La vita di Hirayama sessantenne curato ed in forma che fa l’addetto alle pulizie dei vespasiani. La pace interiore e una donna che gli interessa
Perfect days
Sui social è un tam-tam sommesso – anche perché questo film è in short list agli Oscar insieme al nostro “Io Capitano” di Garrone – e quindi anche noi siamo andati in sala per vedere “Perfect days” la nuova creatura di Wim Wenders che ci restituisce una delle versioni del regista tedesco che preferiamo.
Tokyo, giorni nostri. Hirayama (Kōji Yakusho, migliore interpretazione maschile a Cannes 2023) è un sessantenne curato ed in forma che per vivere fa l’addetto alle pulizie dei vespasiani della grande metropoli nipponica. La sua vita è il trionfo della metodicità: i suoi giorni trascorrono con dei gesti sempre uguali e con un inizio di giornata ritmato da “The House of rising sun” dei “The Animals” e prosegue – all’ombra del nume tutelare benefico del Tokyo Sky Tree – con il suo lavoro spezzato dalla pausa pranzo frugale in un parco con foto al sole tra gli alberi e bagno pubblico; e termina con la lettura a tarda sera.
Il giorno di festa Hirayama lo passa tra lavatrici, tempio, e negozio, per ritirare le sue foto stampate: unica concessione quella di frequentare un ritrovo serale gestito da una donna – Mama (Sayuri Ishikawa) – che lo attrae e gli canta la versione giapponese del Sole nascente.
Nel suo menage quotidiano accade poco: Takashi (Tokio Emoto) un giovane compagno di lavoro lo abbandona; la sua giovane ragazza Aya (Aoi Yamada) lo bacia all’improvviso dopo avergli riportato una cassetta di Lou Reed. Come reagisce Hirayama? Sorride, ma non commenta. L’unico fremito gli è dato da una visita a sorpresa della nipote Niko (Arisa Nakano) che gli genera allegria e che gli consente di riabbracciare la madre di lei che è sua sorella Keiko (Yumi Aso). La vita dell’inserviente che legge Faulkner e la Highsmith, e che alterna la sua quotidianità similare – con la cesura dei sogni pieni di ombre, foglie e ricordi delle persone amate – con Van Morrison, Patti Smith e con il meglio della produzione anni ’60 e’70, cosa diventa se poi scopre che la donna che gli interessa ha un altro?
La cosa importante – ci dice Wenders – “è non smettere mai di conoscere: perché è in ciò che si inizia a morire”. Eppoi, “se non cambiasse nulla allora la vita sarebbe assurda”. Il film dura più di due ore ma quando arriva il finale – ritmato da “Feeling good” di Nina Simone – lo spettatore pensa, “è già finito?”. La lentezza di inizio film con la descrizione della vita del protagonista ci aveva cullato: basta poco per dei “Perfect days (Lou Reed)”?