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La figlia di Berlinguer: «In ospedale dissero: “sta arrivando Craxi”, noi figli ci opponemmo: “No, pure Craxi no”»

Al Venerdì di Repubblica. La figlia Maria: «Mio fratello litigò con Pajetta, mamma ci sostenne». Quarant’anni fa la morte del leader del Pci

La figlia di Berlinguer: «In ospedale dissero: “sta arrivando Craxi”, noi figli ci opponemmo: “No, pure Craxi no”»
A demonstrator holds flag with a portrait of Enrico Berlinguer, a historic leader of Italian left-wing during a march to protest against Silvio Berlusconi's government called by the left-wing Democratic Party (PD) on December 11, 2010 in Rome. Berlusconi faces a knife-edge confidence vote in both houses of parliament on December 13 that could trigger his downfall or see the resilient Italian leader bounce back once again. AFP PHOTO / TIZIANA FABI (Photo by Tiziana FABI / AFP)

Bellissima intervista del Venerdì di Repubblica (a cura di Simonetta Fiori) a Maria Berlinguer secondogenita di Enrico storico segretario del Pci morto quarant’anni fa, il 13 giugno 1984.

La figlia ne parla pubblicamente forse per la prima volta.

«Dopo quarant’anni ho visto le immagini di Padova fino all’ultima sequenza. Prima non ce l’avevo mai fatta. E ho scoperto che alla fine mio padre sorride. Sì, al termine del suo discorso in piazza della Frutta, l’ultimo della sua vita, già devastato dall’ictus, mio padre riesce a sorridere». Maria Berlinguer è la secondogenita di Enrico Berlinguer. Meno famosa di Bianca, anche più introversa, ha lavorato a lungo nei giornali (l’ultimo approdo, La Stampa) scegliendo di apparire il meno possibile: non circolano sue foto da adulta e neppure in questa occasione ha voluto essere ripresa da un fotografo.

La critica più ingiusta?
«Piero Fassino disse che papà aveva cercato la bella morte per sfuggire allo scacco matto di Craxi. Ma posso dir male di Fassino proprio ora? Stendiamo un velo pietoso».

Le chiede cosa ricorda di quei giorni, della corsa all’ospedale di Padova dove il padre fu ricoverato dopo il comizio in cui si sentì male.

Poi, cosa ricordi?
Maria Berlinguer: «Una bolgia infernale nella clinica di Padova. Gente che entrava e che usciva dalla sala di rianimazione, come se fosse un salone di ricevimento, non un luogo asettico in cui un malato versava in fin di vita. Giancarlo Pajetta dirigeva il traffico con piglio vigoroso. E Nilde Iotti parlava già dei funerali, come se noi famigliari fossimo trasparenti. A un certo punto vedemmo uscire Gianni De Michelis, pronto a dettare ai giornalisti: “È bianco come una cera”».

Voi non entravate?
«Mamma ci teneva fuori per proteggerci. Intanto affluiva molta gente comune, vecchi militanti in lacrime. D’un tratto si levò una voce: “Sta arrivando Craxi, mi raccomando niente fischi”. A quel punto scattò la ribellione di noi ragazzi. No, pure Craxi no. Ci fu uno scontro molto vivace tra mio fratello Marco e Pajetta che gli urlò contro: “Tuo padre l’avrebbe fatto entrare!”. Ma Marco riuscì a imporsi e mamma ci sostenne».

Berlinguer era stato appena fischiato al congresso socialista.

«Probabilmente Craxi era stato spinto ad accorrere a Padova anche da sensi di colpa. Mi ricordo la telefonata tra me e mio padre dopo i fischi di Verona. Io singhiozzavo come una scema. E lui, dolcissimo, cercava di calmarmi: “Ma che fai, piangi? Ma no, non devi. I fischi fanno parte della contesa politica. Non bisogna reagire emotivamente”. Era fatto così. Mi diceva sempre: chi fa politica non deve nutrire rancori. E bisogna sempre darsi il tempo per ragionare, per dare una sistemazione alle cose».

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