Lì non è passata la dottrina Gravina secondo cui il giocatore è vittima. Lì ti cacciano e basta: “ha buttato la carriera per 22mila dollari”
Da quando le hanno legalizzate, nello sport americano le scommesse sono diventate un vero problema. Nel basket, in Nfl, nel baseball, e a livello universitario. E così si arriva al caso Porter. Jontay Porter è – era – il centro dei Toronto Raptors: l’Nba lo ha squalificato a vita per aver piazzato delle scommesse su partite del suo campionato. E per aver confidato ad un suo amico, scommettitore incallito, le sue condizioni fisiche precarie prima di una partita: quello si è giocato 80.000 dollari sulla sua prestazione e ha vinto un milione. La Nba l’ha beccato, e l’ha cacciato. Non per un anno, o due. Per sempre. Evidentemente negli Stati Uniti non c’è un Gravina che fa passare il colpevole per povera vittima di ludopatia per poi addirittura riciclarlo come esempio di non si bene cosa.
Anche la stampa ha il suo ruolo, in questa faccenda. Basta leggere il commento che ne fa The Athletic, il gigante dell’informazione sportiva di proprietà del New York Times. “Ci sono vari livelli di stupidità, e Porter è fuori classifica in tutti. Ha violato la policy della Lega nonostante sapesse, come il resto del mondo dello sport, che ai dipendenti Nba è vietato scommettere sul campionato o sulle proprie squadre. E farlo per una vincita netta pari a poco meno di 22.000 dollari? Voglio dire, se hai intenzione di buttare via la tua carriera e sporcare il tuo nome di famiglia, non dovrebbe essere per un prezzo superiore al costo di un pieno di benzina? Bene, questo è quanto sembra che costi un serbatoio pieno in California”.
“Era tutto così prevedibile – continua l’articolo – Le leghe e i proprietari delle squadre sapevano che questo tipo di comportamento non solo era possibile ma anche inevitabile quando si sono buttati nel letto del gioco d’azzardo organizzato. La storia ci ha insegnato – e continua a insegnarci – che le persone credono sempre di poter ingannare il sistema, di poter cogliere il cane da guardia che dorme. Si chiama natura umana”.
The Athletic ovviamente se la prende col sistema, meglio non ricordare la campagna di beatificazione che ci è toccata nel caso di Fagioli e Tonali. “Le leghe sportive professionistiche e i loro proprietari non hanno nessuno da incolpare se non se stessi, per aver attribuito più valore ai flussi di entrate massimizzati rispetto al pio mantra dell’integrità del gioco che recitano in questo tipo di situazioni. Ma ciò che è fatto è fatto. L’orologio non tornerà indietro. Le leghe sportive e i giocatori, che condividono i ricavi del gioco come parte dei loro accordi di contrattazione collettiva, non chiuderanno il rubinetto finanziario, e i media come The Athletic ed Espn (che ha lanciato la propria attività con Espn Bet) ora vedono le loro partnership con siti di gioco d’azzardo come fonti di entrate previste”.
Esatto, avete letto bene: The Athletic scrive anche contro The Athletic, che pure – come Espn – fa affari con le piattaforme di gioco. Il giornalismo anglosassone…