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Giornaliste in tv, non svilitevi in abiti succinti

Mi è capitato, giorni fa, di assistere all’ennesima trasmissione sportiva in cui il ruolo delle donne nel mondo del calcio viene ridotto alla presenza della scollatissima e scosciatissima velina di turno o, ancor peggio, della giornalista sportiva interamente rifatta a cui viene rivolta un’unica domanda e diverse (tante), strettissime, inquadrature. È una cosa che ho sempre trovato detestabile, oltre che deprecabile. Ancora più irritante ho trovato il commento del conduttore del programma in questione che, dopo aver lasciato spazio (cinque minuti: un’enormità!) ad una giornalista poco scollacciata ma molto bella presente in platea, chiamata ad esprimersi sul troppo trascurato calcio femminile, non ha mancato di fare un apprezzamento sul suo aspetto fisico chiedendosi (e chiedendo a tutti) cosa sarebbe successo se lei avesse seguito, invece del calcio femminile, quello maschile.
La giornalista in questione, per fortuna, ha nicchiato e neppure ha ringraziato del complimento. Ora, due sono gli spunti che è possibile trarre dalla faccenda e di entrambi credo dovrebbero risentirsi più i tifosi maschi che le donne tutte. In primo luogo, pur potendo comprendere (ma non accettare) che in una trasmissione televisiva dedicata al calcio, solo perché dedicata all’universo maschile (ma chi l’ha detto, poi? Io le seguo tutte), debba esserci la presenza di una donna formosa e quasi del tutto spogliata, quello che mi meraviglia è che molti uomini preferiscano essere trattati da maiali, come se l’intera popolazione maschile che ama lo sport sia ritratta con la lingua da fuori e la bava alla bocca. Ma perché, voi uomini siete così poco affezionati al calcio che se non ci fosse un corpo femminile esposto non guardereste i programmi di approfondimento? Vale così poco una passione? Per noi donne è esattamente il contrario! Altro affare è la donna condiscendente. Se venissi invitata ad una trasmissione seguita prettamente da un pubblico maschile, certo non accetterei mai di indossare un corpetto stretto e legato con lacci a lasciar vedere un seno talmente artificiale da fare impressione e da far passare la voglia persino di toccarlo.
Il risultato è esclusivamente quello di svilire la parte femminile di professioniste e tifose e, allo stesso tempo, quella maschile, che preferirei immaginare dedita, almeno nel calcio, al tifo, all’osservazione ed al commento del buon gioco, alla maestria del cross perfetto o della rete da centrocampo con uno stop di petto ed un colpo ad aggiustare il pallone.
Eppure, diamine, una bella donna non ha certo bisogno di conferme. Non ci mancano i commenti per strada, i fischi di chi passa su un motorino di mattina e ti vede da dietro e poi magari si gira a guardarti meglio, né lo sguardo incrociato per strada e il sorriso mentre sei in fila alla posta, per non parlare degli innumerevoli soggetti di sesso maschile che non fanno che ricordarti, ogni giorno, quali sono le parti del tuo corpo che vorrebbero conoscere meglio. Non sarebbe tanto più preferibile essere apprezzate per un minimo (minimo, eh) di cervello in testa? Per un’idea, una sola idea di cosa dovrebbe cambiare in una squadra di calcio per renderla davvero squadra? Di una risposta brillante ad una domanda una, su cosa, per esempio, ha fatto avvicinare la giornalista sportiva ad uno sport tipicamente maschile e a non dedicarsi, piuttosto, agli spettacoli, alla moda o al jazz? No. Non in questo mondo. Perché poi il problema non è solo nel calcio. Viviamo in una società dove ormai persino ai colloqui di lavoro diventa determinante, più del curriculum di dieci pagine che porti con te, il modo in cui hai deciso di vestirti la mattina. In un mondo in cui – e il caso della povera Sarah assassinata dallo zio lo dimostra una volta di più – se una ragazzina ha un paio di scarpe col tacco nell’armadio e un paio di profili Facebook è automaticamente bollata come una poco di buono. In una società in cui le vittime di uno stupro sempre meno spesso denunciano le violenze perché sennò al processo rischiano di essere trattate da puttane. In una città dove, se vuoi parlare davvero di calcio, o sei brutta e sciatta o la credibilità te la guadagni solo col coltello tra i denti. Meglio non accettare la partecipazione a programmi del genere: noi napolisti non siamo così, vero direttori? Meglio la radio. Meglio non farsi vedere in faccia, arrivare diritto ai cuori. O la scrittura, dove non serve una foto a ricordar che faccia o che corpo hai. Il potere delle idee lo trovo sempre il più persuasivo ed affascinante.
Conquistare per un attimo l’interlocutore è già abbastanza, in un mondo che corre veloce come il nostro, dove le mortificazioni della donna sono all’ordine del giorno. Sarò pure vecchio stampo, ma mi associo al buon Finardi, quando cantava “con la radio si può scrivere, leggere o cucinare. Non c’è da stare immobili seduti lì a guardare. E forse è proprio questo che me la fa preferire: è che con la radio non si smette di pensare”.<em>
</em><strong>Ilaria Puglia</strong>

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