Al Corsera: «Nella mia autobiografia ci sono tanti anneddoti, ma consiglio “Il gatto di De Niro”. Da leggere per ultimo, però. Altrimenti c’è il rischio di non leggere il resto».
Renato Pozzetto ha deciso di raccontare la sua vita ad anni 83 in un libro, «Ne uccide più la gola che la sciarpa», un’autobiografia che spiega in un’intervista al Corriere della Sera
L’infanzia da sfollato a Gemonio, la Milano del Dopoguerra, chitarre e canzoni nelle osterie. Lo stile della coppia Cochi e Renato viene da lì?
«Viene da un destino che ci ha legati prima che nascessimo, visto che i nostri genitori si conoscevano da tempo. Ci capivamo, ci intendevano, ci facevano ridere le stesse cose sin da quando eravamo bambini. Ascoltavamo le canzoni popolari, le canzoni di protesta e sull’onda di quelle musiche e di quei testi sono nate le nostre prime esibizioni. Niente giradischi, radio zero o quasi. Con l’aiuto di Gino Negri, il direttore d’orchestra che assieme a Dario Fo, Giorgio Strehler e Fiorenzo Carpi creò il repertorio delle canzoni della mala».
Pozzetto e Jannacci
Il libro contiene alcuni brani commoventi. Raccontano di Lino Toffolo, collega e amico veneziano e, soprattutto, di Enzo Jannacci…
«Enzo era un poeta. Ed erano poetiche e delicate le canzoni di Toffolo, talmente belle da sembrare scritte da un altro. Lo prendevamo in giro perché non sapevamo come fargli i complimenti. Jannacci fu un vero ispiratore per noi, raccontava e cantava storie struggenti anche per lui. Ed era imprevedibile. Lo stavi a sentire e potevi ridere o piangere nel giro di un minuto. Ci siamo trovati naturalmente. Noi ascoltavamo i suoi brani, lui veniva ad ascoltare noi, ci apprezzava. Ci siamo voluti bene e abbiamo condiviso una vena umoristica comune».
Un bar, il Gattullo, trasformato in un altro luogo di ispirazione. Con tanto di Ufficio Facce…
«Frequentavo il Gattullo perché era comodo raggiungerlo per me che abitavo alla periferia sud di Milano. Un posto frequentato da una quantità di personaggi simpaticissimi. L’Ufficio Facce lo inventò uno di loro: era una procedura da applicare agli avventori. Domande da rivolgere a quel pirla lì, che era appena entrato e bisognava capire chi fosse, cosa volesse. Un gran divertimento».
Il palco del Derby Club, i primi, programmi tv, un clamoroso esordio a «Canzonissima», 1974. È vero che Raffaella Carrà non era convinta del vostro coinvolgimento?
«Parecchi autori della Rai venivano al Derby, ci conoscevano e si erano accorti che i nostri testi erano nuovi, originali, funzionavano. La Carrà non conosceva e non poteva capire il nostro linguaggio. Così venne fuori l’idea di partecipare in collegamento da una cantina, che in realtà era uno studio separato. La canzone “E la vita, la vita” come sigla finale. Divenne subito popolarissima».
Molti aneddoti esilaranti dove compaiono Mastroianni e Tognazzi; Edwige Fenech e Celentano. Quale il più divertente?
«Beh, consiglio quello intitolato “Il gatto di De Niro”. Da leggere per ultimo, però. Altrimenti c’è il rischio di non leggere il resto».