A “La Stampa”: «Il razzismo partiva da Napoli, divisa tra Secondigliano e Vomero: all’inizio ero confinato ai teatri di periferia pur vendendo milioni di dischi»

Nino D’Angelo: «Sono stato un fenomeno di razzismo. Il ragazzo col caschetto emblema del terrone»
Nino D’Angelo si racconta in un’intervista a “La Stampa“: dal ragazzino con il caschetto all’uomo di successo.
È stato un fenomeno, Nino D’Angelo?
«Sono stato un fenomeno di razzismo tra i più eclatanti. Mi hanno insultato, volevano distruggermi; il ragazzo col caschetto emblema del terrone si è preso il peggio e gli devo tutto. Ora lo ringrazio».
Con un concerto allo Stadio Diego Armando Maradona il prossimo 29 giugno: “I miei meravigliosi anni’80…E non solo”. Sarete in 40mila: ci sarà anche quella Napoli che l’ha ostacolata?
«Secondo me si, qualcuno negli anni è perfino venuto in camerino a scusarsi. Questo è il concerto della vita. Siamo in pochi alla mia età (classe 1957, ndr) a riempire gli stadi».
Dove cominciava il razzismo nei suoi confronti?
«Da Napoli, la mia città, divisa tra quelli del Vomero e di Secondigliano. All’inizio ero confinato ai teatri di periferia pur vendendo milioni di dischi, non me li davano proprio i teatri in città».
Ne soffriva?
«Non capivo. Venivo da una realtà talmente difficile che mi sembrava tanto anche quel poco degli inizi e ringraziavo tutti come mi venisse regalato».
Nino D’Angelo: «Un giornale napoletano scrisse di me: “fenomeni come lei bisognerebbe repirmerli”»
La cattiveria più antipatica che le hanno rivolto?
«Un signore di un giornale napoletano si superò: “fenomeni come lei possono diventare pericolosi e bisognerebbe reprimerli”, mi disse».
Ha declinato l’invito di Ghali a duettare a Sanremo perché non avrebbe potuto cantare in napoletano.
«Sotto l’aspetto politico e sociale sto con Ghali, ma io che sono stato uno dei primi non posso tornare al Festival e non cantare in dialetto».
Quando il successo la travolge la trova in lacrime per una giacca strappata…
«A Palermo, dove arrivai per fare una serata del tutto ignaro di essere già un fenomeno. Indossavo il vestito che mamma
mi aveva cucito. Mi presentarono come l’angelo bianco della canzone napoletana; guest star il grande Mario Abbate. Nella folla una ragazza si aggrappò strappandomi la giacca. Panico: pensai a mamma che si era tanto raccomandata e la sera piansi con Abbate:“guagliò–mi fece lui–capisci che la vita ti sta cambiando? Che cazzo te ne importa d’o vestito?”».