ognuno di quelli che ho citato – chi sa dopo aver pubblicato questo articolo quanti altri me ne torneranno in mente – resta un legame che è umano prima che sportivo. È l’idea di ognuno di loro come uomo che mi è rimasta impressa. Lealtà, generosità, impegno costante, serietà professionale, doti tecniche ed atletiche.
Osimhen no! Non è riuscito ad entrarmi nel cuore. Non lo ho mai amato, e uso il passato prossimo perché penso che sia già andato via da Napoli. Mi ha dato sempre l’impressione, e me lo confermano i suoi atteggiamenti più recenti, di avere a cuore soltanto se stesso. E nessun legame con la squadra. Penso quando trovandosi a Berlino per affari i privati ed essendo infortunato, non è andato a vedere la partita che il Napoli giocava in quella città. E penso ad ora che a seguito di un cartellino rosso – ma siamo sicuri che sia una coincidenza fortuita? – se ne torna al suo paese per trascorrere le feste prima dell’impegno in coppa l’Africa. Nemmeno lo ha sfiorato l’idea di restare, sia pure in tribuna, a sostenere la sua squadra, i suoi compagni che vivono un momento di grandissima difficoltà.
Un grande leader non fa così. Mi è chiaro che i tempi sono cambiati. E che oggi ogni calciatore è una azienda individuale. Con il suo procuratore e i suoi consiglieri. Tutta protesa a realizzare il business. Ma comunque un leader non abbandona la barca che rischia di affondare. Non tratta la triplicazione del suo stipendio disinteressandosi della miriade di problemi contrattuali presenti all’interno dello spogliatoio (Maradona dove sei!). Primo tra tutti quello di Kvara senza il cui apporto forse non avrebbe segnato l’anno scorso i 30 goal che lo hanno portato in cima alla classifica dei centravanti europei. (Per inciso di Kvara mi ricorderò invece. Dei suoi dribbling, dei suoi tunnel, dei suoi goal. E del suo viso un po’ triste. Di quell’aria da uccellino spelacchiato.) Ma di Osimhen proprio non mi ricorderò. Scomparirà rapidamente dalla mia memoria. No, al nigeriano non mi lega proprio nulla. E se come appare ormai certo a giugno/ luglio andrà via l’unica frase che dirò sarà “ a Maronn t’accumpagn”.