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Giuntoli: tramare nell’ombra per cacciare gli allenatori, è una specialità della casa

Oggi con Allegri, ieri con Ancelotti. Il metodo è lo stesso. Con Carlo finse cordialità fino alla fine. Max non lo fa più entrare nello spogliatoio

Giuntoli: tramare nell’ombra per cacciare gli allenatori, è una specialità della casa
Juventus Football director Cristiano Giuntoli reacts during the Italian Serie A football match between Torino and Juventus at the Grande Torino Stadium in Turin on April 13, 2024. (Photo by MARCO BERTORELLO / AFP)

Giuntoli: tramare nell’ombra per cacciare gli allenatori, è una specialità della casa

Ieri Ancelotti a Napoli, oggi Allegri alla Juventus. Dietro l’esonero di un grande allenatore, c’è spesso Cristiano Giuntoli. Col suo metodo di lavoro che negli anni non è cambiato. Tramare nell’ombra. Fare terra bruciata. Avviare contatti col nuovo tecnico che subentrerà. Noi a Napoli lo abbiamo visto e vissuto a nostre spese. Esonerare Ancelotti per Gattuso è roba da causa per danni. E sospettiamo che più di un Tribunale civile si sarebbe pronunciato in favore del risarcimento.

La reazione dei diretti interessati è stata diversa. Ancelotti incassò il tradimento (perché di tradimento si trattò, doppio considerando Gattuso) ingoiando amaro in silenzio. E ripartendo dall’Inghilterra. Oggi dovrebbe accendere un cero a Cristiano Giuntoli: gli ha allungato la carriera. Allegri ha un altro stile. Gliel’ha gridato in faccia davanti a tutta Italia cosa pensa di lui. Mentre Giuntoli applaudiva la premiazione sentendosi potente.

Il metodo Giuntoli

È da due mesi che Allegri non fa entrare Giuntoli negli spogliatoi. I due non si rivolgono la parola da tempo. Giuntoli – che è sempre convinto di essere più intelligente degli altri – gli ha fatto terra bruciata a modo suo. Ma ha sottovalutato un dettaglio: Max lavora alla Juventus da otto anni, anche i muri lo salutano. Lo ha isolato. E non poteva non sapere – lui uomo di calcio – che, annusando l’addio, alcuni calciatori lo avrebbero abbandonato. E così è accaduto. Non è affatto un caso che ieri sera, per placare Acciughina sono intervenuti Rabiot e Danilo due leader che in campo hanno dato tutto.

A Napoli andò in scena lo stesso film. Ovviamente con qualche sfumatura diversa. Il lavoro fu svolto tutto sott’acqua, con l’approvazione di Chiavelli il ministro del Bilancio del Napoli. Con Carlo Ancelotti il rapporto era sempre apparentemente cordiale, amichevole, di complicità. Apparentemente. In privato, da settimane, il secondo anno Cristiano andava dicendo che il Napoli con Carletto in panchina sarebbe retrocesso. Cominciò a remare contro già alla fine della prima stagione. Il Napoli di Ancelotti arrivò secondo con 79 punti, rallentando ampiamente, e raggiunse i quarti di finale di Europa League. In città fu considerato un mezzo disastro. Più o meno come quello di quest’anno. Lo stato d’animo era lo stesso.

In più, Ancelotti ovviamente gli faceva ombra. Senza volerlo. Il tecnico emiliano è sempre per la collegialità, convinto com’è di poter apprendere anche da un bambino di dieci anni. Non era colpa sua se Mino Raiola preferiva parlare con lui anziché con Giuntoli.

La trattativa subacquea con Gattuso

L’unica volta in cui il suo disegno affiorò in superficie fu alla vigilia di un Torino-Napoli, mentre in tv lo staff di Carletto e Giuntoli stavano guardando Genoa-Milan con Giampaolo sulla panchina dei rossoneri. Il ds disse: «Questo Milan solo Gattuso l’ha fatto giocare». Ne nacque una discussione ordinariamente vivace, al punto che più di qualcuno dei presenti pensò: “l’anno prossimo a Napoli verrà ad allenare Gattuso”. Non immaginavano che sarebbe bastato attendere qualche settimana.

Oscuro fu il suo ruolo in occasione dell’ammutinamento. E in quel terremoto cominciò a tirare il filo del suo disegno. Al momento opportuno – quando capì che De Laurentiis non era realmente convinto di prendere Ibrahimovic (idea di Ancelotti) – si presentò con l’alternativa bella che confezionata. Perorò la causa dello spogliatoio che non lo seguiva e paventò scenari di retrocessione. Ancelotti fu mandato a casa. E arrivò Ringhio Starr (come lo definì il presidente del Napoli nella conferenza di presentazione che fu uno dei momenti più bassi della sua presidenza).

Fu Giuntoli l’architetto di quell’operazione. Si era liberato di quell’ombra ingombrante. Anche se poi Gattuso si mostrò riottoso ad ascoltare i suoi consigli. E il progetto di diventare il conducator tecnico del club, almeno nel breve periodo, non andò in porto. Anche perché, dopo qualche mese, De Laurentiis comprese tutto. Non lo licenziò solo perché non voleva pagarlo a vuoto. Rimase un anno e mezzo in naftalina prima che gli fosse riaffidata la ricostruzione. E lì Giuntoli – che comunque di calcio ne capisce, anche se ovviamente ha portato a casa anche brocchi – ha indovinato gli acquisti della vita, quelli che ti cambiano la carriera: Kvaratskhelia soprattutto e Kim. In precedenza, va detto, anche Osimhen e Lobotka. La narrazione è completamente cambiata. Ha ottenuto i sacrosanti riconoscimenti per lo scudetto ed è andato alla Juventus. Dove si è presentato con quel ricordo delle trasferte col padre juventino. E poi ha cominciato a lavorare per portare a Torino quell’allenatore del Bologna che avrebbe già voluto prendere a Napoli. Convinto che Thiago Motta sia molto più malleabile di Allegri. Tu chiamalo se vuoi, metodo Giuntoli.

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