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De Laurentiis, avere i conti in ordine è importante ma non va confuso col modello imprenditoriale

POSTA NAPOLISTA – I conti sono in ordine anche se un bilancio si chiude in perdita. Bisogna capire quand’è il momento di cambiare rotta

De Laurentiis, avere i conti in ordine è importante ma non va confuso col modello imprenditoriale
Db Riyad (Arabia Saudita) 22/01/2024 - finale Supercoppa Italiana / Napoli-Inter / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Aurelio De Laurentiis

Il modo di fare impresa di De Laurentiis

“Canta Napoli!”, è così che attaccava Gegè Di Giacomo introducendo spesso le interpretazioni dei brani di Renato Carosone. Da un po’ di tempo “canta” invece il Napoli per voce del suo presidente, in questo periodo lanciatosi anche lui, come i Jalisse a Sanremo, in “Fiumi di parole”. Dalle dichiarazioni rilasciate prima della finale di Supercoppa, a quelle rese nel pre partita di Napoli Frosinone il 3 febbraio, passando per la conferenza stampa a Castel Volturno del 7 febbraio, fino all’incontro con deputati e senatori del Napoli Club Parlamento, tenutosi presso il Senato della Repubblica l’8 febbraio scorso, è stato tutto un profluvio di rivelazioni sulle vicissitudini post scudetto, di appelli e proposte, molte per la verità già note seppur scarne di particolari.

Sono un tifoso emigrato, appassionato sì ma “normale”, vivo in pace e non riverso nel tifo per il Napoli le delusioni della vita, non appartengo a gruppi organizzati, pago, com’è giusto che sia, l’abbonamento alla pay tv per vedere regolarmente le partite e compro merchandising originale. Da tifoso, avverto l’urgente esigenza di fare pure io una dichiarazione: col presidente io non sono d’accordo. Non concordo con le sue idee sul calcio, in buona parte mi sembrano pro domo sua e ne salvo in verità solo pochissime, né concordo con il modo di porle, di rappresentarle, talvolta per i miei gusti talmente esplicito da rasentare il volgare, la qual cosa confesso un pochino mi imbarazza.

Fare impresa è cosa diversa dal gestire 

In particolare, rispettosamente, non concordo col suo modo di fare impresa, lontano dalla realtà e incapace di proiettare la Società verso quel decisivo salto di qualità che da tifoso sinceramente auspicavo dopo lo scudetto strameritato. Non sono in disaccordo per la tutt’altro che brillante posizione in classifica, il percorso finora compiuto o il gioco niente affatto entusiasmante espresso fin qui. Credo solo, sempre col massimo riguardo, che il modello imprenditoriale che imperterrito il presidente continua ad applicare, ci riserverà tante altre stagioni come questa se non peggiori. Né contribuisce a farmi cambiare idea il fatto che la Società abbia i conti in ordine e chiuderà, caso più unico che raro nel contesto calciofilo, il bilancio dell’ultimo esercizio con un utile consistente.

I conti, il bilancio, la cui corretta tenuta è sicuramente importantissima, afferiscono all’amministrazione di un’azienda, ma fare impresa è sostanzialmente diverso, non è solo gestire, è molto di più. Confondere la gestione, che deve sì essere sana, col fare impresa, è come soffermarsi a guardare il dito mentre il saggio indica la luna. I conti sono in ordine anche se un bilancio si chiude in perdita; ricordo a me stesso che un investimento tecnicamente è un costo, ma un investimento attento (che non significa sparagnino) e che risponda ad un preciso piano, industriale o finanziario che sia, può tramutare quell’investimento in valore, aumentando ad esempio il patrimonio aziendale.

De Laurentiis e un piano imprenditoriale messo a punto e condiviso

Non sono affatto un mago del controllo di gestione, ma una pratica ultra quarantennale prestata a vario livello per aziende di diverso tipo e dimensioni (mi mantengo tuttora in attività), in ambito amministrativo e di governance, mi hanno insegnato, e lo dico senza alcuna presunzione e sempre col dovuto rispetto, che chi fa impresa ha una visione che tramuta poi in un piano nel quale investe, a maggior ragione se matura utili di esercizio. Quel piano l’imprenditore lo attua non facendo tutto da solo, ma organizzandosi, ricorrendo a professionisti capaci e di cui si fida, appositamente selezionati, dei quali non invade il campo di competenza. Quei professionisti li riconosce come collaboratori con i quali condividere un obiettivo più che come dipendenti subordinati, e da loro si aspetta risposte concrete in virtù di precise deleghe operative che specifichino l’ambito di intervento e delimitino l’autonomia decisionale.

La mia esperienza mi insegna soprattutto che chi fa impresa deve essere in grado di capire quand’è il momento di virare, di cambiare sistema e rotta prima che cambi il vento. Ho il timore che le dichiarazioni da ultimo esternate dal presidente, anche la loro frequenza ravvicinata, possano essere sintomatiche di un appannamento personale che se fosse, amplificherebbe pericolosamente le défaillance di pianificazione, di struttura ed organizzazione della SSC Napoli, che sarebbe perciò trascinata, dai fasti di uno scudetto stravinto sul quale poter costruire e consolidare verso annate nefaste.

La città anestetizzata

Non mi pare di cogliere, almeno diffusamente, tra i tifosi, i media, gli opinionisti di tendenza (senza scomodare la cultura), una qualche contrarietà avverso un sistema di impresa che appare pericolosamente in declino. Quasi come se la vittoria dello scudetto fungesse ancora da anestetico per le sinapsi, azzerando quasi del tutto il senso di critica che invece è tanto più costruttivo e necessario quanto più riesce civilmente ad arrivare all’orecchio di chi di dovere. Contrariamente che a Bari dove la piazza è in subbuglio e protesta, non sempre pacatamente pare, a Napoli invece il “giudizio” sembra sospeso, come la “formula” del caffè che abbiamo inventato. Anche questa “sospensione” non mi trova d’accordo, ma evidentemente va bene così. O no?

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