L’Inter non vuole in alcun modo che il proprio nome venga accostato alla parola razzismo e in caso di condanna potrebbe andare oltre la multa
La versione di Acerbi, riportata dalla Gazzetta, è che secondo lui a Juan Jesus avrebbe detto “ti faccio nero”. Ecco cosa scrive il quotidiano sportivo.
Mentre Juan Jesus è piuttosto sereno e aspetta di avere la possibilità di dire la sua anche al procuratore, la situazione di Francesco Acerbi è decisamente più complessa. Ieri ha incontrato la dirigenza dell’Inter, ribadendo ancora una volta di non aver detto nulla di razzista. Sembra che nella ricostruzione del difensore la frase pronunciata sia stata «ti faccio nero». Da qui l’affermazione al rientro dalla Nazionale: «Juan Jesus mi ha frainteso». L’Inter attende ora di conoscere l’eventuale sanzione che, alla luce di quanto raccolto dalla Procura, il Giudice sportivo riserverà al giocatore. Di certo il club non vuole in alcun modo che il proprio nome venga accostato alla parola razzismo e in base a quello che sarà l’esito di finale di questa brutta storia, deciderà se prendere ulteriori provvedimenti verso Acerbi. E con questo non si intende solo una multa, ma anche una possibile valutazione sul futuro in nerazzurro del giocatore.
Il caso Acerbi per la Süddeutsche: in Italia è sempre colpa della vittima
Il razzismo fa sempre più notizia all’estero che in Italia. Il caso Acerbi-Juan Jesus non fa eccezione. Se ne occupa anche il quotidiano tedesco Süddeutsche che denuncia il sistema calcistico italiano e l’abitudine a vittimizzare il carnefice, in questo caso Acerbi.
“Domenica era il giorno contro il razzismo nel calcio. Partita Inter-Napoli. Al 59′, Juan Jesus, difensore centrale brasiliano dei napoletani, va dall’arbitro e riferisce che il difensore dell’Inter Francesco Acerbi lo ha definito “negro”. L’arbitro gli parla, lo rassicura. Sembra che Acerbi chieda scusa. La partita finisce 1:1. Il Napoli pareggia poco prima della fine proprio con Juan Jesus. Poiché è la giornata contro il razzismo, tutti i giocatori e gli allenatori su tutti i campi di Serie A a microfono aperto dichiarano: ‘Di’ no al razzismo’.
Il quotidiano prosegue e racconta che Acerbi il giorno dopo ha negato tutto.
Appena tre ore dopo il suo arrivo al raduno della Nazionale, era di nuovo alla stazione romana per prendere un treno in direzione Milano, circondato da passanti e giornalisti. E ha detto: «Parole razziste non sono mai uscite dalla mia bocca. Gioco a calcio da vent’anni e so quello che dico»”.
Razzismo, le parole di Acerbi sono state ipocrite
“Qualcuno gli ha chiesto se avesse chiesto scusa a Juan Jesus: «Credo che mi abbia frainteso». Poi Acerbi ha subito portato il caso su un piano diverso, più generale: «Su un campo di calcio succedono tante cose, è normale che tu dica certe cose quando giochi a calcio. Ma poi la partita finisce, e tutto è dimenticato».
Questa ipocrisia e il rimprovero implicito nei confronti della vittima sono stati troppo per Juan Jesus, che ha risposto con un post su Instagram. L’Inter ha annunciato che si sarebbe confrontata con il suo tesserato. (…) Fino ad ora Acerbi aveva anche l’immagine di “bravo ragazzo” che nel tempo libero sosteneva cause di beneficenza. Acerbi ha avuto anche un tumore, contro il quale ha combattuto con coraggio e ne ha parlato pubblicamente, cosa che gli ha fatto conquistare simpatia”.
In Italia gli attacchi razzisti sono frequenti, ma i club hanno paura dei club di destra
Prosegue la Sueddeutsche.
“I presunti insulti razzisti potrebbero avere un grave impatto su questa immagine.
In Italia ci sono sempre attacchi razzisti durante le partite di calcio, soprattutto nelle curve, cori discriminatori e versi di scimmie. Il fenomeno è noto da tempo, ma non viene fatto quasi nulla, né da parte dei club che temono lo scontro con gli ultras di destra, né da parte delle associazioni che si nascondono dietro i club. Anche stavolta si sentono di qua e di là le solite giustificazioni: Acerbi non intendeva certo questo, non era proprio razzismo, in campo è sempre successo e lì deve restare. Alla fine in Italia è sempre colpa della vittima”.