ilNapolista

Noi che seguiamo De Zerbi, non siamo schiavi della dittatura del consenso: amiamo il calcio

Ha perso ma resta un grande allenatore. Perché cerca di far evolvere il gioco che amiamo, prova a dare un senso a vedere una partita

Noi che seguiamo De Zerbi, non siamo schiavi della dittatura del consenso: amiamo il calcio
Torino 17/03/2021 - campionato di calcio serie A / Torino-Sassuolo / foto Image Sport nella foto: Roberto De Zerbi

Noi che amiamo De Zerbi, non siamo schiavi della dittatura del consenso: amiamo il calcio

Caro direttore, ti devo ringraziare. Perché mi consenti di trovare spazio sulle colonne del Napolista. Perché trovi sempre spunti interessanti. Perché se io posso definirmi un appassionato di un certo tipo di calcio, praticato anche dalle squadre di Roberto De Zerbi: tu, invece, mi ricordi come questo paese sia ossessionato dalla dittatura. Quella del consenso.

In Italia ogni elezione, oggi, è un referendum contro la Meloni. Oppure lo è stata contro Renzi. Una stragrande maggioranza di un paese, il nostro, che non riflette sui temi, che non discute: alza la mano. Come i primati, intesi nel senso delle scimmie.

Roberto De Zerbi non è Matteo Renzi, non è un referendum o un’elezione regionale in Sardegna. Roberto De Zerbi è un allenatore che ama un gioco che si chiama calcio. Come lo ama Daniele De Rossi, come lo amano coloro che guardano un’azione corale con stupore, una linea di difesa ben disposta con soddisfazione, uno sviluppo basculante con emozione. Roberto De Zerbi ha perso una partita: la Roma ha vinto giocando un calcio moderno, fatto di pressione alta, di ricerca degli spazi tra difensori messi in crisi da un sistema vincente. De Zerbi è stato sconfitto da un quadrilatero che ha smontato la sua costruzione formato da Dybala, Lukaku, Cristante e Pellegrini. Eppure aveva studiato il suo avversario: ma De Rossi è stato più bravo ed ha vinto. Cambia di una virgola il giudizio su De Zerbi: assolutamente no, è un grande allenatore, senza se e senza ma.

Non c’è fanatismo, davvero, in questa analisi. E provo a spiegarne i motivi.

Noi che amiamo De Zerbi, non siamo mitomani

Il calcio ha tante categorie, lo ha spiegato Max Allegri. Da quelli che giocano nei campetti con gli amici, passando per quelli bravi che giocano in Eccellenza o nelle categorie non professioniste fino a quelli che determinano la Champions. Così come esistono quelli che emettono inappellabili sentenze solo guardando risultati su una app ma anche studiosi di questo sport che aspettano tante partite per dare un giudizio. Quelli che vivono con gioia la crescita di un calciatore. Che guardano al superamento del concetto di half spaces a favore dello spazio ricercato tra gli uomini come la ricetta per superare modi di difendere sempre più evoluti.

Non siamo mitomani, direttore. Non siamo pazzi. Uno che conosce tutte le canzoni dei Beatles o canta a squarciagola ad un concerto del bravo Marco Mengoni non è un pazzo: è, semplicemente, un appassionato. Rivendico con orgoglio di appartenere alla categoria dei veri appassionati di calcio che lavorano tante e tante ore al giorno per raccontarlo al meglio. Che guardano decine di match a settimana per poter dare una valutazione. Quelli che amano l’evoluzione di questo gioco, quelli che sognano i ritmi sempre più intensi, le giocate sempre più spettacolari. Senza disconoscere che esistono tante vie per giocare a questo gioco, ma sostenendo con forza la predilezione per una strada. Quella che per chi vive così il calcio ha la S.

Roberto De Zerbi non è Enrico Berlinguer ma neppure Pierluigi Bersani. De Zerbi è uno che ama il calcio, come tanti altri che lo seguono con una passione di un livello diverso, che non credono né nella app che ti comunica il risultato né nell’analisi di chi non vive il calcio come qualcosa di scolpito nel marmo.

Chiudo dicendo: Vinicio e Cruyff, Sacchi e Zeman, ma anche Gasperini e Rangnick hanno visto giornate trionfali ma anche notti difficili. Non sono accomunati dai successi, ma dalla memoria. Hanno innovato e stanno innovando il calcio, come stanno facendo Spalletti, De Zerbi, Klopp e tanti altri.

Non hanno vinto e non vinceranno mai come Allegri o Mourinho. Ma, hanno contribuito alla crescita ed all’evoluzione di questo sport come pochi. Il tifoso può fregarsene, ne ha il diritto, così come l’elettore che può sbattersene di partecipare alla vita pubblica ed andare (o starsene a casa) a mettere una crocetta ogni tot di anni. Il tifoso può spararla grossa, può insultare ed ha anche il diritto al rutto libero. Il tifoso è l’essenza senza la quale non esiste questo portale, non esiste la popolarità di Osimhen o la possibilità di De Laurentiis di parlare di tante location diverse per il suo nuovo stadio.

Noi che questo sport siamo chiamati a raccontarlo non possiamo sottacere, credo con fermezza, il valore di chi prova a migliorarlo: senza le ossessioni che una certa parte di critica molto poco costruttiva ci possa vedere.

Perché amare è passione, ma anche quotidianità nella ricerca di migliorarsi per chi si ama. Noi amiamo il calcio: e quello che facciamo, lo facciamo solo per amore di una palla che rotola. E pazienza se qualcuno lo riterrà troppo romantico: perché è solo la verità.

ilnapolista © riproduzione riservata