A Inews: «A Sofia, sotto la neve, dopo una brutta partita si fermò a fare autografi con 100 persone. Difficile trovare qualcuno che tocchi il cuore della gente come lui»
Tiago Pinto torna a parlare dopo un lungo silenzio. Non è più il direttore sportivo della Roma, il suo contratto non è stato rinnovato. Dopo di lui è andato via anche Mourinho. O meglio, i Friedkin se ne sono liberati. Nell’intervista rilasciata dal dirigente portoghese a Inews, sito di informazione inglese, parla proprio del rapporto con l’allenatore connazionale:
«Quando ho lasciato la Roma ci ho pensato molto e sentivo che era il momento giusto, la fine di un ciclo. Non mi piace il conflitto. Mi lascio coinvolgere in cose che non sono il core business della mia attività ma voglio che allenatore, direttivo, e tutti i reparti siano allineati. Non fraintendermi ma quando lavori con un uomo come Mourinho, con un profilo così importante, è impegnativo. Ed è esigente perché ha vinto tanto e ha standard elevati. Non dimentichiamo che sono portoghese e ho iniziato a lavorare con lui quando avevo 36 anni. Ho imparato molto da lui. A volte sei d’accordo, a volte non sei d’accordo, ma nessuno può minimizzare il grande impatto che aveva alla Roma».
L’aneddoto di Tiago Pinto su Mourinho
Pinto insiste che la dote più grande di Mourinho è il carisma (solo quello). Racconta infatti che chiunque, dall’Asia all’America, dall’Africa al Medio Oriente, conosca e apprezzi lo Special One:
«Ciò che ti colpisce davvero è l’impatto che ha sulle persone. Non importa se sei a Londra, Reykjavik, Dubai o dovunque, ciò che Jose significa per le persone è qualcosa di straordinario. Difficile trovare qualcuno che tocchi il cuore della gente come lui. Un giorno giocavamo a Sofia, in Bulgaria, nella Conference League, la partita era a novembre e il tempo era terribile. Nevicava, faceva molto, molto freddo. Abbiamo vinto 3-2, è stata una partita molto brutta. Abbiamo vinto ma con brutte sensazioni. Tutti volevano solo farsi una doccia, prendere l’autobus e andare all’aeroporto. Nevicava, era mezzanotte e io lo guardavo: aveva fatto 50 metri fino al punto dove c’erano 100 o 200 persone che gridavano per lui. È andato lì, ha fatto foto, ha fatto autografi. Pensavo: “Questo ha vinto 25 titoli, è incazzato per la partita, tutti sono congelati e si prende 15 minuti per fare questa cosa”».
Il valore delle giovanili secondo l’ex dirigente della Roma
Che Tiago Pinto sia un fan delle giovanili non è un mistero. I paletti del Fair play finanziario lo hanno indotto a pescare spesso dalla Primavera della Roma. Un approccio che già applicava al Benfica. Nell’intervista e Inews infatti spiega:
«Non sono il tipo che entra in un club e dice ‘Licenzia tutti e nomina le persone che voglio’. Non è il mio stile, preferisco prima imparare. Un club è migliore se c’è un ambiente sereno, se tutti sono allineati. Ci sono tre o quattro cose che rappresentano gli elementi chiave di una strategia sportiva. Il primo sono i giovani, a cui dedico molto tempo ed energie. Non è normale che a volte gli scout della prima squadra conoscano a malapena il settore giovanile. Nelle mie squadre lo scout della prima squadra deve conoscere il settore giovanile. Non prenderei un giocatore di 19 o 17 anni proveniente dall’estero se avessi in rosa qualcuno con lo stesso potenziale».