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Abbattista: «Le carriere degli arbitri dipendono da scelte politiche, non siamo liberi di parlare»

A Le Iene: «Io dovevo smettere di arbitrare. Poi un documento, falso, ha permesso a me e ad altri di continuare ad arbitrare»

Abbattista: «Le carriere degli arbitri dipendono da scelte politiche, non siamo liberi di parlare»
Db Bergamo 27/01/2021 - Coppa Italia/ Atalanta-Lazio / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: arbitri guardalinee

Il giornalista delle Iene, Filippo Roma, ha intervistato in esclusiva l’arbitro di Serie A e B Eugenio Abbattista. Da un anno e mezzo Abbattista è  impiegato al Var. Alle Iene denuncia il clima che c’è nella classe arbitrale e le numerose decisioni dubbie dei dirigenti.  L’uomo si è dimesso spontaneamente a stagione in corso. Oggi dichiara:

«Adesso sono libero di denunciare lo schifo che c’era intorno a me».

Abbattista: «Stanco della sensazione di schifo che avvertivo attorno. L’Aia ha fallito, serve il commissariamento»

Perché ti sei dimesso?
«Mi sono dimesso perché ero stanco della sensazione di schifo che avvertivo attorno. Mi sono sentito con un bavaglio alla bocca che non mi apparteneva. Impossibilità di parlare, di esprimermi e autorizzazioni negate. Dopo il primo servizio che mi riguardava, io ho chiesto di poter parlare, non mi è stata concessa l’autorizzazione».

«Risultava scomodo farmi parlare perché il documento che il massimo organismo degli arbitri ha prodotto nell’anno in questione e che ha permesso a me e ad altri arbitri di rimanere in organico, è un documento evidentemente falso».

Abbattista continua:

«Perché io dovevo andare a casa, dovevo smettere di arbitrare perché non era stato chiesto che io rimanessi nell’organico. Il documento che è stato prodotto attesta il mantenimento nell’organico mio, di Calvarese e di Giacomelli, quando, in realtà, la relazione che avevano presentato i due valutatori parla di me Giacomelli e Calvarese a casa. Morganti mi ha chiamato e mi ha detto “Alla fine dell’anno smetti di arbitrare per la massima permanenza nel ruolo come arbitro”».

Abbatista aveva anche smesso di allenarsi. Quando poi sono arrivati i ricorsi dei colleghi, l’arbitro ha iniziato a capire che qualcosa non andava:

«Sono stato contento perché restare in campo comunque mi gratificava. Però poi quando ci sono stati i ricorsi dei colleghi dismessi ho iniziato a capire che qualcosa non era andato per il verso giusto. Ho richiesto due volte volontariamente di essere ascoltato dalla Procura Federale per fare chiarezza. Ho confermato che Morganti mi aveva già comunicato che avrei smesso di arbitrare e nelle audizioni, mi hanno chiesto più volte: “Ma sei sicuro? Ma è vero? E così? Sei Certo?”. E, a conferma che il verbale del massimo organismo degli arbitri è falso, c’è un documento inedito che sono in grado di fornirvi dove c’è l’indicazione dell’organico della stagione. In quel documento lì né per Giacomelli né per Calvarese né per me, c’è un’indicazione di deroga o di conferma. Non c’è. Non lo troverete. Questo certifica che il valutatore Emidio Morganti, che voi avete intervistato, ha detto il vero: per me non era stata richiesta nessuna deroga, nessuna conferma».

Abbatista confessa anche la tossicità dell’ambiente:

«Ero stanco di essere circondato da uno schifo. Era uno schifo sia dal punto di vista dei valori che dell’atmosfera che respiravo e ho detto basta. La sensazione è che la Procura non andasse alla ricerca della verità, andasse alla ricerca della versione più comoda possibile».

Bisogna riformare l’Aia, serve un commissariamento subito

Nell’Aia c’è democrazia?
«La necessità in cui l’Aia ha fallito è quella di non avere un arbitro che regolamentasse il gioco tra due squadre che per vincere sono disposte a fare qualunque cosa. Noi abbiamo dimostrato che non ci meritiamo due cose, la democrazia e la politica, perché non siamo in grado di metterle in pratica, è inammissibile che un cittadino per poter parlare di questioni personali deve chiedere delle autorizzazioni, e peggio ancora, deve avere delle versioni concordate su cosa dire e non dire. Capite che così fare sport e andare in campo è difficilissimo dal punto di vista psicologico? Ancor di più quando questa cosa viene fatta in maniera subdola. Una totale assenza di democrazia nel senso più puro del termine».

Le carriere degli arbitri dipendono anche da motivazioni politiche?
«Se te lo negassi non mi sarei dimesso e quindi te lo dico chiaramente. In alcuni casi, assolutamente sì».

Come si risolve allora il problema?
«In una sola parola Reset. Cioè commissariamento. Subito, immediatamente. Perché siamo in uno stato di confusione che richiede, in questo momento, un intervento di pulizia generale. In questo momento non siamo all’altezza di gestire una competizione elettorale. La cosa che serve oggi è riscrivere le regole dell’associazione, con principi di equità, con il senso di giustizia. Dotare l’Aia di un organismo di controllo e di revisione terzo, al di sopra delle parti, lo dobbiamo anche agli italiani, ai tifosi, perché siamo un’associazione di diritto pubblico. Abbiamo dimostrato in vent’anni di aver fallito».

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